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Così morì Mauro Rostagno

Alla terza udienza del processo per l'assassinio di Mauro Rostagno, il racconto intimo e commosso della figlia Maddalena

10 marzo 2011

Ieri si è tenuta a Trapani la terza udienza del processo per l'assassinio del giornalista e sociologo Mauro Rostagno. Rostagno fu ammazzato la sera del 26 settembre del 1988 a Lenzi, Valderice. Alla guida di una Duna Bianca, assieme a Monica Serra, stava facendo rientro alla Comunità Saman, arrivando da Rtc, la tv nella quale lavorava oramai da due anni. Monica Serra, una delle ospiti della comunità che lavorava a Rtc, che rimase miracolosamente nell'agguato, corse in comunità a dare l’allarme. Imputati nel processo sono il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga e Vito Mazzara, il killer della cosca. Virga, 75 anni, detenuto a Parma al 41 bis, ha seguito il processo in video conferenza. Mazzara è detenuto a Biella. Difensori del boss gli avvocati Giuseppe Ingrassia e Stefano Vezzadini; a difendere Mazzara  Vito e Salvatore Galluffo, padre e figlio.
In aula a rappresentare l’accusa sono stati il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, il sostituto procuratore Gaetano Paci e il pm della Dda Francesco Del Bene. La Corte di Assise è presieduta dal giudice Angelo Pellino, a latere il giudice Antonio Genna. 300 i testi che dovranno essere sentiti, citati da accusa, difesa e parti civili, e i giudici vogliono giungere alla conclusione prima di Natale 2011.
"Rostagno - ha detto il pm Paci – è stato ucciso dalla mafia perchè faceva paura come giornalista, a Trapani come dimostrato in altre sentenze c’era insediato un sistema di potere che aveva paura che Rostagno diventasse specchio di quella realtà criminale, che la raccontasse con fin troppa dovizia di particolari in tv". "A parere nostro quelli prodotti dall’accusa – ha detto fuori dall'aula il pm Ingroia – sono elementi robusti, abbiamo ottenuto dalle indagini elementi importanti sulle responsabilità della famiglia mafiosa di Trapani".

Nell'udienza di ieri, la testimonianza più attesa era quella di Maddalena Rostagno, figlia di Mauro. Quando suo padre fu ucciso aveva 15 anni. Visibilmente commossa Maddalena Rostagno, prima di salire sul banco dei testimoni, ha detto ai cronisti: "Ho atteso questo momento da troppo tempo". Commozione che non è finita neanche mentre, davanti ai giudici, ha cominciato la sua deposizione. "La cosa più strana che mi ricordo è che quando fu assassinato mio padre era in auto con Monica Serra, una delle ragazze che erano ospiti della Comunità Saman e che collaboravano con lui a Rtc. Però sui vestiti di Monica non fu trovata alcuna traccia di sangue. Lo avremmo notato, perchè tutti in quella comunità vestivano di bianco". Ad agire, quindi, secondo Maddalena Rostagno, fu un killer particolarmente efficace (come è riconosciuto tra l'altro all'imputato, Vito Mazzara) in grado di assassinare la vittima con precisione estrema.
"Mi dissero che mio padre aveva avuto un incidente. Uscì fuori per andarlo a cercare e sentii l'urlo straziato di mia madre Chicca Roveri e le sirene dell'ambulanza". Con queste parole la Rostagno ha raccontato le circostanze dell'omicidio. Parlando invece degli ultimi giorni di suo padre: "Nell'ultimo mese mio padre fece lunghi pianti perché tre ragazzi della comunità avevano ripreso a drogarsi". "Oltre ai giovani che avevano ripreso a drogarsi c'era anche un altro episodio che inquietava mio padre: la comunicazione giudiziaria ricevuta per l'omicidio Calabresi insieme ad altri leader di Lotta Continua". "Mauro era sconfortato, perchè pensava e riteneva che Lotta Continua fosse del tutto estranea all'omicidio Calabresi", ha ricordato ancora Maddalena Rostagno. Altro elemento di sconforto per Mauro Rostagno lo sfratto, intimatogli da Francesco Cardella, uno dei fondatori insieme a Chicca Roveri della Saman, dalla struttura chiamata il "Gabbiano" che si trovava al centro della struttura, una decisione presa perché Rostagno in un’intervista aveva parlato della Saman senza citare Cardella. "Mio padre fu intervistato dal giornalista Claudio Fava per la rivista King. Parlò della Comunità Saman, del suo lavoro, ma non menzionò mai Cardella. Dopo qualche giorno gli arrivò un fax da Milano proprio da Cardella. C'era scritto a penna che doveva cambiare camera. Mauro dormiva al 'Gabbiano', la struttura centrale della Saman, e fu costretto a spostarsi in uno degli altri edifici. Ci rimase male, ma non commentò e non litigò con Cardella perchè non voleva dargli questa soddisfazione. Non mi ricordo con esattezza cos'altro contenesse il fax, ma mi ricordo che c'era la parola 'falso'. Cardella era il guru della comunità, Mauro il terapeuta. Mia madre gestiva invece tutti gli aspetti pratici, era anche sulla carta l'amministratore unico della Saman".
Maddalena Rostagno ha terminato la sua testimonianza ricordando l'ultimo giorno di suo padre. "L'ultimo giorno in cui lo vidi mi rimproverò perchè io non volevo andare a scuola. Lui invece ci teneva moltissimo alla mia istruzione. Poi quel giorno lo incrociai a mensa. Infine, gli spari, che sentimmo tutti in comunità".
Gli avvocati della difesa, quindi, hanno posto delle domande a Maddalena sulla Comunità Saman, sulle ricchezze di Cardella, sui contrasti tra Cardella e Rostagno, e sulle vicende interne a Lotta Continua. "E' scomparso qualcosa, tra le cose di suo padre" ha chiesto il presidente Pellino a Maddalena Rostagno al termine della sua testimonianza. E la figlia del giornalista ha ricordato la scomparsa di un'agenda che Rostagno teneva sempre con se, "e poi una cassetta, ma non una videocassetta, un vhs, bensì una audiocassetta...".

