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Così Lavitola ricattò Berlusconi

Il suo era un ruolo chiave da uomo di Stato in incognito

24 ottobre 2013



È Valter Lavitola l’uomo chiave della compravendita dei senatori che sarebbe stata ordinata da Silvio Berlusconi. Nell’aula 213 del tribunale di Napoli, trova conferma la ricostruzione dei pubblici ministeri Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli che nel loro atto di accusa lo avevano definito «intermediario e autore materiale delle specifiche e plurime consegne di denaro in contante». E la tesi passa anche grazie alle indagini effettuate dal Nucleo Tributario della Guardia di Finanza guidato dal colonnello Nicola Altieri sulla tentata estorsione del faccendiere nei confronti del Cavaliere e per la quale è già stato condannato a 2 anni e 8 mesi.

'L’uomo di Stato' - Sono proprio quelle carte processuali, depositate durante l’udienza di ieri, a dimostrare quanto forte sia sempre stato il legame Lavitola-Berlusconi e soprattutto quanto alto il livello di minaccia che il primo poteva esercitare sul secondo. Perché, come sottolinea il giudice Francesco Cananzi che ha inflitto la pena al termine del rito immediato, «il ruolo di Lavitola emerge quale persona “vicinissima” al Presidente, un uomo di Stato in incognito che favorisce affari e incontri, ma soprattutto si muove con arroganza e disinvoltura ».

La prova, secondo il giudice, è in quelle lettere, preparate e mai recapitate, che Lavitola aveva scritto a Berlusconi per chiedere un «prestito» da cinque milioni e nelle quali sottolineava che cosa «ho fatto per lei». Ma soprattutto ricordava che cosa fosse accaduto nel 2008 per far cadere il governo guidato da Romano Prodi: «Subito dopo la formazione del governo lei, con Verdini e Ghedini presenti, mi disse che era in debito con me e che lei era uso essere almeno alla pari. Era in debito per aver io “comprato” De Gregorio, tenuto fuori dalla votazione cruciale Pallaro, fatto pervenire a Mastella le notizie della procura di santa Maria Capua Vetere e, assieme a Ferruccio Saro e al povero Comincioli “lavorato” Dini. Ciò dopo essere stato io a convincerla a tentare di comprare i senatori necessari a far cadere Prodi».

'Sa cose compromettenti' - Secondo il giudice Lavitola ha sempre cercato di «accreditarsi come consigliere e informatore delle vicende giudiziarie, tanto da aver trasmesso a Berlusconi una nota riepilogativa sulle vicende della cosiddetta loggia P4». Ma non è soltanto questo il suo ruolo e soprattutto il suo atteggiamento, soprattutto se si esaminano le dichiarazioni rilasciate dalle persone che tra il 2011 e il 2012 gli sono state più vicine, in particolare durante la latitanza. Uno dei «fedelissimi» è certamente l’imprenditore italo-argentino Carmelo Pintabona, che incontrò due volte Berlusconi proprio per trasferirgli le istanze di Lavitola e per questo finì sotto processo, ma poi è stato assolto.

In alcune telefonate intercettate nell’estate 2012 Pintabona racconta all’amico Francesco Altomare proprio quanto accade tra Lavitola e Berlusconi, sia pur con frasi allusive. Il 10 agosto 2012 i magistrati decidono convocano Altomare per avere chiarimenti. E lui a verbale dichiara: «Pintabona mi ha detto che ha avuto rapporti istituzionali con il presidente Berlusconi nella sua qualità di presidente della Federazione dei Siciliani in America Latina. So che è anche amico e in rapporti di affari con Lavitola. Pintabona mi ha detto che Lavitola era a conoscenza di fatti e vicende compromettenti sul conto del presidente Berlusconi e che per tale motivo, e cioè per non rivelare tali particolari compromettenti che avrebbero “rovinato” lo stesso Berlusconi, pretendeva il versamento di ingenti somme di denaro, nello specifico di 5 milioni di dollari. Pintabona mi ha detto che Lavitola esercitava pressioni su Berlusconi. Ricordo che in più di un’occasione Pintabona mi ha detto che Lavitola “teneva Berlusconi per le palle”».

'Onore e disciplina' - Le carte processuali raccolte negli ultimi due anni dai pubblici ministeri partenopei e soprattutto le confessioni di De Gregorio, hanno convinto il giudice sul fatto che Berlusconi gli abbia effettivamente versato soldi. Ma non era affatto scontato che venisse ritenuta valida la contestazione del reato di corruzione, tenendo conto che esiste il «libero convincimento dei parlamentari» e dunque non è facile dimostrare il collegamento tra versamento di denaro e voto espresso su un provvedimento di legge o sulla fiducia al governo.

Non a caso, durante la sua requisitoria, Woodcock ha equiparato il parlamentare al giudice che agisce seguendo appunto il libero convincimento e, come dimostrano numerose sentenza già passate in giudicato, quando accetta soldi viene certamente ritenuto «un corrotto». Ma poi ha puntato sull’articolo 54 che «impone a chi è titolare di una pubblica funzione di agire seguendo comportamenti di onore e disciplina e dunque hanno divieto di accettare denaro da terzi». Nessuno, ha evidenziato il pubblico ministero, «può negare che un deputato o un senatore non siano inseriti nei ranghi della pubblica amministrazione» e dunque non debbano attenersi a queste regole ferree per la cui violazione è previsto un reato specifico. (Fonte - Corriere.it)

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24 ottobre 2013
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