Dalla sospensione dei ''dissidenti'' alla ''sfiducia costruttiva''
La guerra tra il governatore Raffaele Lombardo e il Popolo delle libertà non è ancora finita
La guerra tra il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo e il Pdl continua. Dopo che il Comitato di coordinamento nazionale del Popolo delle libertà - composto da Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini - ha deciso di sospendere i tre dissidenti siciliani, Gianfranco Bufardeci, Michele Cimino e Luigi Gentile, causa l'adesione dei tre alla nuova giunta regionale siciliana, in 58 tra amministratori e consiglieri si sono autosospesi dal Pdl per protestare contro la decisione del comitato centrale del partito.
Il primo ad attuare la protesta è stato il sindaco di Siracusa, Roberto Visentin, che è stato seguito da cinque assessori della sua giunta e 15 consiglieri comunali del capoluogo aretuseo. Si sono anche autosospesi tre assessori e 7 consiglieri della Provincia di Siracusa e i sindaci di Avola, Canicattini Bagni e Rosolini e altri 24 appartenenti al partito tra assessori e consiglieri comunali del Siracusano.
Sempre per lo stesso motivo si sono poi autosospesi dal Pdl anche cinque consiglieri provinciali di Agrigento, 70 consiglieri comunali della città dei templi, il presidente del consiglio provinciale, Raimondo Buscemi, il sindaco di Licata Angelo Graci e l'assessore provinciale alla solidarietà sociale Luca Salvato.
I tre "dissidenti" hanno inoltre lanciato un appello al premier Silvio Berlusconi: "Continuiamo a sentirci appartenenti al Pdl, al Popolo delle Libertà, il partito al quale abbiamo dedicato e dedicheremo la nostra passione e la nostra dedizione. In questo scorcio finale di campagna elettorale, per il rinnovo del Parlamento Europeo, saremo impegnatissimi, come lo siamo stati sino ad ora, a favore del nostro leader, il presidente Silvio Berlusconi. A lui chiediamo di dedicarsi di più alla Sicilia, sia in termini di azioni di governo, sia sotto il profilo delle questioni politiche".
Ma, oltre alla sospensione di Bufardeci Cimino e Gentile, nei confronti di Lombardo il Pdl ha tirato un altro colpo basso: un disegno di legge di riforma costituzionale che modifica l'articolo 10 dello statuto della Regione Sicilia.
"Sfiducia costruttiva, ovvero elezione di un nuovo presidente della Giunta regionale espressione della stessa maggioranza uscita dal voto". Questo prevede il disegno di legge presentato al Senato dal Pdl e firmato dal capogruppo Maurizio Gasparri, dal vice Gaetano Quagliariello e dal presidente della commissione Affari costituzionali Carlo Vizzini.
La proposta "vuole rafforzare la logica che ha ispirato la riforma dello statuto siciliano del 2001, eliminandone quegli aspetti che hanno dimostrato di essere incoerenti rispetto al modello. Il ddl, infatti, prevede che, in caso di violazione del patto programmatico con gli elettori o di trasformazione della maggioranza che sostiene il Governo, quest'ultimo possa essere sfiduciato e sostituito con un nuovo presidente eletto dall'Assemblea, nell'ambito della coalizione che ha ottenuto la maggioranza alle elezioni".
"In questi anni - hanno spiegato i firmatari del ddl - in Sicilia, si è corso il rischio di passare in talune occasioni da una democrazia governante ad un regime autoritario. Cessata, e a volte tradita, la volontà popolare, interessi personali e di gruppo sono stati perseguiti a scapito dell'interesse personale. Questo disegno di legge ha lo scopo di garantire che l'elezione diretta del capo del governo contenga dei meccanismi di salvaguardia contro rischi di degenerazioni autoritarie".
"Il Gruppo del Pdl, vista la priorità dell'argomento, farà propria questa proposta - concludono i firmatari - per poter chiedere fin dalla prossima seduta del Senato un iter più rapido, come previsto in questi casi dal Regolamento del Senato stesso". Il testo del ddl prevede che "una sola volta nel corso della legislatura l'Assemblea regionale può approvare una mozione di sfiducia, che determina la decadenza dalla carica del presidente della Regione e degli assessori, nonché l'elezione a presidente della personalità indicata dalla mozione medesima, scelta tra gli appartenenti all'Assemblea. La mozione deve essere sottoscritta dalla metà più uno dei deputati appartenenti alla maggioranza che ha eletto il presidente della Regione, deve essere votata decorsi tre giorni dalla presentazione e approvata a maggioranza assoluta dai deputati eletti nelle liste collegate al candidato eletto presidente della Regione".
"Il disegno di legge costituzionale presentato per la modifica dello statuto siciliano è una cosa che non sta né in cielo né in terra, sono sicuro che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla fine non lo promulgherà". Questo il commento del presidente Lombardo. "E' un'intimidazione - ha aggiunto Lombardo - per dar forza alle loro truppe. Non cederemo e sono pronto a dare agli assessori sospesi dal Pdl deleghe più importanti e pesanti. Se vogliono continuare su questa strada delle intimidazioni, facciano pure, così mi faranno raggiungere la maggioranza assoluta perché le porte del Mpa sono aperte per tutti". [Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, La Siciliaweb.it, Ansa.it]
SICILIA, LO STRAPPO E' SERVITO*
di Agostino Spataro
Dunque, lo strappo è stato consumato. E' nato il Lombardo-bis. Un parto difficile, lacerante, incompleto e, soprattutto, denso di incognite. Un governo "con chi ci sta" aveva minacciato il presidente e così è stato. Solo che a starci sono veramente pochini. Almeno stando alle posizioni ufficiali degli esponenti dei partiti di maggioranza e di opposizione. Tranne che non ci sia una schiera di congiurati pronti a venir fuori al segnale convenuto, Lombardo potrà contare, a occhio e a croce, su una ventina di parlamentari (su novanta) ovverosia sul 22 % dell'Assemblea regionale siciliana. Meno della metà della metà.
