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Diversi da noi

Se l'Uomo non riuscirà ad accogliere l'altro da se, lo scontro tra le civiltà lascerà sul terreno solo cadaveri

31 agosto 2006

Fino a quando l'Uomo non riuscirà a comprendere in pieno che tutti facciamo parte dello stesso mondo, fino a quando non riuscirà ad abbattere dai propri pensieri i confini che lo isolano inutilmente ''dall'altro'', fino a quando non comprenderà che l'unica cosa importante è dire ''Io sono un essere umano e come tale appartengo alla Terra, come essa stessa mi appartiene'', la paura della diversità continuerà, ogni giorno, a rinvigorire il fuoco dell'odio e a mietere vittime.
Se l'Uomo non riuscirà ad accogliere l'altro da se, senza voler che questo cambi, senza voler che questo sia suo schiavo, lo scontro tra le civiltà si inasprirà sempre di più fino a che sul terreno non rimarranno cadaveri. A quel punto sarà la morte che renderà tutti uguali.

Nelle scorse settimane la triste storia di Hina Saleem, la ragazza pachistana sgozzata dal padre e poi  sepolta nel giardino di casa, perché non rispettava le regole di una cultura, quella musulmana, che a lei non appartenevano ma che le venivano imposte con la forza fino a diventarne vittima, ci ha messo di fronte ad una realtà enormemente diffusa nel nostro e in qualsiasi altro paese multietnico. Una realtà domestica e quotidiana, tanto terribile quanto più intima, dentro alla nostra, vicina, vicinissima eppure troppo lontana.
La morte di Hina, giovane e bella pakistana cresciuta in Italia e che italiana voleva essere, perché tale era, ha cancellato le distanze, abbattuto i muri, travalicato i confini. La morte di Hina ci ha ricordato che il ''diverso'' è un concetto biunivoco, e che quando questo concetto si associa all'integralismo e alla paura può diventare letale.
Realtà vicinissime e quotidiane, dicevamo, che accadono dietro la porta dell'appartamento accanto al nostro. Come accadeva in un appartamento a Palermo, dove una giovane tunisina 19enne veniva tenuta segregata dal padre e dal cugino a colpi di botte, perché non volevano che frequentasse i suoi coetanei e li imitasse nello stile di vita occidentale. Non poteva neanche affacciarsi alla finestra.
Un'assurda prigionia finita ieri mattina grazie all'intervento dei carabinieri che l'hanno liberata dopo l'allarme lanciato dalla stessa giovane al 112 attraverso un telefono cellulare trovato nell'abitazione.
Accortasi dell'arrivo dei carabinieri, la ragazza è riuscita a impossessarsi delle chiavi dell'appartamento e le ha lanciate dalla finestra ai militari del Nucleo Radiomobile del Comando provinciale di Palermo che poco dopo sono entrati in casa, liberandola.

La giovane, da anni nel territorio italiano, appena liberata ha dichiarato di essere stata più volte malmenata dal padre e dal fratello, entrambi residenti a Palermo, in regola con il permesso di soggiorno, i quali non volevano che uscisse con i ragazzi della sua età perché pur essendo 19 enne, per la legge del loro Paese è ancora minorenne. La giovane, accompagnata all'ospedale Ingrassia, è stata ricoverata per trauma cranico facciale e cervicale e sospetta lesione alla milza.
Dalle indagini si è appurato, inoltre, che il padre della giovane aveva incaricato un cugino, un tunisino 48 enne trovato dai carabinieri nelle immediate vicinanze dell'appartamento, di controllare che la figlia non uscisse di casa, affidandogli anche le chiavi dell'appartamento.
Il padre della giovane, un 50enne, e il cugino di questo, sono stati arrestati per sequestro di persona e maltrattamenti in famiglia. Denunciato in stato di libertà, invece, il fratello, M.S. 21 anni, per lesioni in concorso.
La ragazza, che adesso sta bene, ha espressamente chiesto di non voler  incontrare i suoi familiari, e di voler vivere la propria vita con determinazione e serenità.

E mentre tutti noi ci auguriamo che questa storia possa continuare ad essere una storia positiva, nel sito del New York Times sono state diffuse delle immagini atroci provenienti dalla Cecenia, un documento sconvolgente che racconta di quanto può diventare assurdamente feroce l'intolleranza e la paura nei confronti del ''diverso'' e verso chi vuole andare incontro all'altro da se.
Il video mostra una giovane donna che fissa la telecamera con gli occhi pieni di paura. Le sue sopracciglia sono rasate, i capelli tagliati cortissimi e dipinti di verde, sulla fronte una croce anch'essa verde simbolo di vergogna per una donna musulmana. Queste immagini (un'esclusiva del NYT) testimoniano uno dei tanti volti della violenza quotidiana che affligge la Cecenia. Il filmato mostra una ragazza incinta, Malika Soltayeva, 23 anni, sospettata di aver tradito il marito con un soldato russo cristiano, mentre viene umiliata e torturata dalla polizia cecena. I poliziotti le rasano i capelli e le sopracciglia, le urlano insulti e le ordinano di spogliarsi. Lei obbedisce, cerca di coprirsi con le mani ma le ordinano di mettersi in una posizione tale per cui possano picchiarla più facilmente. Le immagini per un attimo vengono fermate ma dalle urla di dolore della giovane si intuisce facilmente cosa le stia accadendo. Il video riprende. Ora la donna è vestita, si trova in una strada e ha ancora i capelli tinti di verde. La sua umiliazione pubblica deve ancora cominciare. I poliziotti le ordinano di danzare, la colpiscono ripetutamente con calci sulla schiena. Il video continua con altri casi di altre presunte adultere ma con lo stesso brutale sadismo dei poliziotti.

Fino a quando l'Uomo non riuscirà a comprendere...

- Il video sul sito del NYT (avviso agli utenti: il filmato contiene immagini violente)

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31 agosto 2006
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