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Dal primo rapporto della Direzione nazionale antimafia guidata dal nuovo procuratore Piero Grasso

La trasformazione di Cosa Nostra e la pericolosa forza eversiva della 'ndrangheta

16 gennaio 2006

La Direzione nazionale antimafia ha presentato nei giorni scorsi la sua ultima relazione annuale, un rapporto di quasi 600 pagine sulle mafie italiane. Il primo resoconto della stagione di Piero Grasso, il magistrato che appena nominato superprocuratore ha scelto Reggio Calabria per presentarsi ufficialmente come capo dell'antimafia.
La relazione della Super procura ricostruisce la sua attività dall'1 luglio 2004 al 30 giugno 2005, e affronta tra le tante cose, le trasformazioni della Cosa Nostra siciliana, l'emersione di un vero e proprio ''blocco di borghesia mafiosa'', l'espansione della cosiddetta area grigia, l'intreccio con la politica. Nell'elenco dei processi e delle indagini sulle contiguità si citano tra gli altri il senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri e il governatore Udc della Sicilia Totò Cuffaro, nomi al contrario assenti nella relazione di fine legislatura - non ancora approvata per le polemiche sollevate anche nella stessa maggioranza - della commissione parlamentare antimafia presieduta dall'ex magistrato Roberto Centaro.
La parte dedicata al ''blocco di borghesia mafiosa'' scavalca la figura dei semplici fiancheggiatori e parla di una fascia ''di tecnici, di esponenti della burocrazia, di professionisti, di imprenditori e politici che o sono strumentali o interagiscono con la mafia in una forma di scambio permanente fondato sulla difesa di sempre nuovi interessi comuni''. Tutti questi personaggi stanno sempre di più conquistando ''ruoli di comando''. E' la nuova Cupola di Palermo.
''Le indagini condotte dalla Dda nei confronti delle famiglie palermitane hanno evidenziato l'ascesa a posizioni apicali di mafiosi che rivestono un ruolo significativo nella società civile e nelle professioni''. ''I numerosi approfondimenti - si legge nella relazione che riguarda il distretto di Palermo - realizzati sui nessi tra l'organizzazione criminale e settori della vita economica-amministrativa nel distretto hanno reso palese un quadro di relazioni criminali e di interdipendenze funzionali che ha coinvolto il vertice politico della regione Autonoma siciliana''.

Cosa Nostra è intenta a ricostruire il suo assetto organizzativo, viene scritto nella relazione,  tentando di ''restaurare'' quella struttura organica capace di restituire all'associazione la sua ''tradizionale capacità strategica''. La relazione della Dna conferma il dato che dell'attuale struttura di vertice di Cosa Nostra, ''capace di determinare le linee strategiche dell'associazione mafiosa'', per i magistrati ''fanno parte attualmente Bernardo Provenzano, Salvatore Lo Piccolo (capo del mandamento di San Lorenzo, che tuttavia ha esteso la propria influenza a gran parte del territorio della provincia di Palermo), Matteo Messina Denaro (capo del mandamento di Castelvetrano e, di fatto, dopo la cattura di Vincenzo Virga, capo della provincia di Trapani), tutti latitanti; ed ancora altri personaggi evidenziati da indagini tuttora coperte dal segreto''.
''L'attuale analisi dell'organizzazione dell'ordinamento interno di Cosa nostra - si legge ancora nella relazione del procuratore nazionale antimafia - evidenzia, anche nel distretto palermitano, l'acquisizione di ruoli di comando da parte di uomini d'onore di estrazione borghese e con un significativo profilo professionale o culturale, sicché non è errato desumere da tale fenomeno i sintomi di una rapida evoluzione della struttura organizzativa verso una forma di associazione criminale governata da soggetti acculturati e propensa ad una politica di mediazione e di infiltrazione istituzionale economica e finanziaria, e, al tempo stesso, proiettata ad assumere la fisionomia tipica dell'associazione segreta''.

Nel dossier della Super procura si fa anche un'analisi di tutte le altre mafie, italiane e straniere. Si comincia dall'"invasione" dei cinesi, si racconta dei traffici dei russi, dell'aggressività crescente dei clan albanesi. Molte pagine sono riservate alla ''tratta degli esseri umani''. Impressionanti i numeri degli ultimi cinque anni: 661 procedimenti, 1779 indagati, 874 vittime tra le quali 301 minori.
Ma è la 'ndrangheta che è al centro della relazione annuale, la 'ndrangheta come ''associazione criminale e forza eversiva, tale da porre in pericolo la sicurezza del Paese''.
E' la prima mafia d'Italia, la più ricca e la più potente. Ed è nel capitolo su Reggio Calabria che entra di forza l'omicidio di Francesco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale della Calabria, ucciso il pomeriggio di domenica 16 ottobre 2005, a Locri davanti a un seggio elettorale per le primarie nazionali del centrosinistra.
A pagina 446 i magistrati di via Giulia scrivono: ''La mancanza di motivazioni familiari e personali, la personalità e il ruolo di Fortugno che non ricopriva incarichi di governo, rafforzano la convinzione che l'obiettivo è stato colpito in relazione alla sua collocazione politico-istituzionale, quale simbolo insomma di una politica regionale alla ricerca di una via nuova e diversa di governare, lontana da compromissioni e cedimenti, chiusa a tentativi di infiltrazione''.
Un omicidio strategico, un messaggio di avvertimento ''perché tutto resti come prima e nulla cambi'', un delitto eccellente ''che fatte le debite proporzioni può in qualche modo avvicinarsi a quello del presidente Aldo Moro''. E' stata la 'ndrangheta che vuole imporsi come ''soggetto politico'' a uccidere  uno di quegli amministratori nel Sud ''alla ricerca di una via nuova e diversa di governare''.

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16 gennaio 2006
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