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DdL - Divorzio della Libertà

Tra Berlusconi e Fini è tutto finito: "Il governo non ha più fiducia nel presidente della Camera"

30 luglio 2010

"Mi sono tolto un peso, mi sento liberato. Come quando ho divorziato". Qualcuno ha detto che queste che avete appena letto sono state le parole del premier, Silvio Berlusconi, al termine di quello che sarà ricordato come "il giorno più lungo della legislatura". Il Cavaliere del Popolo della Libertà ha mandato via Gianfranco Fini, che del partito è stato prezioso cofondatore, ed ha tirato un sospiro di sollievo pensando possibile anche un'imminente campagna elettorale. "Vediamo quanti parlamentari gli andranno dietro. Se ci renderanno la vita difficile, torneremo al giudizio degli italiani" dicono che abbia detto.

Quello di ieri, a palazzo Grazioli, è stato un vero e proprio "consiglio di guerra", alla fine del quale Berlusconi, durante una breve conferenza stampa, ha letto il passaggio finale del documento approvato dall'ufficio di presidenza del Pdl: "Allo stato viene meno la fiducia nei confronti del ruolo di garanzia del presidente della Camera". In più, sempre nel documento, vi è impressa la decisione del deferimento ai probiviri del vicecapogruppo alla Camera Italo Bocchino, il vicepresidente della commissione Antimafia Fabio Granata e Carmelo Briguglio.
L'ufficio di presidenza inoltre considera "le posizioni dell'onorevole Fini assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della Libertà, con gli impegni assunti con gli elettori e con l'attività politica del Popolo della Libertà".
Il premier ha ricordato che il documento, lungo 6 pagine, è stato approvato con 33 voti favorevoli e 3 contrari (i finiani Andrea Ronchi, Adolfo Urso e Pasquale Viespoli).

"Il Popolo della Libertà dice no al gioco al massacro" ha affermato Berlusconi sottolineando che gli "elettori non tollerano più che nei confronti del governo vi sia un atteggiamento di opposizione permanente, spesso oggettivamente in sintonia con posizioni e temi della sinistra e delle altre forze contrarie alla maggioranza, condotto per di più da uno dei vertici delle istituzioni di garanzia". Per il premier, "i nostri elettori non sono più disposti ad accettare una forma di dissenso all'interno del partito che si manifesta nella forma di una vera e propria opposizione, con tanto di struttura organizzativa, tesseramento e iniziative, prefigurando giù l'esistenza sul territorio e in Parlamento di un vero e proprio partito nel partito, pronto addirittura a dar vita a una nuova aggregazione politica alternativa al Pdl".
"Mai prima d'ora è avvenuto che il presidente della Camera assumesse un ruolo politico così pronunciato perfino nella polemica di partito e nell'attualità contingente - si legge in un passaggio del documento - rinunciando a un tempo alla propria imparzialità istituzionale e a un minimo di ragionevoli rapporti di solidarietà con il proprio partito e con la maggioranza che lo ha designato alla carica che ricopre". Il documento prosegue spiegando che "questo atteggiamento di opposizione sistematica al nostro partito e nei confronti del governo che nulla hanno a che vedere con un dissenso che legittimamente può essere esercitato all'interno del partito, ha già creato gravi conseguenze sull'orientamento dell'opinione pubblica e soprattutto dei nostri elettori, sempre più sconcertati per un atteggiamento che mina alla base gli sforzi positivi messi in atto per amalgamare le diverse tradizioni politiche che si riconoscono nel Popolo della Libertà".
"Le posizioni dell'onorevole Fini - si legge ancora - si sono manifestate sempre di più non con un legittimo dissenso bensì come uno stillicidio di distinguo o contrarietà nei confronti del programma di governo sottoscritto con gli elettori e votato dalle Camere, come una critica demolitoria alle decisioni prese dal partito, peraltro note e condivise da tutti, e infine come un attacco sistematico diretto al ruolo e alla figura del presidente del Consiglio".
"Abbiamo ritenuto che fosse arrivato il momento, non più derogabile, di fare chiarezza" ha detto poi il premier rispondendo ad alcune domande dei cronisti. A chi gli ha chiesto se il documento, in qualche modo, possa essere una sollecitazione al presidente della Camera per il suo incarico, il Cavaliere ha replicato: "Riteniamo sia logico lasciare ai membri del Parlamento di assumere iniziative al riguardo". "Ma - ha assicurato Berlusconi - il governo non è a rischio, abbiamo la maggioranza nel paese e il premier è al 60% del gradimento".

