Contro il pizzo una lotta di civiltà
Il racket delle estorsioni è un fenomeno da combattere con la coesione sociale e con la cultura
Nella guerra contro il ''pizzo'' le forze dell'ordine combattono le loro battaglie quotidianamente. Il contrasto del racket delle estorsioni è una delle azioni che in Sicilia forse occupa maggiormente polizia e carabinieri. I magistrati che coordinano le operazioni hanno però bisogno dell'insostituibile aiuto dei cittadini, sono infatti solo loro che alzando la testa e denunciando possono rendere concreta questa lotta che poco tempo fa, dalle alte sfere della politica siciliana, qualcuno diceva essere forse troppo esagerata, perché alla Sicilia ''la mafia fa schifo''.
Giusto ieri si sono concluse due importanti operazioni anti-estorsione a Catania e Caltanissetta.
Nel capoluogo etneo una coppia di coniugi è stata arrestata con l'accusa di estorsione dalla Squadra Mobile, proprio mentre riscuotevano la ''rata'' mensile, dal titolare di una concessionaria di automobili di Acireale. L'uomo è un presunto appartenente al Clan Santapaola.
Nel capoluogo nisseno, il Gico della Guardia di Finanza e i militari della compagnia di Gela hanno eseguito sedici ordinanze di custodia cautelare su richiesta della Procura, nei confronti di presunti appartenenti ai clan mafiosi di Gela, alcuni dei quali già in carcere. Le indagini delle fiamme gialle avrebbero accertato estorsioni a danno della rivendita di autoveicoli di Giuseppe Cassarà, padre del collaboratore di giustizia Salvatore. Attraverso servizi di osservazione e accertamenti contabili e bancari, gli investigatori avrebbero appurato la consegna da parte del rivenditore ai presunti estortori di 22 autovetture, utilizzate da soggetti appartenenti alla criminalità organizzata gelese e in particolare al clan Rinzivillo. Secondo la finanza l'imprenditore è stato minacciato con armi ed è stato vittima di un attentato incendiario nella sua ditta.
L'attività degli uomini della Legge, dunque, è continua, puntuale e di grande livello, sarebbe errato, quindi, pensare che il fenomeno del ''pizzo'' sia un problema di ordine pubblico, e cercare la soluzione nel rafforzamento della presenza militare nei territori maggiormente colpiti.
Che l'invio dell'esercito in Sicilia contro il fenomeno delle estorsioni è ''assolutamente inutile'', è la convinzione di Tano Grasso, presidente della Federazione antiracket, intervenuto ieri alla Associazione della Stampa estera in Italia a un incontro su ''Il racket e gli imprenditori siciliani''.
Secondo Grasso, infatti, il problema non essendo di ordine pubblico non può certo essere risolto dalle Forze armate. ''L'esercito non può impedire ai commercianti di pagare il pizzo''.
La giusta lotta, invece, a suo avviso, è quella cominciata dalla Confindustria siciliana che ha deciso di espellere dall'associazione chi paga: ''E' questa - ha detto Grasso - una vera rivoluzione, una decisione che ci rende tutti più forti. Ci blinda, ma al tempo stesso innalza il livello di sfida con la mafia'', il cui atteggiamento rispetto al racket è cambiato. Già perché come ha spiegato Tano Grasso, ''Cosa Nostra è oggi meno tollerante che in passato rispetto a chi contesta il pizzo. Finita l'egemonia di Provenzano, all'interno dell'organizzazione mafiosa c'è un problema di costruire e rafforzare una leadership e ciò avviene con il pieno controllo del territorio da parte del boss. Non può più essere tollerato l'imprenditore che non paga, con lui non ci si può più 'ragionare', come avveniva in passato''. In questa ''fase delicatissima'', ha avvertito Grasso, la cosa peggiore da fare sarebbe quella di ''minimizzare il problema'', perché purtroppo il confine fra mafia e Stato oggi è molto più labile e confuso rispetto a quello di prima.
