Cous Cous
Dentro il ''cous cous'' di Kechiche c'è la grande lezione che il neorealismo ha dato al Cinema
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COUS COUS
di Abdellatif Kechiche
Beij, un arabo sessantenne, vive a Sète, una cittadina vicino Marsiglia, e lavora nel cantiere navale del porto, ma alla sua età non regge più la fatica di un lavoro così pesante. Deve però resistere perché, anche se ha divorziato da parecchi anni, vuole rimanere vicino alla sua ex moglie e ai figli, nonostante le tensioni passate. Le difficoltà finanziarie lo fanno sentire del tutto inutile e per allontanare la sensazione di fallimento che sente crescere dentro di sé si rifugia in un sogno che potrebbe anche trasformarsi in realtà. Vorrebbe aprire un ristorante a conduzione familiare per dedicarsi a un'attività meno faticosa della sua e più redditizia per tutti. Il suo salario non è certo sufficiente per lanciarsi un un'impresa commerciale, ma intanto nessuno può impedirgli di parlarne con i suoi, lasciando almeno libero spazio ai sogni. Intanto anche i suoi parenti pian piano si fanno coinvolgere e uniscono le loro forze per un progetto che dà a tutti la speranza in una vita diversa, in cui possono migliorare la loro situazione economica senza negare la loro identità...
Anno 2007
Tit. Orig. La graine et le mulet
Nazione Francia
Produzione Claude Berri per Pathè Renn Productions
Distribuzione Lucky Red
Durata 151'
Regia e sceneggiatura Abdellatif Kechiche
Dialoghi e montaggio Ghalia Lacroix
Con Bouraouia Marzouk, Habib Boufares, Hafsia Herzi, Sabrina Ouazani, Bruno Lochet, Mohamed Karaoui, Faridah Benkhetache, Alice Houri, Olivier Loustau
Genere Commedia
Dalle note di regia - "Sono partito da una pura fantasia popolare, il genere di storia che si sente raccontare nei paesi, il mito di quelli che 'ce l'hanno fatta', ovvero, detto in altri termini, che sono scappati alla schiavitù moderna di una situazione professionale precaria, creando un'impresa propria. E ho voluto trattare questo tema con una certa ironia. E' un racconto d'avventura, in cui la narrazione è più vicina all'oralità del racconto, con tutte le digressioni, le sospensioni, ecc che questo permette, che al film d'azione propriamente detto."
La critica
"Che emozione, che applausi. Dieci minuti di standing ovation in Sala Grande, occhi lucidi degli uomini in smoking, trucco liquefatto dalle lacrime per le signore che alla fine si sbracciano all'indirizzo del regista e degli attori. Grande cinema a Venezia. 'La graine et le mulet', il film del franco-tunisino Abdellatif Kechiche, colpisce al cuore la Mostra. Profuma di Leone il cous-cous che nella storia, raccontata con mano sicura e leggerezza, unisce i sentimenti e i destini di una famiglia di immigrati arabi in Francia. Incantano il Lido gli interpreti presi dalla strada, intensi come attori consumati: dal silenzioso Habib Boufares alla giovanissima Hafsia Herzi, un piccolo vulcano di carattere e sensualità destinata a esplodere nella danza del ventre provvidenziale che, nelle ultime sequenze, scongiura una catastrofe. Se i giurati di Venezia 2007, tutti registi di rango, faranno bene il loro lavoro, non potranno evitare di premiare questo film che parla senza retorica di identità, integrazione, legami familiari, solidarietà, dignità."
Gloria Satta, 'Il Messaggero'
"Partito con i favori del pronostico, 'La graine et le mulet' del franco-tunisino Abdellatif Kechiche - già esaltato dagli spettatori da cineclub per 'Tutta colpa di Voltaire' e 'La schivata' - è stato accolto assai bene dalla platea degli accreditati. Con il suo piglio documentaristico, sostenuto dalla macchina da presa incollata ai corpi, ai movimenti e alle espressioni dei protagonisti e dalla nutrita partecipazione di un gruppo di comprimari non professionisti, il regista ci trasporta a Sète, la città natale di Paul Valéry e Georges Brassens abbarbicata tra il mare di Marsiglia e lo stagno di Thau."