L'udienza è stata poi sospesa ed è ricominciata nel pomeriggio, con l'audizione degli altri testi. Il primo a deporre il generale in pensione Nazareno Montanti, colonnello a Trapani nel 1988, comandava il reparto operativo e fu tra i primi ad indagare sull'omicidio Rostagno: "Conoscevo Mauro - ha detto - fin dai tempi in cui lavoravo a Milano. Fui avvisato della sparatoria che lo aveva coinvolto via radio. Arrivai all'ospedale mentre lo scendevano dall'autoambulanza e mi pareva che fosse ancora vivo, ma in mi dissero che era già deceduto...".
Nella sua lunga deposizione Montanti ha illustrato le prime indagini su Rostagno, e di come fu esclusa la pista mafiosa. "Mi concentrai più che altro su Cardella e i suoi spostamenti" ha detto. "Non seguivo i servizi televisivi di Mauro Rostagno, quindi non ho pensato che la morte potesse essere collegata alla sua attività giornalistica". Piuttosto, il rapporto dei carabinieri si è concentrato sulla Saman, sullo spaccio di droga che avveniva all'interno, sui rapporti tesi tra Rostagno e Cardella.
"Nelle indagini sull'omicidio Rostagno, la pista mafiosa è stata sbeffeggiata" ha detto il pm Francesco Del Bene, durante l'esame di Montanti. L'ufficiale, durante la deposizione, si è giustificato dicendo che la pista mafiosa non fu privilegiata, sia per il "modus operandi" dei sicari, sia perchè "non avevamo alcun elemento che ci portasse nella direzione di Cosa Nostra". Per il generale Montanti, neppure i redazionali di Rostagno su Rtc ("che erano poco seguiti"), come pure il fatto che l'auto usata dal commando, sia stata rubata sei mesi prima a Palermo, erano elementi che potevano far pensare ad un coinvolgimento della mafia. "Privilegiammo invece la pista interna a 'Saman', perchè eravamo a conoscenza di irregolarità amministrative all'interno della comunità".
Ultimo teste ad essere ascoltato il maresciallo Cannas che nel 1988 era al nucleo operativo dei carabinieri di Trapani nel reparto antidroga. Anche lui conosceva Rostagno, anche lui non lo seguiva in tv ("ma sapevo che aveva un modo nuovo di fare giornalismo"), e anche lui fu uno dei primi ad intervenire sul luogo del delitto, alle 21:30. Il suo verbale di sopralluogo sommario è però del 1988, è questo è uno dei motivi per cui è stato chiamato a testimoniare. Come mai questo ritardo? ha chiesto Del Bene. "Si usava così, allora" ha detto.

[Informazioni tratte da Adnkonos/Ing, Lasiciliaweb.it, Marsala.it]

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10 marzo 2011
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