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Distrutte le intercettazioni tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino

Per la Cassazione è stato sanato così il "vulnus costituzionalmente rilevante"

23 aprile 2013

Il gip del Tribunale di Palermo Riccardo Ricciardi, dopo la sentenza della Cassazione di quattro giorni fa, ha distrutto ieri le intercettazioni telefoniche tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l'ex ministro Nicola Mancino registrate dalla Procura di Palermo nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia. Oltre al gip Ricciardi era presente anche il tecnico che ha materialmente distrutto il file audio e un cancelliere.
Erano stati i legali di Massimo Ciancimino, uno degli imputati del processo-trattativa, a rivolgersi alla Cassazione per opporsi alla distruzione delle intercettazioni tra Napolitano e l'ex ministro Mancino che era già stata decisa dal gip Ricciardi. Il capo dello Stato, la scorsa estate, aveva anche sollevato un conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo, "vinto" dallo stesso Quirinale.

Il "vulnus" e le motivazioni della Cassazione - Le intercettazioni tra il capo dello Stato Giorgio Napolitano e Nicola Mancino "devono essere distrutte con procedura camerale", senza contraddittorio tra le parti, perché le registrazioni hanno costituito un "vulnus costituzionalmente rilevante". Così ha scritto la Cassazione nelle motivazioni del provvedimento con il quale ha dichiarato inammissibile il ricorso di Ciancimino jr, depositate proprio ieri, giorno della distruzione.
La procedura camerale nel contraddittorio tra le parti - spiega la Cassazione - è applicabile per le ipotesi di violazioni di norme processuali, mentre è preclusa nel caso in cui vi siano state violazioni di ordine sostanziale riconducibili a diritti e interessi di rilievo costituzionale, poiché "l'accesso alle parti potrebbe neutralizzare la ratio della tutela riconosciuta".

Citando quanto stabilito dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n.1 del 2013 in accoglimento del conflitto sollevato dal Quirinale nei confronti della procura di Palermo, aveva disposto "l'immediata distruzione" dei file audio con le quattro telefonate, i giudici della Cassazione ribadiscono che la distruzione delle conversazioni doveva avvenire con "modalità idonee ad assicurare la segretezza del contenuto delle conversazioni intercettate". "Una disposizione - si legge nella sentenza - vincolante non solo per il procuratore della Repubblica, ma anche del giudice chiamato a procedere con la distruzione".
Nel ricorso i legali di Ciancimino chiedevano di ascoltare le conversazioni in virtù del diritto di difesa. La Consulta - rileva invece la Cassazione - ha ritenuto che costituisca fondamento imprescindibile per la risoluzione del conflitto "il rango degli interessi coinvolti nel caso di intercettazioni di colloqui presidenziali" e che "i principi tutelati dalla Costituzione non possano essere sacrificati in none di una astratta simmetria processuale". E, concludono i supremi giudici, "la chiarezza di tali argomenti rendere dunque manifestamente infondata la questione di costituzionalità eccepita dal ricorrente".

"Ritengo questo un atto gravissimo e lesivo dei miei diritti di difesa in un processo per diffamazione avviato contro di me su querela di Nicola Mancino (e, ancor più, nel processo Borsellino quater sulla strage di via D'Amelio e nel processo sulla trattativa Stato-mafia, nei quali sono parte civile) e una diretta conseguenza della rielezione alla presidenza della Repubblica di un individuo come Napolitano che, in merito alla possibilità di diffusione di queste intercettazioni, ha sempre manifestato un autentico panico". Così Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso in via D'Amelio, ha commentato la distruzione delle intercettazioni tra il capo dello Stato e l'ex ministro Mancino. "Se la impossibilità per me di audire queste intercettazioni dovesse diventare definitiva - ha aggiunto - farò causa allo Stato per il comportamento di Napolitano, della Corte Costituzionale e dell'autorità giudiziaria che, in ossequio alle decisioni di un presidente della Repubblica che con il suo comportamento vilipende l'istituzione che occupa, eliminano delle prove che potrebbero essere utilizzate a propria difesa, da un privato cittadino. Il quale, indipendentemente dal cognome che porta, ha l'unica colpa di pretendere verità e giustizia sulla strage di via D'Amelio, sulla trattativa che la ha provocata e su chi, riguardo a questa, vuole ad ogni costo mantenere il silenzio".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Corriere del Mezzogiorno]

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23 aprile 2013
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