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Così vicini, così lontani

Terra bruciata attorno a Matteo Messina Denaro. Bisogna ora smantellare la "rete protetta": adesso è caccia all'uomo

14 dicembre 2013

"La curta acchiappa sempre". La curta, cioè la bassa, è Patrizia Messina Denaro, 43 anni, sorella del boss latitante Matteo, nota negli ambienti mafiosi (così come emerge dalle intercettazioni) per la sua avidità e per la smania di potere. È lei a fare le veci del fratello, a raccordarsi con lui per mandare avanti gli affari.
Ma il nuovo boss in gonnella è solo una delle otto donne arrestate nell'operazione congiunta di Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e Dia che ieri ha portato a trenta ordinanze di custodia cautelare azzerando il clan mafioso trapanese dei Messina Denaro (LEGGI).

Un’operazione per la quale esulta il vicepremier Angelino Alfano. "Questa operazione - ha detto - è veramente importante perché rientra nella strategia di isolamento di Denaro e di rescissione dei suoi canali di finanziamento". Si spezza, dunque, la ragnatela di rapporti economici, di controllo delle estorsioni, di favori e di mazzette che regola Cosa nostra trapanese. Ma non la stretta sorveglianza della latitanza del boss. I soggetti bloccati, secondo un investigatore che si occupa delle indagini, poco c'entrano con l'organizzazione della latitanza di Matteo Messina Denaro. "Queste persone - dice - si occupavano del sostentamento economico della latitanza ma non degli aspetti logistici". "Diciamo che crediamo in una pista parallela - chiosa l'investigatore - e diciamo che in questa pista c'è una 'rete protetta' composta dai favoreggiatori della latitanza in senso stretto".
Per il Procuratore aggiunto Teresa Principato e i sostituti Paolo Guido e Marzia Sabella, però, rompendo la "ragnatela" gli inquirenti sono sempre più vicini al capomafia, il cui potere non è stato indebolito dalla lunga latitanza. Anche Patrizia, infatti, deve rispondere alla "testa dell'acqua", a "colui che non è presente": il boss non ha lasciato le redini delle cosche e continua ad acquisire potere anche da lontano. A suo nipote, Francesco Guttadauro, 29 anni, (beccato un paio d'anni fa mentre si incontrava con il calciatore Fabrizio Miccoli) e ai suoi cugini, Messina Denaro ha lasciato la gestione degli affari, ma ogni decisione deve passare dal capo ("Rosa vedi che lui comanda tutto Palermo, tutta la Sicilia di Trapani", si dicono due parenti del boss in un'intercettazione).

La "cassa continua" a cui si approvvigionano il latitante e le famiglie dei carcerati è ancora l'edilizia, tra i maggiori business della mafia che gestisce l'acquisizione, la spartizione e la realizzazione di importanti commesse come i lavori per il Mc Donald's a Castelvetrano.
Come in tutte le famiglie, c'è chi ha il compito di portare "il pane dentro" perché "tutti quelli che girano, girano per tutti". È molto oneroso portare avanti la dispendiosa conduzione della latitanza di Messina Denaro Matteo: "chiddru vola. E senza soldi un po vulare! (quello vola e senza soldi soldi non può volare)", dicono i parenti in un'intercettazione. E allora i cugini del boss si danno da fare. Lorenzo Cimarosa e Giovanni Filardo - che dal carcere dirigeva gli affari grazie a moglie e figlie (anche loro arrestate) - cercano di incrementare il patrimonio e salvaguardarlo dai sequestri. Intanto l'altro cugino, Mario Messina Denaro, cerca di raggranellare qualche migliaio di euro chiedendole ai titolari del centro diagnostico Hermes di Castelvetrano (Tp). Il nome della famiglia Messina Denaro veniva speso anche per incutere timore a due ereditiere. Una di loro ha dovuto sborsare 70mila euro ed è finita in carcere per favoreggiamento e per aver mentito alla Dia. Tra gli arrestati anche due insospettabili tecnici del ministero della Giustizia che lavorano al Provveditorato regionale del Dap, Giuseppe Marino (figlio di un giudice palermitano) e Salvatore Torcivia, rei di aver favorito una ditta che eseguiva lavori nel carcere Ucciardone. Così come insospettabile era Antonella Montagnini, vigile urbano nel Comune di Paderno Dugnano (Mi), che controllò qualche targa, assolvendo le richieste di un presunto mafioso di Campobello di Mazara, Nicolò Polizzi,che aveva l'incubo di essere pedinato dalla polizia.

Dunque, gli investigatori adesso possono concetrarsi sulla "rete di protezione" che permette ancora la latitanza di Matteo Messina Denaro. Chi è rimasto ad aiutarlo? Cosa significano per il numero uno di Cosa  Nostra gli arresti di ieri?
Stretto il cerchio con i 30 arresti  eseguiti che hanno portato in carcere anche i fidatissimi del boss, la caccia a Messina Denaro si fa ancora più difficile. Perché forse è vero, come dice il comandante del Ros, che non si è mai stati così vicini alla sua cattura; ma è altrettanto vero, per dirla con le parole di un altro di quelli che da anni  gli dà la caccia, che "siamo ancora lontani dal poter capire la logistica del latitante, che potrebbe anche essere in una provincia che non è Trapani". Quel che è certo, prosegue l'investigatore, è che da oggi le indagini saranno ancora "più  intense", perché bisogna concentrarsi in via esclusiva su determinati soggetti. Con un lavoro "chirurgico e selettivo"Il lavoro, dunque, riparte da qui e l'attenzione si concentra  innanzitutto sugli insospettabili, figure rimaste sullo sfondo in tutti questi anni.

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, GdS.it, Adnkronos/Ign]

- L'impero miliardario del male di Attilio Bolzoni (Repubblica.it)

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14 dicembre 2013
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