Contro un'opera "completamente inutile"
La Rete NoPonte è tornata in strada per manifestare la propria preoccupazione, la propria avversità, ma anche le proprie proposte
Lo scorso mese di marzo un'autorevole voce si era alzata contro la spinta "prioritaritaristica" nella costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. L'assessore regionale alle Attività produttive, Marco Venturi, durante un incontro pubblico ha detto, in maniera asssolutamente chiara che: "Alla Sicilia non serve il ponte sullo Stretto ma un serio piano di investimenti su acqua, trasporti ferroviari e telecomunicazioni". "L'acqua - aveva aggiunto Venturi - costituisce un bene primario, eppure ancora oggi, nel 2011, molte realtà, soprattutto dell'entroterra isolano, registrano difficoltà nell'approvvigionamento. Questo non è ammissibile per una regione, che, per sua natura e tradizione, è vocata al turismo". Poi l'assessore ha evidenziato le carenze strutturali della rete ferroviaria siciliana, "che risale al 1890. Bisogna avere il coraggio di investire sul binario". Infine, parlando delle telecomunicazioni e in particolare della banda larga, Venturi non ha potuto fare altro che evidenziare lo stato di arretratezza in cui versa l'Isola: "Molte aree strategiche non possiedono la copertura Adsl. Occorre intervenire in modo deciso anche sotto questo aspetto".
Insomma, un discorso veramente semplice quello dell'assessore alle Attività produttive, semplice e aggiungiamo di "buon senso". Hai un'isola che cade a pezzi da svariati punti di vista e noi si va a spendere una cifra gigantesca per mettere in piedi una costruzione andrebbe ad unire la penisola con un territorio acciaccato dall'arretratezza?
Gli stessi motivi elencati, da ultimo, dall'assessore Venturi, sono anche quelli che sabato hanno portato circa 1.500 persone a manifestare per le vie di Messina in un'iniziativa organizzata dal movimento 'No ponte' e alla quale hanno aderito partiti del centrosinistra, sindacati, associazioni, esponenti dei comitati degli alluvionati e semplici cittadini.
"Manifestiamo contro un'opera completamente inutile - ha spiegato Tonino Cafeo, esponente della 'Rete NoPonte' - e chiediamo che i fondi previsti per la costruzione del ponte vengano destinati alla pianificazione delle tante opere infrastrutturali che mancano a Messina e nel resto della Sicilia. Auspichiamo inoltre che parte dei fondi Fas previsti per il ponte vengano destinati ai messinesi colpiti dall'alluvione del 2009 che ancora ad oggi aspettano le risorse dalla Regione e dal governo nazionale".
Insomma, non una manifestazione con in testa un "no a prescidere", ma la rappresentazione di una volontà comune che chiede alla classe politico-istituzionale di ragionare, ascoltare le esigenze della gente e le proposte che da questa vengono: utilizzare le risorse finanziarie destinate alla grande infrastruttura (10 miliardi di euro secondo le stime più recenti) per la messa in sicurezza sismica e idrogeologica del territorio, il potenziamento dei trasporti pubblici nello Stretto, la riqualificazione dei centri urbani a partire dall'edilizia scolastica.
"Le ragioni del No al Ponte non sono solo di natura ambientale", tiene a spiegare Luigi Sturniolo, attivista della Rete dei cittadini in lotta contro il megaprogetto. "L'opera è fortemente impattante dal punto di vista sociale, si caratterizza per gli insostenibili costi economici e possiede un ritorno bassissimo in termini di posti di lavoro. Urgono invece interventi che mettano i territori al riparo dai rischi idrogeologici. Ma i soldi, secondo il governo, non ci sono. Eppure 1.300 milioni di euro provenienti dai fondi dell'Unione europea per le aree più svantaggiate sono stati congelati in vista dell'avvio dei lavori del Ponte. Messina è stata colpita l'1 ottobre 2009 da frane e smottamenti che hanno causato una tragedia senza precedenti con 37 morti. Episodi calamitosi si susseguono ormai costantemente nei monti Peloritani e nei Nebrodi e in buona parte del territorio della provincia di Reggio Calabria. Non intervenire è un crimine, stiamo mettendo a rischio la vita di decine di migliaia di persone".
Per la Rete No Ponte, la messa in sicurezza dei territori avrebbe effetti positivi anche dal punto di vista occupazionale, specie in un'area del Mezzogiorno dove si registrano alti tassi di disoccupazione. "Le azioni di prevenzione e contrasto del rischio idrogeologico e gli interventi per garantire la sicurezza antisismica alle strutture pubbliche e alle abitazioni private avrebbero un saldo occupazionale nettamente superiore a quanto previsto per i cantieri del Ponte", aggiunge Sturniolo. "Secondo Eurolink, General Contractor per la progettazione e la realizzazione dell'opera, nel periodo di massima attività dei cantieri, saranno impiegati 4.500 lavoratori. Per gli interventi nei paesi colpiti dalle frane più recenti, con soli 40 milioni d'investimenti verrebbero occupati oltre 250 addetti e per periodi molto più lunghi".