No comment ieri sera da Fini che al termine della conferenza dei capigruppo ha infatti evitato ogni dichiarazione di fronte ai giornalisti che lo incalzavano. La replica di Fini arriverà nel primo pomeriggio in conferenza stampa. Ma avrebbe già detto ai suoi, secondo quanto riportano oggi i quotidiani, che la carica della Presidenza della Camera non è nella disponibilità del premier e che, quindi, non intende lasciare Montecitorio. Inoltre i parlamentari vicini alle sue posizioni sarebbero già pronti a costituire gruppi autonomi alle Camere con 34 deputati e 14 senatori.
Secondo indiscrezioni dell'ultima ora dovrebbe essere Azione nazionale e non Nazione e Libertà il nome dei gruppi finiani in Parlamento. Il cambiamento sul filo di lana, sarebbe dovuto alla volontà di far tornare An in Parlamento.

"Ora il problema è che non si pensi che si possa andare avanti a tarallucci e vino: il presidente del Consiglio venga urgentemente in Parlamento". E' stato Pier Luigi Bersani a prendere la parola in apertura della seduta dei lavori della Camera per chiedere, di fatto, la parlamentarizzazione della crisi interna al Pdl.
"In queste ore succedono fatti di assoluto rilievo politico e istituzionale che meritano di essere valutati subito - ha detto il segretario del Pd -. I fatti sono evidenti, non possono essere aggirati o elusi. Il capo del governo certifica in modo solenne la frattura incomponibile nel maggior partito della maggioranza". Bersani ha parlato di "un dissidio insanabile, che il Paese ha visto via via motivarsi attorno a temi come la legalità, la democrazia, le grandi questioni che sono i temi sui quali l'opposizione dal primo momento ha indicato la criticità, il limite di questo governo. Inoltre - ha aggiunto Bersani - il presidente del Consiglio ha di fatto sfiduciato il presidente della Camera, arrogandosi un potere che non ha, che non è il suo. Perché il presidente della Camera è di tutti, anche di quelli che non l'hanno votato". Per il leader democratico, "davanti a fatti come questi, il Parlamento deve tornare ad essere la casa della discussione democratica, il presidente deve venire in Parlamento a spiegarci, a consentirci di discutere". Alla richiesta di Bersani si sono allineate anche Udc e Idv.
Per Antonio Di Pietro, leader di Italia dei Valori, Fini dovrebbe "dimettersi da presidente della Camera così finalmente potrà riacquistare un po' di dignità e ricominciare a fare politica come si deve fare senza tapparsi il naso votando leggi vergogna". "Rilancio la mia proposta - ha aggiunto Di Pietro - chiedo a tutte le persone perbene di votare la sfiducia al governo Berlusconi. Idv, nella futura coalizione, sarà sempre contro le destre ma, in questo momento, Fini deve stare con noi e mandare a casa il presidente del Consiglio. Noi di Italia dei Valori abbiamo già presentato la sfiducia".

