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Dal Rapporto Ue sulla ''Protezione sociale'': 19 milioni di bambini dell'Ue rischia l'indigenza, il 25% sono italiani

01 marzo 2008

I dati contenuti nel rapporto sulla "Protezione sociale" presentato dalla Commissione europea, lanciano un allarme: in Italia un bimbo su 4 è a rischio povertà. Peggio dei nostri ragazzi tra gli 0 e i 17 anni stanno i lituani, i romeni, gli ungheresi, i lettoni e i polacchi. La media Ue è del 19% per i bambini, contro il 16% della popolazione complessiva. L'Italia batte anche questa media, con un totale di cittadini a rischio povertà del 20%, più che in Romania (19%).

Classifica pesante anche per i bambini britannici e spagnoli, appena prima degli italiani, al 24%. I più fortunati sono quelli del Nord Europa, in Danimarca e Finlandia (10%), ma anche in Slovenia (12%), Cipro (11%) e Germania (12%).
Naturalmente il dato non è assoluto, è cioè calcolato in ragione del reddito medio del Paese di residenza, ma questo non consola molto chi è a rischio. Lo studio è ricchissimo di dati presi da ogni punto di vista, e ne emerge, spiega una nota, che le riforme nel campo della protezione sociale e le politiche di inclusione attiva hanno contribuito l'anno scorso a dare impulso alla crescita e all’occupazione in Europa. Si deve però fare di più per assicurare che tali ricadute raggiungano le persone ai margini della società e per migliorare la coesione sociale.

Come illustra il rapporto, a rimanere esposto rischio di povertà è il 16% dei cittadini dell'Ue, mentre circa l'8% si trova a rischio di povertà nonostante il fatto di avere un lavoro. Sui 78 milioni di europei che vivono a rischio di povertà 19 milioni sono bambini. Per spezzare il circolo della povertà e dell'esclusione, si spiega nel rapporto, occorrono politiche sociali mirate e si deve fare in modo che ogni bambino renda meglio a scuola se si vogliono assicurare le pari opportunità per tutti. Si devono rafforzare le politiche di inclusione e di antidiscriminazione anche in relazione ai lavoratori migranti e ai loro figli e alle minoranze etniche. Se i bambini sono poveri, viene ancora spiegato nel rapporto, è perché vivono in nuclei familiari con genitori disoccupati o a scarsa intensità lavorativa o perché il lavoro dei loro genitori non è sufficientemente redditizio e le iniziative a sostegno dei redditi sono inadeguate per ovviare al rischio di povertà. La lotta alla povertà infantile richiede quindi una combinazione di buone opportunità di lavoro che consentano ai genitori di accedere al mercato del lavoro e di progredirvi, azioni adeguate e ben concepite a sostegno dei redditi e la messa a disposizione dei necessari servizi per i bambini e le loro famiglie.

Si deve trovare il giusto equilibrio tra gli aiuti alle famiglie nel loro complesso e quelli rivolti ai bambini di per sé. I Paesi che presentano i risultati migliori mirano le loro iniziative sui bambini più svantaggiati nell’ambito però di un approccio più ampio a sostegno di tutti i bambini.

[Informazioni tratte dal Corriere.it]

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01 marzo 2008
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