D'Alì come Andreotti: assolto, ma solo per gli ultimi vent'anni
Scattata la prescrizione per le vicende precedenti al '94. La Procura valuta l'impugnazione
Il gup di Palermo ha assolto il senatore del Pdl Antonio D'Alì dall'accusa di concorso in associazione mafiosa. Dichiarate prescritte, invece, le contestazioni relative ai periodi precedenti al 1994.
D'Alì era accusato di avere avuto per anni rapporti con le cosche trapanesi e di avere ricevuto il sostegno elettorale dei boss. Secondo l'accusa, avrebbe anche pilotato appalti pubblici, facendoli assegnare a imprese in odore di mafia.
La Procura chiese l'archiviazione dell'indagine, ma il gip Antonella Consiglio ordinò nuovi approfondimenti al termine delle quali i pm chiesero il rinvio a giudizio del senatore.I magistrati avevano chiesto la condanna di D'Alì a 7 anni e 4 mesi.
Il gup ha dichiarato estinte per prescrizione le accuse relative ai fatti precedenti al '94 e assolto il senatore per quelle successive con la formula "perché il fatto non sussiste".
"Per me non c'è nessuna ombra. La prescrizione, come si sa, precede la valutazione nel merito", ha commentato il senatore. "E' necessaria una riforma della giustizia - ha aggiunto -, ma questo lo dicono tutti non solo la mia parte politica. E' indispensabile per i cittadini".
Mafia, il senatore D'Alì (Pdl) prescritto fino al '94 e assolto per gli anni seguenti
di Rino Giacalone (Il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2013)
Il senatore D’Alì può aver commesso il reato di favorire la mafia fino al 1994, ma per il periodo successivo fino ad oggi merita - per il giudice del tribunale di Palermo Gianni Francolini - l’assoluzione con la formula che ricalca la vecchia insufficienza di prove. Una sentenza "alla Andreotti", insomma, che chiude un procedimento durato parecchi anni.
Il senatore Antonio D’Alì, 62 anni, banchiere, berlusconiano della prima ora, sottosegretario all’Interno per 5 anni, dal 2001 al 2006, giudicato col rito abbreviato, ha ottenuto una sentenza a due facce: prescrizione e assoluzione. Prescritto fino al 1994, assolto per il periodo successivo. L’accusa era di concorso esterno in associazione mafiosa.
I pm Guido e Tarondo, che avevano chiesto una condanna a 7 anni e 4 mesi, annunciano appello. Le difese, gli avvocati Bosco e Pellegrino, si sono detti soddisfatti. Il senatore D’Alì, che ha preferito disertare l’udienza restando a Roma, ha parlato solo dopo avere ricevuto la telefonata di Silvio Berlusconi che gli ha fatto i complimenti.
Restano sullo sfondo della vicenda processuale i contatti con la famiglia mafiosa dei Messina Denaro, i "padrini" Ciccio e Matteo, storici campieri, anche da latitanti, nei terreni del politico a Castelvetrano. La prescrizione riguarda infatti la vendita fittizia di un terreno di proprietà di D’Alì ai Messina Denaro tramite il prestanome, poi pentito, Francesco Geraci. Vendita che sarebbe servita per favorire Cosa nostra nel riciclare 300 milioni delle vecchie lire. Il resto delle accuse, gli appalti pilotati, le ingerenze per fare trasferire funzionari statali scomodi, il rapporto do ut des con Cosa nostra trapanese per il giudice non sono fatti sufficientemente provati.
I pm da ultimo avevano provato con un grande nuovo accusatore, un sacerdote, Ninni Treppiedi, che per avere a lungo frequentato la casa del politico trapanese ha dimostrato di sapere molte cose importanti per l’accusa. Tanto importanti da subire intimidazioni e pressioni per indurlo a fare marcia indietro. Pressioni da parte di un maresciallo dei carabinieri, Girolamo Castiglione, da un sedicente mago con la passione della politica, pregiudicato, Luigi Manuguerra. Tutti a dire che non era cosa buona e giusta schierarsi contro D’Alì. Cosa che in verità molti a Trapani condividono.