Valerio Caprara, 'Il Mattino'
"L'eroismo degli umili. Quelli che emigrano in cerca di una miglior fortuna, abbassano la testa, non protestano, si spezzano la schiena lavorando, ma intanto tirano su famiglia, invecchiano ma ancora sognano: l'illusione di un riscatto sociale, una ritrovata e pacificata dignità... Con 'La graine et le mulet', Abdellatif Kechiche, già regista del mirabile 'La schivata', regala al Festival il più parlato, il più colorato, il più musicale e il più epico dei film in concorso."
Stelio Solinas, 'Il Giornale'
"Il film franco-tunisino in concorso 'La Graine et le moulet', che sin dalle prime battute si candida alla corsa al Leone. (...) Abdellatif Kechiche, francese tunisino di terza generazione già vincitore di un César due anni fa con il bel 'L'Esquive' lancia un piccolo sasso nello schermo e lascia che i cerchi del racconto si allarghino sotto i nostri occhi. La piccola storia dell'uomo vessato sul lavoro si trasforma lentamente in racconto corale, tra commedia e neo-realismo, lambendo temi come il razzismo nascosto dei francesi, le contraddizioni e le invidie dentro la comunità tunisina, le relazioni uomo-donna e quelle generazionali. Un respiro ampio e profondo, fatto di un rigoroso lavoro sul set e con gli attori capace di richiudersi nel finale senza lasciare sbavature. Nella sua totale onestà, nel suo rigore, nella limpidezza dell'immagine e nella necessità del racconto 'La Graine et le Mulet' (già acquistato per l'Italia da Lucky Red) è un Leone a tutto tondo."
Roberta Ronconi, 'Liberazione'
"Matriarcato, eredità culturali, ruolo dell'educazione, scontro tradizione-modernità, tensioni razziali e battaglie generazionali: c'è tutto nel mondo che racconta Kechiche, senza fare sconti a nessuno, dai pregiudizi duri a morire a favore dei maschi fino al peso della superstizione, a quello della gelosia e dell'invidia ma anche della solidarietà e dell'amicizia. Senza fare prediche o, peggio, identificando vizi e virtù con questo o quel personaggio. Anzi, lo sforzo del regista è quello di offrire a ognuno la possibilità di essere il più autentico e credibile possibile, mettendo in campo una veridicità di dialoghi e una giustezza di gesti (e di volti) davvero ammirevole. La macchina da presa di Kechiche sembra dotata della miracolosa capacita di raccontare la realtà. E il risultato e tanto più sorprendente se si pensa che la maggior parte degli interpreti non sono attori professionisti ma solo dilettanti che hanno lavorato moltissimo per raggiungere la spontaneità voluta dal regista."
Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera'
"Distendere un racconto del genere, così semplice superficialmente ma invero così denso di significati simbolici in un film di due ore e mezza fino all'ultimo respiro, consegnandoci almeno tre momenti di grande cinema, su tutti lo sfogo della nuora di Beiji quando si accorge dell'ennesimo tradimento di suo figlio Madji, è davvero un risultato notevole, anche se impari è lo stoico Giacobbe smembrato dalle sue furie casalinghe."
Giancarlo Mancini, 'Il Riformista'
"Un affresco potente, che si muove da un escamotage metaforico: il tentativo di riscatto sociale e famigliare di un sessantenne licenziato che vuol fare di una nave abbandonata un ristorante specializzato in cous cous di pesce."
Dario Zonta, 'L'Unità'
"C'è la lezione del neorealismo in 'Cous Cous'; vi si avverte lo stesso umanesimo, lo stesso amore per i personaggi. E ci vuole un grande regista per mettere in scena un problema di cucina facendoti trepidare come a un suspenser di Hitchcock. Ma il film, in sottotesto, racconta anche una struggente storia d'amore impossibile. Lo dimostra la sequenza in montaggio parallelo del vecchio e della fanciulla ansimanti (lei per la danza del ventre, lui per la corsa); come a realizzare in modo sublimato (e sublime) una passione proibita."
Roberto Nepoti, 'la Repubblica'
Note - Girato a bordo di una nave nel porto di Sete da ottobre a dicembre 2006 - Alla 64ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2007) Premio Speciale della Giuria (ex-aequo con "Io non sono qui" di Todd Haynes), Premio Marcello Mastroianni ad Hafsia Herzi come miglior attrice emergente, premio ''La Navicella-Venezia Cinema'', Premio FIPRESCI, Menzione Speciale della Giuria Signis, Premio Arcagiovani e Premio Nazareno Taddei.