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Date a Dio anche quel che è di Cesare... Quella politica ecclesiastica che decide le sorti dei governi nazionali

12 febbraio 2007

Cosa c'è dietro il ''non possumus'' notificato (tramite l'Avvenire) dalla gerarchia cattolica a partiti e governo impegnati nel varo del travagliato provvedimento dei ''Di.co'' sulle coppie di fatto?
Vi sono, certo, motivazioni connesse al merito del provvedimento e pressioni miranti ad influenzare l'evoluzione dell'attuale quadro politico e di governo. Ma non solo. Da questa vicenda, infatti,
emerge un aspetto molto più importante e controverso che va ben oltre la contingenza e che richiama la tradizione e una certa concezione della Chiesa, soprattutto postconciliare, a proposito di legge civile.
Non è un mistero che - secondo il pensiero di Giovanni Paolo II - la legge statale per essere accettata (dai cattolici) deve risultare conforme alla legge morale di derivazione divina. In caso di mancata conformità, il papa incita a non obbedire alle leggi civili, poiché moralmente non obbliganti.
Così egli si esprime nell'enciclica ''Evangelium Vitae'': ''Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante l'obiezione di coscienza...''.
Un'indicazione chiara, mobilitante che spiega quel ''non possumus'' contro un disegno di legge governativo, per altro molto sfumato e di basso profilo.

Ma se vescovi ''non possono'', Benedetto XVI fa di più. Egli, infatti, non si limita ad esprimere una legittima preoccupazione, ma invita, di fatto, a svolgere un'azione di contrasto, appellandosi direttamente ''alla responsabilità dei laici presenti negli organi legislativi, nel Governo e nell'amministrazione della giustizia affinché le leggi esprimano sempre i principi e i valori conformi al diritto naturale...''.
Come dire: i cattolici presenti in Parlamento, nel governo e perfino nell'amministrazione della giustizia si diano da fare per impedire l'approvazione della legge in questione.
Una posizione grave, netta che travalica i limiti di una divergenza, profonda ma legittima, su una materia così delicata e complessa e che si configura come inammissibile ingerenza nella sfera politica e costituzionale dello Stato democratico col quale, per altro, la Chiesa mantiene un sistema di relazioni concordatarie, a lei molto favorevoli.
E dall'ingerenza al conflitto il passo potrebbe essere breve. Nessuno, responsabilmente, si augura che si giunga a tanto. Tuttavia, se non mutano i toni e l'approccio alla questione, la situazione potrebbe divenire difficilmente governabile.
Siano, perciò, benvenuti gli appelli alla concordia e alla comprensione reciproca, purché chi li fa si ricordi di rivolgerli a tutti gli attori in campo. Anche alla gerarchia cattolica che, certo, è liberissima di disapprovare il provvedimento, ma senza, per questo, sollecitare azioni politiche che - di fatto - darebbero fiato a manovre subdole, e a più ampio raggio, miranti a indebolire e, quindi, a destabilizzare l'attuale governo.

La vicenda dei Di.Co segnala un altro preoccupante aspetto inerente al più generale rapporto fra religione, Stato e società per come si sta delineando nell'attuale congiuntura internazionale, segnata dalla diffusione dei movimenti cosiddetti ''fondamentalisti'' che postulano la signoria assoluta di Dio sopra la legge civile e il potere (anche democratico) degli uomini.
Generalmente, si pensa che tali pretese siano retaggio esclusivo dei gruppi integralisti islamici. In realtà, appartiene alle tre principali religioni monoteiste che, grosso modo, propugnano le medesime concezioni, e soluzioni, riguardo ai rapporti con la sfera politica e statuale.
A proposito di questo scottante tema, ho svolto nel mio ''Il fondamentalismo islamico'' (Editori Riuniti) un sobrio confronto fra il pensiero di Giovanni Paolo II, così come espresso nelle sue principali encicliche, e quello di alcuni eminenti teorici islamismi radicali quali: l'ayatollah Khomeyni, Abu Al-Mawdudi, Sayyed Qutb (alla cui dottrina s'ispirano i qaedisti di Bin Laden), Abd al-Qader Audah, ecc.
Ne vien fuori un sorprendente parallelismo. Per non dire altro. Addirittura, riguardo alla spinosa questione della legge civile ''non conforme alla legge di Dio'', il radicale pakistano al-Mawdudi la condanna, ma scrive che ''i credenti possono accettarla come un dato di fatto... anche se non la riconoscono come potere legittimo...'', mentre il Papa polacco chiama i fedeli, anche quelli operanti nelle istituzioni dello stato, ''a un preciso obbligo di opporsi ad esse mediante l'obiezione di coscienza''.

Forse, se la gerarchia cattolica avesse mostrato più realismo - alla Mawdudi per intenderci - e non questa reazione di chiusura rispetto alla questione, reale e drammatica, delle coppie di fatto oggi non avremmo questa pesante perturbazione della situazione politica e del senso morale della nazione.

Agostino Spataro

Articolo pubblicato in ''Liberazione'' del 11 febbraio 2007, col titolo ''La pretesa della signoria di Dio sulle leggi dello Stato non è solo dei fondamentalisti islamici''

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12 febbraio 2007
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