E' per questo che ci vuole la rivolta della gente, che i commercianti e gli imprenditori trovino il coraggio di ribellarsi e di sperimentare la solidarietà fra loro, cosicché a lottare questa dura e pericolosa guerra non siano soli come fu Libero Grassi e come lo sono stati recentemente tanti e tanti degni imprenditori - loro sì veri uomini d'onore -, che non hanno accettato il giogo mafioso, e che purtroppo hanno dovuto subire minacce e intimidazioni, dovute proprio all'isolamento culturale, non certo da parte delle forze dell'ordine.
E' pur vero che la richiesta di una nuova ondata di ''Vespri Siciliani'' è arrivata proprio dal numero due di Confindustria, Ettore Artioli, che in un possibile arrivo dell'esercito in Sicilia vede il modo per supportare le forze dell'ordine nel contrasto alla mafia. ''La nostra proposta di impiegare le Forze armate nel controllo del territorio - ha spiegato Artioli, intervenuto anch'esso all'incontro - non è certo perché pensiamo che Cosa Nostra si possa sconfiggere con l'esercito: crediamo però che i militari possano contribuire al controllo del territorio, liberando da questo compito le forze di polizia. Ma, al di là dell'impiego effettivo delle Forze armate - ha proseguito Artioli - la nostra proposta, o provocazione, aveva soprattutto l'obiettivo di richiamare l'attenzione delle istituzioni sulla necessità di garantire la sicurezza e la libertà di impresa nel Mezzogiorno, di assicurare strumenti idonei al contrasto alla mafia. Non ci interessa quali. Ripeto, se può essere utile l'esercito, ben venga. Ma l'importante è che non manchino le risorse e i mezzi per combattere e sconfiggere la criminalità organizzata''.
C'è però chi, all'interno di Confindustria, si ritrova assolutamente contrario con la dura presa di posizione dell'associazione degli industriali siciliani. Secondo Umberto De Rose, presidente di Confindustria Calabria, espellendo gli imprenditori, vittime del racket e non certo colpevoli, ''si sposta di fatto il livello delle responsabilità. Sembra quasi che siano gli imprenditori che pagano il pizzo ad essere biasimabili e non lo Stato, che non riesce a garantire la sicurezza dell'industriale. Come si fa a dire a un imprenditore che già subisce una violenza che verrà isolato e cacciato dall'associazione degli industriali? Perché non pensiamo a espellere gli imprenditori che corrompono o colludono con la mafia? Questi sì, sono reati in cui c'è una determinazione forte da parte del soggetto''.
Dalla Confindustria di Caltanissetta, invece, è stata denunciata l'iniziativa di alcune aziende nissene costituitesi negli ultimi due anni in un comitato autonomo e che ancora oggi ''nessuna azienda è stata allontanata per sottomissione al racket delle estorsioni, né ciò è stato mai dichiarato in questi giorni da alcuno dei dirigenti dell'associazione''.
''Durante gli ultimi due anni un gruppo di imprese, molte meno di trenta, - si legge in una nota della Confederazione nissena - non ha fatto più parte di Confindustria Caltanissetta, o per libere dimissioni determinate dalla non condivisione del programma della nuova gestione, improntato alla legalità; o per decisione dei probiviri dell'associazione in presenza di morosità contributiva o di comportamenti non in linea con lo statuto associativo''. ''Confindustria Caltanissetta, che associa aziende sane e rappresentative del territorio in cui esse operano, auspica che il drammatico tema dei condizionamenti mafiosi sia affrontato dalle imprese, dalle istituzioni e dalla collettività nell'ambito di un sereno confronto, dentro e fuori l'associazione, evitando iniziative che, colpendo questo o quel settore della rappresentanza imprenditoriale senza costruire proposte positive, finiscano solo per favorire la recrudescenza degli attentati e per indebolire chi sta tentando di organizzare la resistenza civile. Confindustria Caltanissetta - conclude la nota - si assume la responsabilità delle scelte prese e conferma che continuerà a portare avanti il percorso di rinnovamento basato sulla legalità''.