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Diciassette anni dopo

19 luglio 1992: 17 anni senza verità. Ma forse, tutto questo sta per finire...

18 luglio 2009

Sono passati diciassette anni dal giorno in cui giudice Paolo Borsellino e la sua scorta (gli agenti Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Walter Eddie Cosina) furono trucidati da un'autobomba esplosa in Via Mariano D'Amelio.
Diciassette anni pieni d'ombre, di false testimonianze, reticenze, omertà. Diciassette anni senza verità.

Per ricordare il giudice Paolo Borsellino, il cui martirio è strettamente collegato a quello del collega e amico Giovanni Falcone, morto cinquantasette giorni prima, sono stati organizzati tre giorni di iniziative. Si inizia oggi, nel primo pomeriggio: dal luogo dell'eccidio partirà la "Marcia delle agende rosse" verso il castello Utveggio, chiaro riferimento all'agenda di Borsellino fatta sparire subito dopo la strage. Di sera, alla Facoltà di Giurisprudenza, si terrà il dibattito su "I mandanti impuniti", organizzato dalla rivista Antimafia Duemila e nel quale interverranno: Salvatore Borsellino, Antonio Ingroia, Giuseppe Lumia, Luigi de Magistris, Giorgio Bongiovanni, Gianni Barbacetto. Alle 22 veglia organizzata dall'Agesci in via D'Amelio. Domani, domenica 19, alle 8, in via D'Amelio, presidio fino alle 16.40 con interventi di giornalisti, associazioni e cittadini. Alle 16.55, ora dell'esplosione, minuto di silenzio. Le iniziative si protranno fino a sera e l'indomani, lunedì, ci sarà al palazzo di Giustizia un presidio di solidarietà ai magistrati.
Tre giorni organizzati e curatai da Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, e dal Comitato Cittadino "19 luglio1992". "Questa non deve essere una manifestazione qualsiasi - ha spiegato Salvatore Borsellino - deve essere quella scintilla che dovrà provocare un incendio nella massa amorfa di chi non sa, non si rende conto del baratro in cui è precipitato il nostro Paese. E non basterà neanche partecipare, bisognerà che ciascuno di noi si attivi al massimo delle proprie possibilità perché questa manifestazione abbia il massimo della partecipazione e il massimo della risonanza. O sarà ancora una occasione sprecata. E non credo che possiamo permettercene ancora".

Già, un'occasione per trovare quella verità che per diciassette anni è stata tenuta vergognosamente nascosta. Ma forse tutto questo sta per finire...
Alla procura della Repubblica di Palermo e di Caltanissetta - dove le indagini sulle stragi del '92 non si sono mai interrotte - si lavora con tanta alacrità, come se la strage in cui fu ucciso Paolo Borsellino fosse stata compiuta nei mesi scorsi. Nulla sembra come prima, e la strage sembra tutta da riscrivere. A tutto ciò si aggiunge che Salvatore Borsellino, fratello del magistrato, insiste nel sostenere che il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, Nicola Mancino, ministro da pochi giorni all'epoca della strage di Via D'Amelio, era a conoscenza della trattativa e del relativo " papello" (il presunto documento in cui sarebbero state contenute le condizioni dettate da Totò Riina al governo per sospendere le attività stragiste) (LEGGI). In più le "rivelazioni" del "dichiarante" Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo, che da giorni sui quotidiani fa intendere di aver parlato proprio del ruolo del vicepresidente del Csm con i magistrati di Caltanissetta e promette , addirittura, di consegnare copia del "papello" (Leggi "IL PAPELLO", "IL PAPELLO (II puntata)") danno un quadro della situazione quantomeno esplosivo.

I magistrati di Caltanissetta sono alle prese con il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, il killer di don Puglisi, da oltre un anno. L'ex vice capo del mandamento di Brancaccio, infatti, sta riempiendo pagine e pagine di verbali raccontando la sua vita criminale e quella di alcune famiglie di Cosa Nostra protagoniste delle "stragi" che nei primi anni novanta insanguinarono l'Italia. Spatuzza, fra l'altro sostiene, ed è ciò che fa saltare la "verità" finora raccolta negli atti giudiziari, che fu lui a rubare la 126 Fiat che imbottita di tritolo fu utilizzata per l'attentato del 19 luglio 1992 in via D'Amelio e di avere ricevuto l'incarico dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Ha indicato ai magistrati di Caltanissetta il luogo esatto dove l'auto fu rubata. Una ricostruzione accertata oggi come vera ed originale dai magistrati di Caltanissetta guidati da Sergio Lari (LEGGI). Ma che sconfessa Vincenzo Scarantino. L'ex pentito che sta scontando 18 anni - e che si autoaccusò del furto, salvo, successivamente, ritrattare tutto - , raccontò (e la sua verità è stata fatta propria anche dalle sentenze della Cassazione), invece, di avere incaricato del furto dell'auto due balordi, su input del boss Salvatore Profeta. Scarantino successivamente ritrattò tutto e accusò magistrati e investigatori di averlo "addestrato". Alcuni magistrati all'indomani di queste accuse furono inquisiti dalla procura di Catania, ma la vicenda si chiuse con una archiviazione perché Scarantino puntualizzò che non si riferiva ai magistrati di Caltanissetta.

