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Cuffaro: condannato e contento

5 anni di reclusione per il presidente della Regione Sicilia, che continuerà comunque a fare il governatore

19 gennaio 2008

Il Tribunale di Palermo ha ritenuto il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, colpevole di favoreggiamento semplice e rivelazione di segreto d'ufficio, e per questo lo ha condannato a 5 anni di reclusione.

Basterebbe questo (e a dire il vero, troviamo che sia già troppo) per mettersi una busta di carta in testa e non far vedere in giro, per molto tempo, la propria faccia per la vergogna. E invece no, il Governatore della Sicilia è contento.
A Totò Cuffaro, nel processo alle ''talpe nella Dda di Palermo'', sono stati contestati quattro capi di imputazione: due per il favoreggiamento personale e altri due per la rivelazione e l'utilizzazione di segreti d'ufficio, tutti con l'aggravante di avere favorito la mafia che però non è stata riconosciuta dai giudici della terza sezione del tribunale. Per l'accusa, il Governatore avrebbe appreso nel 2001 dall'ex maresciallo dei carabinieri, Antonio Borzacchelli, poi eletto deputato regionale, dell'esistenza di microspie sistemate dagli investigatori del Ros nell'abitazione del boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. Il salotto del boss, già condannato all'epoca per mafia, era frequentato da un amico di Cuffaro, il medico Domenico Miceli, ex assessore comunale alla sanità, anche lui Udc, condannato nel dicembre 2006 a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli inquirenti sostengono che Borzacchelli avrebbe avvisato Cuffaro dell'esistenza delle cimici a casa Guttadauro e che il presidente della Regione lo avrebbe a sua volta comunicato a Miceli. In questo modo il boss di Brancaccio avrebbe scoperto le microspie, bruciando l'inchiesta.

Favoreggiamento semplice e non a con l'aggravante perché diretta a Cosa nostra. Poi, Cosa nostra ha usufruito della ''semplicità del favoreggimaneto'' del presidente della Regione, ma per altre vie. Non è stato lui a favorire direttamente... Quindi, secondo Cuffaro, non c'è nulla di cui vergognarsi, anzi.
Per il presidente quella passata è stata una notte insonne, per via della tensione accumulata in questi giorni e per la commozione provata ieri in tribunale quando ha sentito di essere stato condannato solo a cinque anni. Stamane Cuffaro è apparso più disteso; quando è sceso da casa sua, in strada ha trovato ad attenderlo un gruppo di fedelissimi che lo aspettavano fin dalle prime ore dell'alba. Anche qui Cuffaro non è riuscito a trattenere la commozione, mentre abbracciava a uno a uno amici e conoscenti. "La cosa che mi dà più gioia - ha detto - e quella di avere finalmente riportato la serenità nella mia famiglia".
Dopo avere preso un caffè nel bar vicino casa, davanti a Villa Sperlinga, sempre assediato dai suoi sostenitori Cuffaro ha rilasciato alcune interviste nelle quale avrà manifestato tutta la sua contentezza per essere stato condannato solo a cinque anni di carcere. In mattinata ha già annunciato che si recherà a Palazzo d'Orleans, sede della presidenza della Regione, per "tornare al lavoro", come aveva dichiarato ieri subito dopo avere assistito alla lettura del verdetto che lo scagiona dall'accusa di mafia.

Sì, perché tornerà al suo lavoro da presidente. Sì, perché non si dimetterà, non c'è motivo di dimmettersi perché è stato condannato solo a cinque anni di reclusione, per favoreggiamento semplice e rivelazione di segreto d'ufficio.
"Visti gli articoli 28, 29, 31 e 32 del codice penale il tribunale dichiara Michele Aiello, Giorgio Riolo e Salvatore Cuffaro interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l'espiazione della pena": queste le parole pronunciate in aula dal presidente Vittorio Alcamo durante la lettura del dispositivo. Cuffaro, dunque, è stato condannato anche all'interdizione "in perpetuo" dai pubblici uffici e all'interdizione legale "durante l'espiazione della pena". Questo significa che il Governatore dovrebbe diventare un ''ex governatore'' perché la legge lo ha condannato a non poter mettere più piede nel suo ''pubblico ufficio''. Ma l'interdizione, tuttavia, non è esecutiva e scatterà in caso di condanna definitiva.

“Sono molto confortato da questa sentenza - ha detto ieri Cuffaro all'uscita dall'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo - perché ho sempre sperato che la verità di cui ero moralmente certo venisse riconosciuta anche in sede giudiziaria. La sentenza di oggi conferma che non ho mai commesso atti tesi a favorire la mafia, vero e proprio cancro della Sicilia, che ho sempre combattuto con tutte le mie forze. Proprio per questo, come già detto in passato, ritengo, comunque, giusto, importante e doveroso continuare a svolgere il compito al quale sono stato chiamato dai siciliani [...] Tuttavia non posso nascondere lo stato di disagio nel quale mi trovo di fronte a una sentenza di primo grado che mi vede, comunque, condannato. Per il rispetto che ho sempre manifestato nei confronti delle istituzioni non intendo commentare la sentenza ma preannuncio fin da ora un ricorso affinché venga riconosciuta la mia completa innocenza di cui mantengo l'intima certezza [...] Sapete tutti, l'ho detto da un anno che mi sarei dimesso soltanto se ci fosse stata l'aggravante - ha aggiunto - Da domani mattina ricomincerò a lavorare per la Sicilia perché il governo (siciliano) non può ancora restare in questo stato di impasse”.
Infine Cuffaro ha ringraziato tutti i siciliani che lo hanno sostenuto e che lo hanno rieletto lo scorso anno e che, con molta probabilità, non proveranno alcun senso di vergogna, perché in fondo hanno votato un uomo che è stato condannato solo a cinque anni di reclusione per favoreggiamento semplice e rivelazione di segreti d'ufficio.

