Dagli scavi di Mozia torna alla luce il volto della dea Astarte/Afrodite
La protome femminile in terracotta è emersa durante una campagna di scavi dell'Università "La Sapienza" di Roma
- Hai un'attività che vuoi rendere visibile? Fallo ora gratuitamente - CLICCA QUI
Il volto, in terracotta, della dea Astarte/Afrodite (compagna di Baal del Kothon, signore delle acque marine e sotterranee) è venuto alla luce durante l'ultima campagna di scavi condotti sull'isola di Mothia dalla missione dell'Università "La Sapienza" di Roma coordinata dal professor Lorenzo Nigro.
"Dopo tanti anni di scavo - dice Nigro - la continuità della ricerca archeologica ha portato il suo frutto. Il ritrovamento ci ha mozzato il fiato: la dea ci si è mostrata così, in tutto il suo splendore, dieci anni dopo che era stato scavato il suo tempio e che si era capito, prima dai ritrovamenti, poi da due iscrizioni, che era dedicato proprio ad Astarte/Afrodite. Un'Astarte celeste, astrale (come indica la rosetta dorata) e marina (come indica il delfino), signora della vita, della riproduzione, dell'amore, ma anche del mare e della navigazione, delle acque dolci e di quelle marine, che i Fenici attraversarono per unire le culture dei popoli del Mediterraneo".
L'importante scoperta è stata fatta nella parte meridionale dell'isola, nel luogo in cui era il tempio dedicato alla dea, a pochi metri dal muro del Tèmenos (il recinto dell'area sacra del Kothon, ndr), nella zona alla cui base c'era un'àncora antichissima, riconosciuta da Sebastiano Tusa come di un tipo del II millennio a.c.
"Proprio da questo insolito monumento - spiega Nigro - si è deciso di riprendere le indagini nella campagna del 2021, al fine di indagare le fasi più antiche del Tempio di Astarte. Esattamente davanti all'àncora, è stata scoperta una stipe, di circa 1 metro di diametro, delimitata da mattoni crudi rossi. Al centro della stipe era deposta, rovesciata sullo strato di ocra, una protome femminile in terracotta raffigurante il volto della dea Astarte/Afrodite: splendente, luminosa, come la definisce l'epiteto Aglaia ritrovato iscritto sul fondo di un vaso offerto nel tempio e come l'ha mostrata ai nostri occhi pochi giorni or sono la mano esperta del maestro restauratore Salvatore Tricoli, con la decorazione dipinta bianca lucente nell'incarnato, rossa fiammante tra i riccioli dei capelli e dorata nell'ampio diadema divino".