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Donne e lavoro: se l'Italia è penultima in Europa, all'interno del Paese continua l'immenso divario tra Nord e Sud

12 febbraio 2008

In Italia riesce a lavorare solo il 46,3 per cento delle donne. Con questa percentuale l'Italia si posiziona al penultimo posto in Europa. Superati negli ultimi mesi anche dalla Grecia, mentre dopo di noi resta solo la piccola Malta.
Sette milioni di donne in età lavorativa sono fuori dal mercato del lavoro e al sud il tasso di occupazione crolla addirittura al 34, 7 per cento. C'è poi quello che è stato soprannominato "il tetto di cristallo", ossia quella sottile ma robustissima ''pellicola'' che divide le donne dai posti che contano, che li possono sfiorare ma mai afferrare.


Sono solo alcuni dei dati emersi dalla Nota aggiuntiva di Lisbona al centro del convegno "Donne, Innovazione e crescita: un problema italiano" che si è tenuto ieri all'Università di Catania. Ad aprire il convegno è stata Emma Bonino, ministro radicale del Commercio Internazionale e per le Politiche europee, che ha convocato esperti di economia e di welfare per tracciare i contorni di una realtà che è sotto gli occhi di tutti ma non riesce ad avere né voce, né risposta. Nell'aula magna del rettorato dell'università etnea, sono intervenute anche il ministro per la Famiglia Rosy Bindi e Barbara Pollastrini (Pari Opportunità).
Il ministro Bonino ha sollecitato "interventi bipartisan per risolvere la questione femminile, che è un'emergenza che va risolta".

Lontani dal resto d'Europa - Nel marzo 2000 a Lisbona i paesi europei decisero un piano sull'occupazione femminile intesa non solo come una questione di genere ma come volano per l'economia nazionale. I paesi partirono da poche ma precise considerazioni: se la donna lavora entra più ricchezza in famiglia - a patto che ci sia un sistema di servizi sociali adeguato - aumenta il reddito e nascono più bambini. Fu deciso allora che l'obiettivo era raggiungere - dieci anni dopo, nel 2010 - quota 60 per cento: cioè il sessanta per cento delle donne devono per quella data risultare impiegate, con un lavoro autonomo o dipendente. La situazione, a due anni da quella scadenza, è che la media europea si aggira sul 57, 4 per cento e quella italiana è fissa sul 46,3 per cento. Penultimi, appunto, nell'Europa dei 27 paesi membri, a dieci lunghezze dall'isola di Malta. In nostra compagnia, sotto il 50%, ci sono Polonia e Grecia. Slovacchia, Romania, Bulgaria viaggiano ben sopra il 50 per cento. Cipro è già al 60%. La Slovenia, appena entrata nella Ue, è al 61,8 per cento. La Danimarca guida la classifica con una percentuale del 73,4%.

Le distanze interne: la forbice nord-sud - Il nostro Sud è il luogo europeo dove le donne lavorano meno in assoluto. Ecco i numeri della disfatta: le percentuali sono bloccate al 34,7 per cento (circa il 70 al nord); dal 1993 al 2006 le occupate sono cresciute di 1.469 mila unità nel centro nord e solo di 215 mila nel sud; molte anche giovanissime smettono di cercare lavoro, le chiamano "inattive" e sono 110 mila tra 2006 e primo semestre 2007. Tra i 35 e i 44 anni, la fascia di età in cui si lavora di più, al nord lavorano 75 donne su 100; al centro 68 e al sud 42. Nella fascia over 45 anni il tasso di occupazione femminile delle regioni più sviluppate d'Italia crolla di quasi 20 punti percentuali rispetto alla media Ue e la fine della carriera coincide con esigenze di maternità.

Le più ''lavoratrici'' d'Europa - Se il tasso di occupazione delle donne italiane e il più basso d'Europa è anche vero che quelle che lavorano lo fanno più di tutte le altre. Ogni giorno, compresa la domenica, una donna italiana lavora, tra casa e ufficio, 7 ore e 26 minuti, un tempo superiore, appunto, a molti paesi europei (un'ora e 10 minuti in più, ad esempio, rispetto ad una donna tedesca). Facile da spiegare: il 77, 7 per cento del lavoro domestico - spesa, lavare, stirare, rigovernare, accompagnare etc. etc - è sulle spalle delle donne. Gli uomini italiani dedicano alla cura domestica solo 1 ora e 35 minuti al giorno. In Svezia le donne lavorano complessivamente meno: 6 ore e 54 minuti, di cui 3 ore e 42 dedicate alla famiglia e il resto al lavoro retribuito.

Pagate un quarto meno degli uomini - Le donne italiane che lavorano, anche quando riescono a sfondare quel "tetto di cristallo" di cui parlavamo prima, rimangono comunque destinate a guadagnare uno stipendio inferiore di un quarto di quello dei colleghi maschi. I dati della Presidenza del Consiglio dicono che una dirigente guadagna il 26,3 per cento in meno di un collega maschio. Lo chiamano "differenziale retributivo di genere", è pari al 23,3 per cento: una donna percepisce, a parità di posizione professionale, tre quarti di uno stipendio di un uomo. E questo nel pubblico. Nel privato la situazione peggiora. Si legge in "Iniziative per l'occupazione e la qualità del lavoro femminile nel quadro degli obiettivi europei di Lisbona", sintesi delle cose da fare e su cui si era impegnato il governo: "I dati mostrano che il differenziale di reddito tra uomini e donne è maggiore nelle professioni più qualificate e meglio retribuite e nelle aree geografiche dove il reddito medio è più elevato che sono anche quelle in cui il tasso di attività femminile è già a livello degli obiettivi di Lisbona 2010. In conclusione non sembra che il mercato del lavoro, sia nel pubblico che nel privato, offra alle donne un ambiente che garantisce criteri meritocratici né un'adeguata motivazione. Sicuramente non offre pari opportunità".
Infatti, sempre secondo la ricerca, le donne sono discriminate nell'arrivo ai vertici societari. Nel 63,1% delle aziende quotate, escluse banche e assicurazioni, non figura alcuna donna nel Consiglio di amministrazione. Considerando il numero totale dei componenti dei Cda, su 2.217 consiglieri, solo 110 sono donne, pari al 5%. Nel settore pubblico va un pò meglio, ma i vertici politici restano "maschili": ministre e sottosegretarie sono solo il 20%, le deputate sono solo il 17%.

Infine, si può concludere che: la povertà, in Italia, è soprattutto femminile. Infatti, una famiglia risulta essere più ''vulnerabile'' se il "capofamiglia" è donna.

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12 febbraio 2008
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