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Donare gli organi: una decisione difficilissima

''La donazione degli organi è solo un grande atto d'amore''. Giovanni Paolo II

24 dicembre 2008

"Negli ultimi mesi abbiamo avuto più donatori d'organo rispetto a quelli precedenti. Insomma, dopo l'articolo pubblicato a settembre dall'Osservatore Romano (nel quale Lucetta Scaraffia muoveva alcuni dubbi sulla "bontà" della definizione di "fine morte" secondo i criteri stabiliti da Harvard, ndr) non abbiamo affatto registrato una frenata".
A dirlo all'Adnkronos Salute è stato il direttore del Centro Nazionale Trapianti, Alessandro Nanni Costa, che aveva già criticato il contenuto di un articolo pubblicato nei giorni scorsi su Repubblica e che di seguito riportiamo. "Ci sono una serie di informazioni non esatte nell'articolo de 'La Repubblica'. Non credo che la posizione dell'Osservatore Romano abbia creato danno. Ce lo dicono i numeri: la donazione è costante. Certo l'opposizione esiste, ed è un problema reale. A fronte di un notevole aumento delle segnalazioni, infatti, dobbiamo constatare nell'ultimo anno una crescita del 'no' a donare organi". I dati però parlano chiaro. "La proiezione per il 2008 ci permette di dire che il numero dei donatori i cui organi sono stati portati in sala operatoria è leggermente cresciuto. Abbiamo avuto più donatori segnalati, praticamente un record: 40 per milione. Ma anche qualche opposizione in più, così alla fine il numero dei donatori portati in sala operatoria è solo leggermente aumentato".

Un altro problema per i trapianti è anche il fatto che ci sono sempre più donatori anziani, che hanno un grado di idoneità degli organi un po' inferiore. "Questo vuol dire meno organi disponibili", ha precisato l'esperto. Insomma, la situazione è di "sostanziale di stabilità, con un aumento dei donatori segnalati, quelli cioè per i quali è stato terminato l'accertamento di morte cerebrale. Dunque i rianimatori stanno lavorando di più. Ma sono aumentate le opposizioni", pur "con una limitata perdita di organi: parliamo del 3-4%. Dobbiamo analizzare il fenomeno tenendo bene in mente i 9.500 pazienti in attesa di un organo. Insomma, dobbiamo aumentare il numero dei trapianti. Non voglio infatti difendere una situazione di stabilità che è insufficiente per i pazienti in attesa di trapianto", conclude Nanni Costa. [Adnkronos Salute]

Scatta l'allarme trapianti troppi dubbi sui prelievi d'organo
IN AUMENTO I NO AGLI ESPIANTI, SI TEME UN CALO DEL 35 %

di Cinzia Sasso (Repubblica.it, 22 dicembre 2008)

La strada dei trapianti in Italia è sempre stata in discesa. Nel '90 c'erano 2,9 donatori d'organi ogni milione di abitanti; nel '99 sono diventati 5,8. Nel 2006 erano diventati 21, segno che la rete cominciava a funzionare bene. Sempre più donatori, sempre più trapianti. Sempre più da una morte accadeva che tornasse a sbocciare una vita. Fino a ora, però. Improvvisamente si è invertita la tendenza.
Le opposizioni al prelievo degli organi sono in aumento e per il prossimo anno è prevista una diminuzione dei trapianti. E' come se i dubbi, le paure, l'angoscia che sta intorno alla realtà e al pensiero della morte, da fantasmi dolorosi e lontani fossero tornati ad essere presenti e imponenti. Alessandro Nanni Costa, il direttore del Centro Nazionale dei Trapianti, ha lanciato l'allarme a Sorrento, qualche giorno fa, in occasione del XXXII Congresso della Società italiana per il trapianto degli organi: il prossimo anno il numero dei trapianti, tremila l'anno di organi, 13.500 di tessuti, 5.000 di cornee, calerà del 3 per cento.