Il processo alle Talpe alla Dda di Palermo - Il presidente della terza sezione penale del Tribunale di Palermo, Vittorio Alcamo, era visibilmente emozionato ieri quando ha letto la sentenza, e ad un certo punto ha dovuto interrompersi per far cessare il brusio del pubblico presente in aula. "Per favore - ha detto Alcamo -, dobbiamo fare silenzio. Per cortesia, per rispetto di tutte le parti processuali e del tribunale gradirei il massimo silenzio". Poi ha continuato la lettura della sentenza.
Il processo, iniziato nel 2005 e durato poco meno di tre anni, ha visto svolgersi 150 udienze e l'impiego di oltre 200 testimoni di accusa e difesa, per un totale di circa 200.000 pagine di verbali.
Oltre a Cuffaro sono stati condannati: Michele Aiello, il «re Mida» della sanità siciliana, accusato di associazione mafiosa (14 anni); Giorgio Riolo, ex maresciallo del Ros, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa (7 anni); Lorenzo Iannì, dipendente Ausl 6, ex dirigente del distretto di Bagheria (4 anni e 6 mesi); Aldo Carcione, radiologo e socio di Aiello, accusato di accesso abusivo al sistema informatico della Procura (4 anni e 6 mesi); Giacomo Venezia, funzionario di Polizia accusato di falso e abuso d'ufficio (3 anni); Adriana La Barbera, dipendente Ausl6, e Angelo Calaciura, piccolo imprenditore (2 anni); Roberto Rotondo, dipendente e collaboratore di Aiello, accusato di favoreggiamento (1 anno); Salvatore Prestigiacomo, impiegato Ausl 6, e Michele Giambruno, dipendente Ausl 6 (9 mesi); Giuseppa Antonella Buttitta, ispettore di polizia municipale, ex assistente del pm Domenico Gozzo, accusata di accesso abusivo al sistema informatico della procura e rivelazione di segreto d'ufficio (6 mesi).
E' stato invece assolto dalle accuse di associazione a delinquere e truffa Domenico Oliveri. Per lui erano stati chiesti 4 anni e mezzo e 1.000 euro di multa.
I giudici hanno poi condannato le società Diagnostica per Immagini 'Villa Santa Teresa' e Atm, Alte tecnologie medicali, al pagamento di una multa di 600mila euro la prima e 400mila euro la seconda. Al re Mida della Sanita siciliana è stata applicata la libertà vigilata per tre anni. Quest'ultimo è stato poi condannato ad un risarcimento di 3 milioni di euro nei confronti del comune di Bagheria, che si era costituito parte civile. Le motivazioni della sentenza verranno depositate entro 90 giorni.

Lo scontro tra Cuffaro e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso - Il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, pur dichiarandosi riconoscente verso il presidente e ai giudici per come hanno condotto il procedimento, ha rilevato: "E' rimasto provato il favoreggiamento da parte del presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, di singoli mafiosi come Guttadauro, Aragona, Greco, Aiello e Miceli, ma tutto ciò non è stato ritenuto sufficiente a integrare l'aggravante contestata di avere agevolato l'associazione mafiosa Cosa Nostra nel suo complesso. Si tratta di uno dei temi più complessi e dibattuti sul piano giuridico, che sarà certamente oggetto di ulteriori verifiche giudiziarie in fatto e in diritto". Cuffaro ha subito replicato: "Non capisco perchè il procuratore Grasso sostenga che in base alla sentenza io abbia favorito singoli mafiosi. Il dispositivo, mi hanno spiegato i legali, non dice questo ed esclude ogni mio rapporto con la mafia e con singoli mafiosi. Evidentemente Grasso non ha letto appieno la sentenza".
Resta intanto aperta un'altra indagine per concorso in associazione mafiosa su Cuffaro, aperta nel maggio scorso dal gip Fabio Licata al termine di un dibattito interno alla Dda di Palermo, dopo che uno dei pm del processo alle "talpe", Nino Di Matteo, aveva chiesto di contestare a Cuffaro, imputato per favoreggiamento a Cosa nostra, l'accusa più grave di 110 e 416 bis.

- ''Cuffaro, la sentenza di Palermo'' (Corriere Tv)

- «Sono sereno, ricorrerò in appello» (Corriere Tv)

- ''Colpevole ma contento'' di Attilio Bolzoni (Repubblica.it)

- Il paradosso di Totò condannato e felice: "Ora posso restare" Francesco La Licata (La Stampa.it)

- ''E il procuratore Grasso rivendica la sua linea'' di Giovanni Bianconi (Corriere.it)

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19 gennaio 2008
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