Anche Giovanni Brusca, uno dei pentiti più accreditati da diverse procure, ha sollevato più di un dubbio e in due occasioni. La prima nel corso di un processo a Catania sulle "stragi", qualche anno fa dichiarò: "Ci sono innocenti in carcere per l'eccidio di via D'Amelio". La seconda quando riferì di aver chiesto a Totò Riina se "quelli si sono fatti sentire" (cioè se il boss Pietro Aglieri e il vicecapo del mandamento Carlo Greco avessero o meno partecipato alla strage) e di aver avuto per risposta: "non li ho chiamati e non si sono fatti sentire". Ad aggiungere "dubbi" e riserve le dichiarazioni rese a "La Stampa" dall'ex piemme, "in applicazione", di Caltanissetta Ilda Boccassini. Il magistrato ha sostenuto che le dichiarazioni di Scarantino non l'hanno mai convinta, tanto è vero che prima di lasciare, per scadenza dell'incarico, la procura nissena, nel '94 in dieci pagine di verbale espresse tutte le sue riserve. A far dubitare dell'attendibilità di Scarantino già nel '94, secondo la Boccassini, furono le dichiarazioni del "pentito" su presunti mandanti le "stragi" (LEGGI).

Quanto al presunto incontro fra Borsellino e Mancino al Viminale, il 1 luglio del '92, e cioè lo stesso giorno in cui quest'ultimo si insediava al ministero, il vicepresidente del Csm si è sempre difeso: "Non ho precisa memoria di tale circostanza, anche se non posso escluderla. Era il giorno del mio insediamento, mi vennero presentati numerosi funzionari e direttori generali. Non escludo che tra le persone che possono essermi state presentate ci fosse anche il dottor Borsellino. Con lui però non ho avuto alcuno specifico colloquio e perciò non posso ricordare in modo sicuro la circostanza". Smentendo così il fratello del magistrato che continua a indicare in quell'incontro l'occasione in cui i due parlarono del "papello" o comunque della trattativa fra Cosa Nostra e lo Stato. I magistrati di Palermo per saperne di più su questa vicenda recentemente hanno ascoltato l'ex ministro dell'Interno Vincenzo Scotti, predecessore di Mancino, e il presidente del Consiglio dell'epoca Giuliano Amato. Quanto poi a Massimo Ciancimino e a cosa abbia rivelato di nuovo su questo presunto incontro non si sa, nulla è stato fatto trapelare.

Inoltre, si da la caccia ad un agente dei servizi segreti che potrebbe essere coinvolto in entrambe le stragi del 1992 e nell'attentato fallito alla villa di Giovanni Falcone all'Addaura. Un uomo dalla faccia sfregiata, con una "faccia da mostro" come lo hanno descritto diversi testimoni (LEGGI).
Insomma, sembra che si sia vicini alla verità. "Sembra stiano emergendo delle nuove verità che stanno rischiarando delle zone d'ombra rimaste al buio per troppi anni" ne è convinto anche il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. "Tanti anni, dalla morte di Borsellino, non sono passati inutilmente l'impegno della magistratura sta dando dei frutti".
Una verità attesa spasmodicamente, da diciassette anni, da Agnese Borsellino, moglie del giudice Paolo. "Se mi dicono perchè l'hanno fatto, se confessano, se collaborano con la giustizia, se consentono di arrivare a una verità vera, io li perdono. Devono avere il coraggio di dire chi glielo ha fatto fare, perchè l'hanno fatto. Di fronte al coraggio io mi inchino. Io perdono coloro che mi dicono la verità e allora avrò il massimo rispetto per loro, perchè sono sicura che nella vita gli uomini si redimono". 

- L'ultima pista: "In un hotel la regia della strage di via D'Amelio" di A. Bolzoni e F. Viviano

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18 luglio 2009
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