Tradotto in termini politici, si ritrova con l'appoggio di un solo gruppo parlamentare (quello del suo Mpa) e di alcuni deputati del PdL.
Si rafforza oltremisura l'opposizione tanto da divenire una stragrande maggioranza. Ai 28 deputati del Partito democratico, infatti, si aggiungeranno i 12 dell'Udc di Cuffaro e quasi l'intero gruppo del Pdl. Un vero primato. In nessuna democrazia si è mai visto un governo poggiare su una minoranza parlamentare così esigua.
Lombardo sembra non curarsi di tutto ciò ed ha varato un governo pur che sia. Saltando passaggi fondamentali della dialettica istituzionale fra potere esecutivo e legislativo in una regione autonoma dove ancora vige un parlamento eletto dal popolo come il presidente.
Non vi sono precedenti cui appellarsi. Non regge nemmeno l'abusato richiamo al governo Milazzo che disponeva di una maggioranza, seppur risicata.
Un esecutivo azzardato che, per sopravvivere, dovrà affidarsi alle paure dei deputati per il minacciato scioglimento anticipato dell'Ars. Una politica nuova non può far leva su paure e minacce che producono solo stati di necessità e ricatti da ogni parte.
Allora, sorge spontanea la domanda: dove si vuole andare a parare? Lombardo ha forse delle carte nascoste da giocarsi? o è solo una pantomima per acquisire visibilità elettorale?
L'opinione pubblica sconosce le vere motivazioni, gli interessi politici e d'altra natura che stanno alla base della clamorosa rottura del centro-destra siciliano, tuttavia capisce che siamo in presenza di un'impennata che non lascia presagire nulla di buono.
Si è varato una sorta di "governo del Presidente" incompleto e senza una maggioranza definita e autosufficiente, senza uno straccio di programma. Coi nomi degli assessori, Lombardo avrebbe dovuto presentare almeno alcune linee guida, tre quattro punti programmatici davvero innovativi e convincenti sia per giustificare l'azzardosa operazione e soprattutto per indicare una nuova prospettiva per la Sicilia.
Il 4 giugno, all'Ars, avremo una prima, importante verifica di tale bizzarra condotta e delle posizioni ufficiali dei partiti. Emergeranno fatti nuovi? Difficile prevederlo. Anche perché questa operazione è nata e si proietta tutta all'insegna della imprevedibilità.
In ogni caso, si apre un ventaglio ampio di scenari diversi e fra loro in contrasto, alcuni dei quali potranno essere riconducibili a logiche politiche anche se anomale e altri affidati al caso.
Di questo passo, alla logica della politica si sostituirà la cabala e per prevedere qualcosa si tornerà ad interrogare gli oracoli. Potrà succedere di tutto, nei prossimi giorni e settimane.
Chi si aspettava il "piano B" (cooptazione del Pd nella maggioranza) resterà deluso. Al suo posto potrebbe essere attuato un "piano C". Mi spiego. Se, il 7 giugno, PdL e Mpa dovessero raggiungere i rispettivi obiettivi elettorali è probabile che fra i due partiti scoppi la pace e si andranno a riempire i tre posti di giunta appositamente lasciati vuoti.
Fantapolitica? Purtroppo siamo costretti a fantasticare, visto che i responsabili della politica reale non fanno molto per farsi capire dai cittadini e dagli elettori. Tuttavia, alcune prese di posizioni autorizzano a non escludere una tale conclusione. E' difficile, infatti, credere che personaggi come Dell'Utri e Miccichè si mettano apertamente in contrasto statutario col partito. In fondo, potranno sempre dire, che si è trattato solo una scazzottata elettorale.
Così come è molto strano che Berlusconi non abbia detto una parola su questa crisi pesante in una regione per lui fondamentale. Ha lasciato parlare i suoi colonnelli romani e siciliani. Coi quali - com'è noto - il governatore non tratta.
Dopo il voto si vedrà. D'altra parte, se Lombardo dovesse superare il quorum quel pugno di deputati europei targati Mpa, sottratti all'Udc e ad altre formazioni minori, potrebbero risultare molto comodi nei giochi di potere per la gestione del nuovo parlamento europeo.
Solo un'ipotesi, per carità.
L'unico fatto certo, anzi certissimo, è l'esclusione dell'Udc dalla nuova giunta. Anche questo un triste primato per Cuffaro e soci. Ma l'esclusione è avvenuta per autodeterminazione dell'Udc o per volontà congiunta fra Mpa e Pdl?
La seconda ipotesi appare più probabile. Prova ne è che Lombardo ha fatto (e continua a fare) di tutto per recuperare l'appoggio di PdL (riconfermando i tre assessori uscenti e nominandone un quarto segnalato da Misuraca e lasciando tre posti per la recalcitrante corrente maggioritaria), invece verso l'Udc nulla di nulla. Ne per l'oggi né per il domani. Certo, pochi si stracceranno le vesti per l'uscita dell'Udc dalla giunta. Tuttavia il fatto provoca una conseguenza politica seria: la modifica sostanziale della maggioranza che ha eletto Lombardo presidente. Correttezza vorrebbe che si tornasse alle urne, al popolo sovrano.
* pubblicato in "La Repubblica" del 30 maggio 2009