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Dopo quindici anni la Cassazione ha emesso la sentenza definitiva nei confronti di Bruno Contrada

11 maggio 2007

Quindici anni dopo l'arresto, la sesta sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna, in ultimo grado, di Bruno Contrada, l'ex numero tre del Sisde già dichiarato colpevole - nel 1996 e nel 2006 - per concorso esterno in associazione mafiosa.
Una condanna a dieci anni di reclusione che diventa definitiva, stabilita dalla Cassazione che ha respinto il ricorso presentato dai difensori dell'ex funzionario del Sisde. In questo modo, la Suprema Corte si è allineata alle richieste avanzate dal rappresentante della pubblica accusa della Cassazione, Antonello Mura, che nella sua requisitoria aveva evidenziato come Contrada fosse ''colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio''.
Contrada, che già aveva scontato 31 mesi di carcere, tornerà quindi in prigione, e sarà rinchiuso in un carcere militare. Come ha spiegato Piero Milio, legale di fiducia, seppure l'imputato ha 77 anni ed è in pensione, ''essendo un ex militare deve essere rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere e per chi, come lui, è stato condannato per reati di mafia, la legge non prevede misure alternative al carcere se non in presenza di gravissime condizioni di salute''.

Si chiude così una vicenda giudiziaria durata per quasi 15 anni. Contrada venne arrestato il 24 dicembre 1992, in carcere rimase per trentuno mesi, fino al 31 luglio del '95, malgrado ricorsi presentati perfino alla Corte europea per i diritti dell'uomo. Il 12 aprile del '94 iniziò il primo processo a suo carico, e il 19 gennaio del '96, al termine di una requisitoria protrattasi per 22 udienze, il pubblico ministero chiese la condanna di Contrada a 12 anni. Il Tribunale, il 5 aprile, inflisse all'ex poliziotto 10 anni di reclusione e tre di libertà vigilata.
Ma il verdetto di primo grado fu ribaltato dalla Corte d'Appello di Palermo che con la sentenza del 4 maggio 2001, che assolse Contrada. Il 12 dicembre del 2002, tuttavia, la Cassasione riaprì il caso, annullando l'assoluzione e dispondendo un nuovo giudizio di secondo grado davanti a una diversa sezione della Corte di Appello di Palermo. Questo nuovo processo era giunto a conclusione il 25 febbraio del 2006.
Secondo l'accusa, l'ex funzionario del Sisde avrebbe iniziato i suoi rapporti con Cosa Nostra tramite il conte Arturo Cassina, grande appaltatore palermitano, amico del boss Stefano Bontate. Dopo l'uccisione di Bontate nel 1980, Contrada avrebbe mantenuto contatti con i nuovi potenti di Cosa Nostra, i corleonesi di Totò Riina. Tra i primi a parlare di un rapporto ambiguo di Contrada con la mafia, e in particolare con il boss di San Lorenzo, Rosario Riccobono, eliminato con il metodo della ''lupara bianca'' durante la guerra tra le cosche negli anni '80, sono stati i collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo, Giuseppe Marchese e Rosario Spatola. Dopo loro, altri pentiti di primo piano, tra i quali Francesco Marino Mannoia, Salvatore Cancemi, Gioacchino Pennino, Angelo Siino e Giovanni Brusca, hanno sostenuto che Contrada era ''a disposizione'' di alcuni esponenti mafiosi.

''Bruno Contrada era già condannato ancor prima che il processo iniziasse. Spero che gli italiani si indignino''. Così l'avvocato della difesa Pietro Milio, ha commentato la decisione della Cassazione. Il legale ha spiegato che l'ex funzionario del Sisde non si consegnerà spontaneamente ma aspetterà l'ordine di esecuzione della pena.
Per il pm antimafia Antonino Ingroia, che ha rappresentato l'accusa del primo processo a Contrada, la sentenza di condanna ''è una conferma del fatto che la Procura di Palermo negli anni '90 non ha gestito processi-spettacolo o politici, come qualcuno ha detto, ma processi probatoriamente solidi, come ha riconosciuto la Cassazione''.

''Quasi al termine della mia esistenza l'ingiustizia degli uomini mi ha inferto quest'ultimo colpo. Farò appello alle mie residue forze fisiche e morali per resistere ancora, così come ho fatto per 15 anni'' ha commentato Contrada dopo la sentenza. La dichiarazione è stata letta fuori dalla porta della sua abitazione in via Maiorana, a Palermo, da una amica di famiglia, l'avvocato Annamaria Introini. ''Sono sicuro - ha detto ancora Contrada attraverso il legale - che verrà il momento, che forse io non vedrò, in cui la verità della mia vicenda giudiziaria sarà ristabilita''. ''Sono un uomo di Stato'', ha sempre rivendicato Contrada, sostenendo di non avere mai conosciuto mafiosi e di essere stato accusato "per vendetta" da criminali da lui perseguiti in passato. ''Spero che qualcuno si pentirà del male che mi ha fatto''.

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11 maggio 2007
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