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Domande senza risposta

Articolo di Cristiana Pulcinelli (l'Unità)

21 ottobre 2005

Mancanza di informazione e cattiva informazione. In Italia, purtroppo, ce le abbiamo entrambe e il caso dell'influenza aviaria le ha portate in evidenza tutte e due. Non dovrebbe essere difficile, ad esempio, sapere perché l'antivirale «Tamiflu» non si trova nelle farmacie italiane. Invece sembra impossibile. Il ministero della Salute non sa.
L'Agenzia Italiana del Farmaco, che autorizza l'immissione in commercio dei farmaci nel nostro Paese, risponde a tarda sera: «La predetta specialità è stata autorizzata con Procedura Centralizzata Europea (GU n.269 del 19-11-03) ma non è attualmente commercializzata in Italia dall'azienda». Il Tamiflu in Italia non c'è, sembra, perché la Roche, la casa farmaceutica che lo produce, non ha interesse a metterlo in vendita da noi. Intanto la Spagna ne compra da sei a dieci milioni di dosi. E la Svizzera vende anche agli italiani che possono spingersi fin lì.

C'è da dire che sull'efficacia di questi antivirali c'è anche una certa disinformazione. Abbiamo sentito giornalisti confonderli con il vaccino, mentre si è diffusa l'idea che possano essere la soluzione per una pandemia influenzale prossima ventura. Mancanza di informazione e cattiva informazione sono come un virus pericoloso: le tue azioni, dal momento in cui lo prendi, non saranno più dettate da una sana ragione, ma da un panico irrazionale. Il che sembra proprio quello che sta avvenendo.
Cercare di fare una scorta disperata di farmaci antivirali pagandoli magari dieci volte il loro prezzo su Internet non sembra ragionevole. Primo perché la pandemia non c'è. Secondo perché sull'efficacia degli antivirali ci sono dubbi. Quello che si è visto è che due farmaci che fanno parte della classe degli inibitori della neuraminidasi possono ridurre la durata (di un giorno) e la gravità della malattia causata dal virus dell'influenza umana stagionale che circola ogni anno. Sono l'osteltamivir (nome commerciale Tamiflu) e lo zanamivir (nome commerciale Relenza). Nei casi di infezione da H5N1 si pensa che questi farmaci potrebbero migliorare le prospettive di sopravvivenza se somministrati in tempo, ma i dati clinici in proposito sono limitati visto che poche persone finora si sono infettate con questo virus. Inoltre, c'è il problema tempo: gli antivirali infatti sono efficaci se somministrati entro 48 ore dalla comparsa dei sintomi, ma i sintomi dell'influenza possono essere confusi con quelli di altre virosi. C'è poi un'altra classe di antivirali più vecchi dei precedenti, sono gli inibitori della M2, ma alcuni ceppi di H5N1 in circolazione si sono dimostrati già resistenti a questi farmaci.

Il virus della cattiva informazione ha anche altre conseguenze. Chi ne è colpito, ad esempio, smette di mangiare pollo e uova. Ma non c'è prova scientifica che il virus dell'influenza aviaria venga trasmesso mangiando la carne dei polli, né tantomeno le uova, soprattutto quando siano cotte. La trasmissione avviene per altre vie, ovvero attraverso le secrezioni corporee dell'animale: ci si infetta toccando la saliva, le feci, oppure oggetti contaminati dalle feci degli animali malati.

Infine, la disinformazione colpisce anche il vaccino. Abbiamo sentito giornalisti del Tg affermare: «Il vaccino non ci protegge contro l'influenza aviaria, ma comunque è meglio farlo». Perché? Non c'è motivo per cui un vaccino preparato contro il ceppo di influenza umana che si ripresenta ogni inverno possa proteggerci contro l'influenza aviaria. Prima di tutto perché è ancora aviaria, ovvero colpisce gli uccelli e non ancora gli uomini, se non quelli a stretto contatto con polli e anatre come gli allevatori del sud est asiatico. Il virus potrebbe mutare, questo è vero, e diventare un virus in grado di infettare più efficacemente l'uomo, magari per via aerea come avviene normalmente per l'influenza umana. Ma in che modo muterà nessuno può saperlo in questo momento. E siccome i vaccini vengono prodotti a partire dal virus che devono combattere, è chiaro che finché la mutazione non avviene e il virus nuovo non emerge nessun vaccino sarà disponibile per l'uomo. Il vaccino che vendono nelle farmacie è un vaccino che funziona contro un altro ceppo virale e nulla può contro un ceppo che ancora non esiste. Qualcuno dice che siccome il virus della futura pandemia potrebbe avere un certo numero di antigeni in comune con quello che circolerà quest'inverno si può sperare di beneficiare di una qualche immunità. Ma anche qui non ci sono indicazioni scientifiche.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità, a dire il vero, consiglia la vaccinazione contro l'influenza stagionale umana, ma solo per le persone che sono a rischio di prendere il virus dei polli. E, attenzione, non perché questo garantisca una copertura immunitaria alla persona, ma perché renderebbe più difficile la nascita di quel virus mutato che tanto fa paura. Normalmente i virus dell'influenza nascono sempre dagli uccelli, ma diventano pericolosi per noi quando si ricombinano con un virus in grado di infettare gli esseri umani. All'interno di un organismo che è stato infettato da un virus degli uccelli e da un virus umano, infatti, potrebbe avvenire uno scambio di materiale genetico tale per cui nasce un nuovo virus con le caratteristiche di entrambi i virus di partenza: un virus mortale che si trasmette respirando la stessa aria della persona infetta. Ecco dunque che l'allevatore di polli delle zone infette potrebbe diventare quell'organismo-laboratorio all'interno del quale i due virus si scambiano i geni e quindi si capisce perché l'Oms consigli di praticare la vaccinazione. Del resto sul sito dell'Oms si legge esplicitamente: «I vaccini sono prodotti ogni anno contro l'influenza stagionale, ma non proteggeranno contro una pandemia influenzale... Nessun vaccino sarà disponibile se non dopo alcuni mesi dallo scoppio dell'epidemia».

Siamo solo all'inizio di quella che potrebbe essere una lunga stagione. Che la ragione sia con noi.

www.unita.it

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21 ottobre 2005
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