Dai viaggi di Platone in Sicilia all'Autonomia sprecona, dalla malapolitica all'antipolitica
IL LATO OSCURO DELL'ANTIPOLITICA *
Dai viaggi di Platone in Sicilia all'Autonomia sprecona. La realtà è più avanti dei nostri timor: si è passati dalla malapolitica all'antipolitica. In Sicilia e altrove. I ''fucili'' di Bossi irrompono nel vivo di una campagna mediatica senza precedenti che mira al cuore delle istituzioni democratiche. Ognuno recita a soggetto propagando un miscuglio d'idee confuse ed autoritarie con le quali si pensa d'ingravidare la massa che potrebbe generare una creatura mostruosa.
di Agostino Spataro
In questi giorni d'impietoso scirocco ho riletto la ''Settima lettera'' di Platone (autentica o meno che sia) per approfondire le ragioni che spinsero il sommo filosofo a viaggiare, per ben tre volte e in condizioni drammatiche, da Atene a Siracusa, per aiutare Dione ad insediare in Sicilia la sua ''Repubblica'' della giustizia e della legalità. Evidentemente, illudendosi che ve ne fossero le condizioni.
Lo scritto, di una stupefacente attualità, evoca una serie di dubbi e di questioni morali riguardo alla conduzione politica dello Stato che già allora travagliavano la vita dei siciliani. Fino al punto di far dire a Platone: ''mi sembrava difficile dedicarmi alla politica mantenendomi onesto''. Com'è noto, i tre viaggi si conclusero col fallimento della missione e la fuga precipitosa del filosofo che se la prese con l'ignoranza per aver ''sconvolto tutti i nostri piani, compromettendo la situazione...''.
Insomma, anche allora la vita politica nell'Isola era piuttosto ostica, perfino per un filosofo di tale grandezza.
Oggi la situazione è mutata, ma se Platone dovesse tornare per la quarta volta avrebbe ben altro di cui lagnarsi. Vediamo qualche esempio.
L'altro giorno, ho appreso che un tal medico ospedaliero per diventare primario si è fatto nominare segretario di una piccola sezione di un partito di governo.
Cosa c'entri l'incarico politico col primariato? Nulla. Anche se, in realtà, la ''via politica'' sembra essere divenuta obbligatoria, decisiva, per accedere a posti d'alta responsabilità nella pubblica amministrazione siciliana, anche nel campo, delicatissimo, della sanità.
Il caso citato segnala un fenomeno degenerativo piuttosto diffuso fra i vari partiti di governo che si sono impadroniti dei vertici dell'amministrazione.
D'altra parte, nessuno sembra scandalizzarsi più di tanto.
Nemmeno le forze d'opposizione che avrebbero il dovere, anche istituzionale, di protestare per imporre una severa correzione di tiro.
Invece, sotto sotto si patteggia, e si lottizza, com'è avvenuto per gli Ato-rifiuti il cui numero (unico caso in Italia) è stato moltiplicato per tre. Un altro ''miracolo'' di questa Autonomia sprecona che ci ricorda quello delle nozze di Cana. Con la differenza che, nell'evento biblico, Gesù moltiplicò solo il pesce e il vino mentre, nel caso degli Ato, l'Ars ha moltiplicato presidenze e posti di direttori generali e di membri dei CdA. Per accontentare tutti.
Col risultato che, questi organismi, che si fregiano dell'aggettivo ''ottimale'', vivacchiano, nella precarietà e pieni di debiti, fra le polemiche e le proteste dei cittadini di mezza Sicilia che si sono visti triplicate le tariffe per servizi alquanto scadenti.
Secondo un articolo della finanziaria 2007, dovrebbero essere ridotti da 27 a 14. Già questo sarebbe un primo passo nella giusta direzione. Ma - a quanto pare - nemmeno la potenza impositiva della legge riesce a scalfire la coriacea volontà clientelare. Il governo della regione, invece di sciogliere i 13 Ato in esubero e procedere ai relativi accorpamenti, ha ordinato una strana inchiesta il cui unico esito sarà quello di allungare la vita a carrozzoni già avviati verso il baratro della loro costosa inutilità.
Si potrebbe continuare con i cattivi esempi, ma credo che bastino i due accennati. Il guaio è che la gente subisce passivamente, per poi scaricare sulla ''politica'' la sua indignazione repressa e il rancore accumulato negli anni.
Ma è questa la politica o c'è un equivoco?
Più che un interrogativo drammatico, questo a me pare il punto politico essenziale che la classe dirigente è chiamata a dirimere, anche in vista della formazione dei nuovi soggetti che si annunciano a sinistra e a destra e, ora, anche al centro.
In passato, tali comportamenti erano considerati ''malapolitica''. Ossia una variante degenerata della politica, un dato eccezionale che, in quanto tale, poteva essere corretto o estirpato.
Purtroppo, la realtà è più avanti dei nostri timori. In Sicilia e altrove. E così dalla cattiva politica siamo passati all'antipolitica, ovvero l'esatto contrario della politica.
Una sorta di un virus letale che agisce dentro il tessuto di una democrazia infiacchita da oltre mezzo secolo di pratiche usuranti e corrosive.
L'antidoto ci sarebbe, ma pare che a nessuno interessi ricercarlo e soprattutto applicarlo.
Quasi ci trovassimo di fronte all'ineluttabilità della fine di un ciclo virtuoso che, nel caso italiano, non può superare il tempo di tre generazioni.
Ovviamente, il fato non c'entra nulla, anche se taluni fatti e tendenze un qualche allarme lo suscitano. Specialmente, oggi che si vedono irrompere i ''fucili di Bossi'' nel vivo di una campagna mediatica senza precedenti che mira al cuore delle istituzioni dello Stato, senza per altro prospettare alcuna ipotesi alternativa accettabile.
Nell'assenza di una seria azione risanatrice, la gente, anche i settori più avvertiti, stanno cadendo nella trappola apparecchiata da forze potenti.
Questo, forse, è il lato più oscuro dell'antipolitica nella quale ognuno recita a soggetto propagando un miscuglio d'idee confuse e autoritarie con le quali ingravidare la massa che, prima o poi, potrebbe generare una creatura mostruosa, nuova di zecca.
Visioni? Può darsi. Anche se queste, solitamente, compaiono quando all'orizzonte del nostro futuro c'è solo buio pesto. E in questa Sicilia, che quasi tutto prelude, la notte, ormai, è molto più lunga del giorno.
* pubblicato, con altro titolo, su ''La Repubblica'' del 30/08/07