Gli attivisti No Ponte denunciano poi come la mera prospettiva dell'avvio dei lavori del Ponte abbia già determinato la perdita di oltre mille posti di lavoro nel settore della navigazione nello Stretto di Messina. "È in atto da anni un processo di dismissione del trasporto pubblico, rappresentato bene dalla soppressione di numerosi treni a lunga percorrenza e dalla riduzione del numero di navi utilizzate", ha sottolineato Mariano Massaro, rappresentante dell'organizzazione sindacale di base OrSA Navigazione. "Risultato di queste scelte è una forte contrazione occupazionale. E il futuro è ancora più nero. Centotrenta lavoratori dell'Officina Grandi Riparazioni di Messina saranno licenziati da Trenitalia entro 30 mesi, il tempo previsto che le aree oggi occupate dalla struttura siano utilizzate per le opere legate al Ponte sullo Stretto".
L'iter della megaopera prosegue intanto con l'impiego di enormi risorse finanziarie. Ai 500 milioni di euro spesi sino ad oggi per tenere in vita il 'carrozzone' della Società Stretto di Messina Spa, concessionaria pubblica per la realizzazione del Ponte, si aggiungono i 110 milioni spesi lo scorso anno per predisporre i primi cantieri e pagare profumate parcelle a progettisti, esperti e consulenti. "Soldi che sarebbero bastati a pagare tutti i cantieri attualmente gestiti dal Genio Civile di Messina per i danni causati dall'alluvione del 1° marzo scorso e avviare, magari, l'auspicata riqualificazione urbana", ha commentato Santino Bonfiglio, altro esponente storico dei No Ponte.
A tutto ciò si aggiunge un argomento che è assolutamente importante tenere sempre presente: ossia che alla costruzione del ponte sullo Stretto guardano con infinito interesse le cosche mafiose siciliane e calabresi che puntano ad intercettare gli investimenti che si riverserebbero nell'area e gestire il grande business della movimentazione di milioni di metri cubi d'inerti e le decine di cave e discariche che sorgeranno all'interno dei centri abitati. "La penetrazione criminale nei grandi lavori pubblici è un fenomeno strutturale nei territori ad alta densità mafiosa, ma il Ponte ha caratteristiche criminogene di per sé uniche", ricorda Tonino Cafeo. "La recente inchiesta Brooklyn sul tentativo d'infiltrazione della mafia italo-canadese nei lavori del Ponte ha evidenziato l'interesse di alcuni settori criminali di operare direttamente come soci finanziatori dell'opera sin dalla sua progettazione, accreditandosi in tal modo come soggetti di riferimento di istituzioni e grandi società di costruzioni e come indispensabili attori economici e sociali". [Informazioni tratte da Ansa, AgoraVox.it]
Nuovo accordo per il ponte. Gli ambientalisti: "Ricatto dei costruttori"
di Marco Todarello (Il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2011)
Devastazione del territorio, discariche, inquinamento e rumore, in cambio di uno svincolo autostradale, un depuratore, la bonifica e riqualificazione delle aree di discarica e gli indennizzi per gli espropri. "Un vero e proprio ricatto": così la rete No Ponte definisce l'accordo per la costruzione dell'opera sullo Stretto raggiunta dal comune di Messina e dai rappresentanti della Stretto di Messina spa e del contraente generale Eurolink (associazione di sette imprese guidata da Impregilo). L'intesa, che per il Comune è un formale "accordo procedimentale" che accelera la procedura per l'avvio dei lavori preliminari alla costruzione, è stata definita formalmente, ma non è ancora operativa: riguarda l'alloggiamento dei cantieri, la gestione delle terre da scavo e dei siti di stoccaggio, la realizzazione delle opere di riqualificazione ambientale dei siti e la loro destinazione all'uso pubblico, e infine gli espropri, che interessano circa 500 soggetti tra semplici cittadini e società.
Secondo il movimento No Ponte, quella offerta dalle imprese costruttrici è una "compensazione ricattatoria. Accettare di trasformare la città per anni in un mega-cantiere, dagli effetti inimmaginabili per la vita di oltre 200mila persone - spiega Luigi Sturniolo, uno dei fondatori del movimento - è il segno della debolezza e povertà delle amministrazioni locali: si cerca di ottenere in altro modo ciò che non è possibile fare con il bilancio ordinario".
Di accordo importante parla invece Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto di Messina spa: "Offre al territorio una significativa opportunità di recupero ambientale ed idrogeologico di un'area compromessa che sarà restituita alla sua originaria destinazione agricola".