Via libera ai gruppi dei finiani - Le dimissioni di 34 deputati finiani dal gruppo del Pdl sono già in mano al capogruppo Fabrizio Cicchitto, oggi dovrebbero arrivare a Maurizio Gasparri, ex compagno di strada, quelle di 14 senatori. E in tarda mattinata i gruppi autonomi dei fedelissimi del Presidente della Camera dovrebbero già essere costituiti, con correlata conferenza stampa di Gianfranco Fini, politicamente 'espulso' dall'ufficio di presidenza del Pdl.
Berlusconi aveva appena terminato di dare lettura del duro documento politico che sancisce il definitivo divorzio dei due co-fondatori del Pdl. E Fini, riunito con i suoi a Montecitorio, dava la linea: fedeltà al governo e ad ogni impegno preso con gli elettori del Pdl mai in discussione, gruppi autonomi, stop alle esternazioni incontrollate dei singoli. Quanto alla Presidenza della Camera, una secca replica al premier che parla di un "venir meno" della fiducia del Pdl rispetto al ruolo di garanzia del Presidente della Camera indicato dalla maggioranza che ha vinto le elezioni: "La presidenza della Camera non è nella disponibilità del presidente del Consiglio. Io non mi dimetto".
Fini ha adesso gioco facile nel portare dalla sua parte quei parlamentari a lui fedeli che ancora oggi aspettavano di vedere quanto duro fosse il documento di censura politica verso il Presidente della Camera prima di dare la loro disponibilità all'ingresso in un gruppo autonomo.

Tutti gli uomini del presidente... Fini - Un giornale, una fondazione, un laboratorio politico; e un manipolo di deputati e senatori fedeli alla linea del capo. Sono queste le "truppe" di Gianfranco Fini, schierate a sostegno della linea politica del presidente della Camera.
La galassia dei finiani comprende in primo luogo i parlamentari più vicini al numero uno di Montecitorio. Sulla carta dovrebbero essere 33 alla Camera e 14 al Senato, ma la reale consistenza del gruppo si conoscerà solo al momento del distacco.
Italo Bocchino
, attuale vice capogruppo del Pdl alla Camera (prima era anche il vicario di Fabrizio Cicchitto), è il braccio destro di Fini alla Camera. Insieme al vicepresidente dell'Antimafia Fabio Granata, al sottosegretario Andrea Augello e al deputato Carmelo Briguglio, Bocchino ha spinto la polemica contro Berlusconi fino alle estreme conseguenze. Una posizione cruciale è quella di Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia, che ha il compito di frenare gli impeti di Niccolò Ghedini e degli altri parlamentari-avvocati del premier.
Al Senato, la pattuglia finiana è guidata da Pasquale Viespoli. Altri finiani doc sono il ministro per le politiche comunitarie Andrea Ronchi, unico fedelissimo del presidente della Camera nel consiglio dei ministri, il vice ministro Adolfo Urso, il presidente della commissione Lavoro di Montecitorio Silvano Moffa, già presidente della provincia di Roma e Domenico Menia, gli ultimi due su posizioni più moderate rispetto a Bocchino e Granata. Ci sono poi i teorici del Fini-pensiero, raccolti intorno al think tank "Farefuturo". Alessandro Campi è l'intellettuale che ha disegnato su Fini l'abito della nuova destra italiana alternativa al berlusconismo. Il direttore del webmagazine della fondazione, Filippo Rossi, ha il compio di lanciare online le sfide a tutto campo dei finiani: dal doppio turno ai cantautori, senza dimenticare l'affondo contro le veline compiuto dalla giovane ricercatrice Sofia Ventura. Se "Farefuturo alimenta il dibattito sulla rete", il "Secolo d'Italia" porta ogni giorno in edicola le posizioni di Fini. Lo dirige Flavia Perina, deputata del Pdl con una lunga militanza alle spalle nella destra post-missina. Ultimo nato nella galassia "F", il laboratorio politico di Generazione Italia, associazione lanciata da Fini in alternativa ai Promotori della Libertà voluti da Berlusconi. Vicina a Fini anche la "Fondazione Alleanza nazionale", presieduta da Donato La Morte: la fondazione, oltre a conservare l'archivio di An, ha anche la gestione del patrimonio immobiliare del vecchio partito.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, Repubblica.it, Corriere.it, La Siciliaweb.it]

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30 luglio 2010
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