Dal marzo del 2003, la guerra In Iraq, che doveva portare pace e libertà, ha falcidiato la vita di 600 mila civili
Le principali, alcuni direbbero ''le sole'', altri le ''inevitabili ma necessarie'', vittime delle guerre sono sempre stati e sempre saranno gli innocenti civili.
E' bene sapere, dunque, che in Iraq, ossia in uno dei più controversi ed infami conflitti degli ultimi decenni, in tre anni - dal marzo 2003 a luglio 2006 - sono morti, all'incirca, 601.027 civili iracheni.
All'incirca, perché la cifra in realtà è una media tra un minimo di 426.369 decessi e un massimo di 793.663.
Questi dati sono tratti dal più accurato studio sui devastanti effetti della guerra sulla popolazione civile, condotto da otto medici iracheni dell'Università Mustansiriya di Bagdad che hanno lavorato in stretta collaborazione con la Scuola medica Bloomberg dell'Università Johns Hopkins.
E' il bilancio più alto registrato finora sul conflitto iracheno. Lo stesso sito internet IraqBodyCount che fino ad oggi era stato preso come punto di riferimento indipendente per la stima delle vittime della guerra, parlava di una cifra compresa tra i 43mila e i 48mila morti. Mentre la rivista britannica The Lancet aveva pubblicato nel 2004 uno studio che riferiva di 100.000 morti nei primi 18 mesi di conflitto.
Lo studio è stato realizzato tra il 20 maggio e il 10 giugno scorsi, su un campione di 1.849 famiglie, composte in media da sette membri, in 47 zone del Paese. Le aree sono state scelte solo in base alla densità di popolazione e non al tasso di violenza.
Ogni membro di ciascuna famiglia ha riferito dei lutti avuti nei 14 mesi precedenti la guerra e nel periodo successivo. Stando ai risultati dello studio, prima del conflitto si avevano 5,5 morti ogni mille persone, dopo la guerra 13,3 ogni mille. Le ferite da arma da fuoco hanno causato il 56% delle morti violente, mentre autobombe e altre esplosioni il 14%. Un altro 31% è stato causato dai bombardamenti o dalle operazioni delle forze di coalizione.
Se le cifre riportate sono esatte, il numero delle vittime di ogni mese sale a 15 mila, il quadruplo di quelle dello scorso luglio, considerato il peggiore dal governo iracheno.
Questo più che tragico bilancio, riportato dai quotidiani statunitensi The New York Times e Washington Post, è inoltre 20 volte superiore a quello fornito dal presidente statunitense George W. Bush lo scorso dicembre.
Nessun commento diretto ai risultati dello studio è arrivato dalle autorità statunitensi. Il portavoce del dipartimento della Difesa, il colonnello Mark Ballesteros, citato dal Washington Post, ha sottolineato come il dipartimento ''rimpianga sempre la perdita di vite innocenti in Iraq e in qualsiasi altro luogo''. Ballesteros ha quindi sottolineato come ''le forze della coalizione adottino sempre precauzioni per evitare la morte o il ferimento di civili''.
Contraria allo scetticismo con cui i dati della ricerca sono stati accolti in alcuni ambienti, compreso quello militare, è Sarah Leah Whitson, funzionario di Human Rights Watch di New York. ''Non abbiamo alcuna ragione per mettere in dubbio quanto scoperto e l'accuratezza dello studio. Credo sia importante che, piuttosto che mettere in dubbio i risultati, si realizzi che i dati che arrivano dalle autorità irachene sono molto poco affidabili''.
Come ha fatto notare il New York Times, lo studio è stato pubblicato in un momento delicato per il governo iracheno, che è sottoposto a forti pressioni da Washington: gli Stati Uniti chiedono a Baghdad, infatti, di agire contro le milizie attive nel Paese. Nell'ultima settimana di settembre, tra l'altro, le autorità irachene hanno impedito all'obitorio della capitale e al ministero della Salute di diffondere dati ai media circa i decessi di civili. Adesso quindi, ha ricordato il giornale, solo il governo è autorizzato a fornire dati in merito, ma un funzionario della polizia irachena - a condizione di anonimato - ha rivelato che ogni giorno in Iraq si contano almeno 200 morti.
E intanto è arrivato l'ennesimo allarme dell'Onu sulla drammatica situazione dei civili in Iraq. Il Sottosegretario delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Jan Egeland, ha denunciato che negli ultimi otto mesi 315.000 iracheni sono stati costretti ad abbandonare le proprie case a causa del ''peggioramento molto preoccupante'' delle loro condizioni di vita. Il ministro iracheno per l'Immigrazione, Abdul-Samad Sultan, aveva pochi giorni fa affermato che sono oltre 300.000 le persone sfollate nel paese dall'inizio della guerra. Egeland, invece, ha sottolineato che la fuga è stata innescata dalle violenze seguite all'attacco contro il mausoleo sciita di Samarra, avvenuto lo scorso febbraio. ''Da allora ogni settimana abbiamo una media di 9.000 sfollati'', ha detto il Sottosegretario Onu alla stampa.