Ma Sturniolo non ci sta: "È quantomeno strano l'ottimismo di Ciucci – replica – visto che si stanno pianificando discariche per il materiale inerte in un territorio che, come è noto a tutti, è fragile sul piano idrogeologico e dove ci sono decine di aree di impluvio. Parlare addirittura di 'recupero ambientale' mi sembra discutibile". La frequenza delle frane sul versante tirrenico di Sicilia e Calabria non è una novità e questo punto, sottolineano gli oppositori del ponte, potrebbe rivelare l'insostenibilità del progetto già nel primo anno di lavori. Un argomento oggi più che mai attuale, dopo l'alluvione dell'1 marzo che ha devastato Camaro Superiore e Mili San Pietro (100 milioni di danni e nessuna vittima, ma solo per caso), frazioni di Messina non lontane da Giampilieri, teatro della drammatica alluvione dell'ottobre 2009. "L'ennesimo episodio che dimostra come bisognerebbe utilizzare il denaro pubblico – sostiene Sturniolo – e cioè spostando le risorse destinate al Ponte per rispondere alla richiesta di sicurezza degli abitanti delle zone a rischio sismico e idrogeologico. Solo nel 2010, per il Ponte sono già stati sperperati 110 milioni di euro per trivellazioni e progettazione definitiva".
Pubblici sono finora gli unici soldi stanziati per il Ponte: 1,3 miliardi di fondi Fas. Soldi stanziati ma comunque non disponibili, come conferma la relazione della Corte dei Conti del 15 dicembre 2009. "La maggior parte della spesa sarà però finanziata dai privati (60% del totale secondo lo schema del project financing), che ovviamente non hanno intenzione di investire nella sicurezza del territorio, per loro non redditizia", spiega al Fatto il sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca. Eppure nel libro "L'insostenibile leggerezza del Ponte", Domenico Marino, professore di politica economica all'Università di Reggio Calabria, non solo ricorda che al momento non ci sono ancora privati disposti a mettere mano al portafoglio (i pochi finanziatori interessati, negli anni, si sono mostrati attendisti), ma documenta la scarsa redditività del Ponte. La sua analisi è basata sui dati del Golden Gate bridge di San Francisco, che pur essendo indispensabile al traffico cittadino, chiude i suoi bilanci sempre in perdita (nel 2009, 20 milioni di dollari). Nella migliore delle ipotesi, a Messina solo dopo 40 anni gli investitori porterebbero i conti in pareggio.
D'accordo con le previsioni di Marino è Marco Brambilla, ingegnere al Politecnico di Milano e autore di uno studio su costi-benefici del Ponte sullo Stretto: "In caso di concessione trentennale l'indicatore di convenienza economica resta negativo – sottolinea – e solo nell'arco di 50 anni, e in caso di eccezionali e favorevoli condizioni, si ha un'inversione di tendenza".
Ad ogni modo, nel caso in cui la Stretto di Messina spa non riuscisse a finanziare l'opera con i flussi di cassa e i ricavi generati dalla gestione entro il limite della concessione, lo Stato farebbe da garante. Il rischio è che l'intera opera risulti in gran parte (o del tutto) pagata dallo Stato, soprattutto dopo la modifica alla legge sul project financing che ha eliminato il limite del 50% del contributo pubblico per ogni opera finanziata.
Intanto il fronte del dissenso, pur rimanendo ampio in una parte della popolazione, ha ormai perso molti degli amministratori locali su cui poteva contare fino a qualche anno fa, oggi quasi tutti schierati a favore della grande opera. "Prima eravamo ancorati su posizioni ideologiche – continua il sindaco di Messina – mentre ora siamo più responsabili. Non ci si può opporre a una legge dello Stato e ora ogni sindaco deve cercare di dare quanto più può alla propria comunità. Il ponte attrarrà il 20% di tutti i turisti che ogni anno visiteranno l'Europa e sarà un volano di sviluppo per tutto il meridione".
A dicembre del 2010 il contraente generale Eurolink ha consegnato il progetto definitivo alla Stretto di Messina spa, che dovrebbe approvarlo entro il mese di maggio. Poi sarà la volta del Cipe, a cui tocca l'approvazione finanziaria, auspicata per settembre dal ministro dei Trasporti Altero Matteoli. Solo allora si potrà procedere con l'avvio dei lavori preliminari, in attesa del progetto esecutivo. Ma rimangono le perplessità su un'opera ritenuta superflua dai molti che la considerano dannosa per l'ambiente e troppo costosa. Obiezioni che si aggiungono ai ragionevoli dubbi sulla sua fattibilità tecnica in una zona ad alto rischio sismico (anche se il progetto assicura una tenuta della struttura fino a 7,1 gradi Richter): il ponte sullo Stretto, se realizzato, avrà una campata unica di 3.300 metri, la più lunga mai realizzata nel mondo, il 60% in più di quella del ponte di Akashi-Kaykyo (1.991 metri) in Giappone, che oggi detiene il primato.