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Cosa Nostra con tutti

Nel corso degli anni '90 la mafia tentò di coinvolgere nei propri affari anche la Chiesa e la massoneria

27 ottobre 2009

Per ottenere un alleggerimento della pressione dello Stato e dei disagi del carcere duro, la mafia avrebbe tentato di ottenere un intervento "umanitario" della Chiesa.
Ne parlano, in un colloquio dell'aprile 2003 il generale Mario Mori e il pm fiorentino Gabriele Chelazzi, poi morto d'infarto, che indagava sulla stagione delle stragi.
Era stato l'eccidio di via d'Amelio in cui erano morti Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta a provocare, nella notte tra il 19 e il 20 luglio 1992, il trasferimento a Pianosa di una cinquantina di detenuti sottoposti al regime del 41 bis. Il provvedimento aveva creato un certo subbuglio tra i boss tanto che Riina aveva tenuto alcune riunioni nella zona di Mazara del Vallo dove trascorreva la latitanza. Ma aveva anche indotto i familiari di alcuni detenuti a chiedere un intervento al vescovo di Trapani, Domenico Amoroso. Al prelato erano stati consegnati appelli e documenti che monsignor Amoroso si era limitato a riversare su canali istituzionali. A quel tempo, si ricorda nelle carte del pm Chelazzi, stava partendo la presunta "trattativa" mediata dall'ex sindaco Vito Ciancimino.
I boss speravano in un intervento della chiesa che invece con Giovanni Paolo II rivolse il 9 maggio 1993 un duro anatema ai mafiosi. Per tenere caldo il canale della "trattativa" Cosa nostra organizzò nel luglio 1993 gli attentati che dovevano mandare un messaggio allo Stato. Ma nel mirino c'era anche la chiesa, colpita con le bombe a San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro. Forse anche l'uccisione, il 15 settembre 1993, di don Pino Puglisi è riconducibile a quella strategia. Identici erano gli obiettivi e anche gli organizzatori sia degli attentati che dell'uccisione del parroco di Brancaccio: gli uomini della cosca dei Graviano.

La mafia agrigentina, invece, avrebbe voluto allacciare dei rapporti con la massoneria romana e siciliana perché utili per gli interessi di Cosa nostra. E' quanto avrebbe voluto realizzare il capomafia Giuseppe Falsone, attualmente latitante, secondo quanto rivelato dal pentito Giuseppe Sardino che ha deposto venerdì scorso al processo denominato 'Hiram', celebrato nell'aula bunker del carcere di Rebibbia.
Il collaboratore di giustizia ha riferito che un uomo d'onore di Favara, Antonio Vaccaro, imputato di associazione mafiosa davanti al tribunale di Agrigento, gli disse che dovevano cercare rapporti con la massoneria romana, facendo in particolare il nome dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Sardino però non ha mai saputo se il contatto venne realizzato.
Il dibattimento è nato da un'inchiesta su presunti casi di corruzioni per ritardare la celebrazione di processi in Cassazione o l'esecuzione di misure cautelari. Alla sbarra alcuni esponenti della massoneria romana e siciliana, un dipendente della Suprema Corte, una funzionaria di polizia e alcuni professionisti e imprenditori.
Oltre al pentito hanno deposto due presidenti di sezione della Corte: Edoardo Fazzioli e Antonio Morgigni. Furono loro ad accorgersi delle irregolarità relative al ricorso pendente su un processo a carico del ginecologo palermitano Gioacchino De Gregorio, condannato per violenza sessuale. Il professionista è tra gli imputati del dibattimento Hiram: avrebbe tentato di ritardare la trattazione del suo processo in modo da raggiungere la prescrizione e sfuggire al carcere. I due magistrati scoprirono che il fascicolo relativo al ricorso era sparito. L'incartamento venne successivamente ritrovato in un posto diverso da quello in cui generalmente veniva custodito.

[Informazioni tratte da Ansa.it]

- Mafia e massoneria: un sodalizio per ritardare processi (Guidasicilia.it, 17/06/08)

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27 ottobre 2009
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