Questo nonostante il numero dei donatori segnalati sia in aumento, grazie soprattutto all'incremento delle regioni del Sud, Campania in testa.
"Il fatto è - spiega Costa - che incontriamo sempre più resistenza da parte dei familiari. Le opposizioni al prelievo degli organi, che l'anno scorso erano al 31 per cento, quest'anno toccano il 32". Con la Lombardia diventata, in proporzione, una delle regioni meno virtuose. Una percentuale che ha rilevanza soprattutto come segnale. Non è facile interpretarlo, ma di certo vuol dire due cose: che la fiducia nella medicina e nella scienza sta venendo un po' meno e che gli interventi della Chiesa sulla fine della vita lasciano un segno. Nei momenti drammatici in cui una vita sta per finire - per un incidente stradale, o un attacco improvviso - quando nella sala di rianimazione di un ospedale l'équipe di medici constata la morte cerebrale, si mette in moto una macchina molto complessa. Ci sono cinque persone, in Italia, che passano giorno e notte attaccate ai telefoni mobili, pronte 24 ore su 24 a intervenire. Perché può accadere che un malato che vive a Catania debba essere mandato in sala operatoria mentre da Genova, su un aereo speciale, parte il cuore (o il fegato o il rene, il pancreas o il polmone) che gli è destinato e che qualcuno, morendo, ha deciso di donare. Da Genova, il coordinatore locale, che è un medico specializzato nella procedura di donazione, segnala l'evento (tecnicamente, l'esistenza di un donatore) alla sua direzione sanitaria che invia tre medici specialisti incaricati di accertare la morte. Nelle sei ore di osservazione accade, intanto, che siano i familiari a dover decidere: accettano la donazione o si oppongono? Non c'è molto tempo per pensare perché entro 10-12 ore dalla constatazione della morte - mentre l'attività cerebrale è cessata, ma il cuore continua a battere - gli organi devono essere espiantati. Ed entro altre sei ore quegli stessi organi devono essere trapiantati.
"Davanti a questa domanda - spiega Costa - i familiari si chiedono se il loro congiunto sia veramente deceduto, se davvero i medici abbiano fatto il possibile e che uso verrà fatto degli organi".

Mario Scalamogna è il direttore del centro di riferimento del Nord Italia, il Nitp, fondato da Girolamo Sirchia, la prima struttura a occuparsi dei trapianti. "E' vero - dice - il numero delle opposizioni è cresciuto, ma né per la scienza né per la religione esistono dubbi sulla morte del soggetto che viene segnalato come possibile donatore". Aggiunge Vincenzo Passarelli, presidente dell'Associazione italiana per la donazione di organi (Aido) e cattolico: "Dal 1985 la Pontificia Accademia delle Scienze, prima ancora dello Stato, ha riconosciuto la fine morte secondo i criteri stabiliti da Harvard".
Era il 1968 quando il rapporto di Harvard cambiava la definizione di morte basandola non più sull'arresto cardio-circolatorio ma sull'encefalogramma piatto. Non più sulla fine dell'attività del cuore, ma su quella del cervello. Una pietra miliare che ha permesso alla medicina di fare passi avanti e di dare anche a malati ritenuti incurabili una speranza di nuova vita. Una certezza che a settembre, sulla prima pagina dell'Osservatore Romano, la storica (non la scienziata) Lucetta Scaraffia ha messo in dubbio, sollevando timori nella comunità scientifica. "Temo - aveva detto allora Ignazio Marino, ora senatore Pd, ma luminare del settore con un'esperienza di oltre 600 trapianti di fegato - che in futuro ci saranno rischi per i trapianti". E che ora, da credente oltre che da medico, aggiunge: "Bisogna fare molta attenzione a non tornare indietro. Se si suscita il dubbio, è chiaro che si gettano le basi per l'aumento delle opposizioni". Lo stesso Scalamogna ammette che l'articolo pubblicato sul quotidiano della Santa Sede aveva sollevato preoccupazioni e che si temevano conseguenze sulle donazioni. E dall'Aido confermano che i loro i centralini, in quei giorni, sono stati presi d'assalto.

Ragionare sulla vita e la morte, farlo soprattutto nelle condizioni drammatiche in cui sono costretti a farlo i familiari dei donatori, non è immaginabile quando si è distrutti dal dolore per la perdita. Dovrebbe essere un tema sul quale si siano maturate delle convinzioni a freddo, in modo razionale, in un momento lontano dal dramma, aiutati da campagne costruite su valide basi scientifiche. Come spiega Amedeo Santosuosso, magistrato e docente di diritto e scienza della vita all'Università di Pavia: "La legge sui trapianti non è stata portata a completa attuazione: partiva dal presupposto che dovesse valere la volontà del diretto interessato e invece vige ancora il sistema che devono essere interpellati i familiari". E oggi che il dibattito sulla fine della vita - dal caso Welby a quello di Eluana - vede diffondersi una visione biologista, la conseguenza è che ci sono minori certezze: "Aver spostato l'attenzione sugli aspetti strettamente biologici della vita rispetto a quelli relazionali porta le persone ad essere sempre più sospettose".

Manuela Mazza
, 40 anni, madre di quattro figli, vive da sei con un fegato trapiantato e ora si batte con l'Associazione Amici del Trapianto di Fegato per diffondere fin dalle scuole elementari la cultura della donazione. "Io avevo ancora solo 48 ore di tempo. Pensavo che avrei lasciato quattro bambini, e questa era un'idea insopportabile. E' stata la vita perduta di un altro che ha fatto ricominciare la mia. Credo che il grande rumore che viene dalla Chiesa rischi di mettere in ombra questo, la nuova vita che nasce da una vita finita. Non bisogna avere paura. La donazione, come ha detto Giovanni Paolo II, è solo un grande atto d'amore".

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24 dicembre 2008
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