Dormendo si impara
Mentre si dorme il cervello smonta, cataloga, immagazzina le esperienze vissute durante il giorno e...
È la notte a dare senso al giorno. Ed è grazie al sonno che le esperienze della veglia trovano una logica. La domanda che sembrava destinata a restare senza una risposta ("Perché dormiamo?") si sta rivelando invece un pozzo delle meraviglie per la scienza, man mano che gli esperimenti avanzano mettendo a fuoco l'importanza fondamentale che le ore di buio hanno per quelle di luce.
Quand'anche fosse possibile, vivere senza dormire sarebbe completamente inutile. Tutto ciò che ci accade durante il giorno verrebbe infatti sciacquato via dal flusso degli eventi successivi.
Durante il sonno invece il cervello ripercorre le esperienze vissute durante la veglia. Le smonta, le cataloga e le immagazzina nelle sue varie aree. Qui resteranno sotto forma di ricordi per un mese, un anno o per una vita intera, a seconda della loro importanza e del loro impatto emotivo su ciascuno di noi. Questa pulizia, con i cassetti svuotati dalle cianfrusaglie, è ciò che al mattino chiamiamo riposo e mente leggera. Senza il laborioso riordino che il cervello compie nelle ore notturne, le esperienze del giorno prima finirebbero in un mucchio informe, senza possibilità di essere recuperate. Di essere, cioè, ricordate.
"Ma le meraviglie del sonno non finiscono qui" spiega Robert Stickgold, della Harvard Medical School, nel suo laboratorio di Boston dove i volontari trascorrono la notte sottoposti ai test più diversi. Il pioniere degli studi sulla funzione del sonno, uno dei protagonisti del viaggio alla scoperta del "perché dormiamo?", ha dimostrato che il nostro organo del pensiero durante la notte non si limita a riordinare passivamente le esperienze della giornata. "Quel che il cervello conosce al mattino è molto più della somma dei ricordi della sera precedente. Durante la notte infatti si è dato da fare per integrare le nuove esperienze con quelle già presenti. Ha messo i pezzi del puzzle in un contesto. Ha tracciato una linea fra i punti isolati. Ha estratto il concetto di fondo da un elenco di dettagli. Da una serie di singoli episodi ha carpito la regola generale. In una parola, ci ha fatto diventare più intelligenti".
Non è un caso, secondo questo neurologo affascinato dalle meraviglie della vita notturna del cervello, che ogni lingua conosca il modo di dire "dormirci su" o "sleep on it" come metodo per trovare la soluzione a un problema. I volontari che negli anni hanno dormito nei lettini del laboratorio di Stickgold, fra le altre cose, hanno partecipato la sera a dei giochi di carte con regole sconosciute. E la mattina successiva hanno sempre visto aumentare i loro punteggi grazie a una buona dormita. "Anche se inconsciamente, il cervello durante il sonno ha estrapolato la regola del gioco" spiega lo scienziato. Incredibilmente, l'esperimento è riuscito anche con i volontari affetti da amnesia. "Non ricordavano nemmeno di aver visto le carte la sera prima. Ma dopo una notte di sonno i loro punteggi erano puntualmente migliorati".
Dal punto di vista dell'evoluzione umana, le osservazioni di Stickgold hanno una logica limpida: "La memoria non riguarda il passato. La memoria serve al futuro. Quel che abbiamo vissuto deve fungere da insegnamento per evenienze simili. Ma nulla si ripete due volte in maniera esattamente uguale. Il cervello, per poter riutilizzare un'esperienza del passato, deve saperla trasformare in una regola generale". Non solo dormire serve a riordinare e consolidare le esperienze del giorno. Anche le esperienze del giorno influenzano come e quanto dormiamo la notte.
"Oziare, preparare un esame o allenarsi per un torneo di tennis sono attività che richiedono tipi di sonno diverso" spiega il neurologo. Nel primo caso, i ricordi da consolidare sono ridotti, e di conseguenza anche la necessità delle ore di riposo. Nel secondo caso, occorrerà invece una buona dose di sonno della fase Rem (quella in cui si concentra l'attività onirica), utile a potenziare la memoria dichiarativa. Nel terzo caso, è la cosiddetta "fase due" del sonno la più efficiente per fissare uno schema motorio. "Se insegniamo ai volontari una sequenza di movimenti con le dita della mano sinistra - ha osservato Stickgold - la notte noteremo un'attività più intensa del normale nell'emisfero destro, quello che sovrintende alla mano impegnata negli esercizi".
Insieme a dieta ed esercizio fisico, il sonno viene definito da Susan Redline del Brigham and Women's Hospital e della Harvard Medical School "il terzo pilastro della salute". Dormire infatti non solo impegna un terzo della nostra vita e ci rende più intelligenti. Ma ci mantiene anche in linea e al riparo dalle malattie del cuore. "La carenza di sonno - spiega - fa aumentare l'ormone grelina legato all'appetito e diminuire quello leptina, legato alla sazietà. Non solo, lo scarso riposo attiva i circuiti dello stress, cui l'organismo risponde con un desiderio di sensazioni appaganti come il consumo di cibi ricchi di grassi e zuccheri. L'associazione fra sonno insufficiente e obesità è stata dimostrata da studi in tutto il mondo".
Dormire serve dunque a imparare, ma non solo. Oltre a mantenere in equilibrio gli ormoni dell'appetito, un buon sonno migliora il controllo del glucosio (tenendo lontano il diabete), rafforza il sistema immunitario (dopo una vaccinazione la risposta degli anticorpi è più robusta se si dorme bene) ed evita che la pressione del sangue salga troppo. "Nel sonno profondo, quello a onde lente - spiega Redline - il sistema nervoso simpatico raggiunge il picco minimo di attività. La pressione sanguigna si abbassa e i vasi si rilassano. Durante questa fase anche il sistema cardiocircolatorio riposa profondamente".
Eppure, sottolinea la ricercatrice di Boston, nell'ultimo secolo il nostro tempo dedicato al sonno è diminuito di un minuto all'anno. Le attività della giornata che non si esauriscono mai e ci inducono a colonizzare anche la notte hanno spinto Till Roenneberg dell'università di Monaco a coniare l'espressione "jet lag sociale" in un recente articolo pubblicato sulla rivista Current Biology. "La discrepanza fra il ritmo circadiano e l'orologio dei nostri impegni sociali ci ha portato a una carenza di sonno cronica" ha scritto. "Vivere continuamente contro il nostro orologio naturale contribuisce all'epidemia di obesità di questi anni".
Per Elizabeth Klerman della Harvard Medical School l'invasione degli schermi in camera da letto gioca un ruolo importante nell'"ingannare" i nostri ritmi circadiani: "La luce di tv, computer e alcuni e-reader viene captata dalla retina e inibisce la produzione di melatonina, rendendo più difficile addormentarsi ". Smentendo chi crede di poter mantenere il massimo dell'efficienza anche con meno di sei ore di sonno a notte, Klerman ha portato alcuni volontari nel suo laboratorio chiedendogli semplicemente di dormire a volontà. "Non avevano nient'altro da fare. Nessuna distrazione possibile. Solo riposo. Ebbene, anche chi sosteneva di stare benissimo con meno di sei ore, ha toccato punte di 12 ore consecutive di sonno. E ha impiegato una settimana a tornare al valore base di otto ore e mezza".
In un altro esperimento, Klerman ha misurato quanto tempo impiegavano i volontari ad addormentarsi. "Tutti gli individui che ho studiato non resistevano più di 5 minuti svegli a letto. Ma chi si addormenta non appena appoggia la testa sul cuscino è decisamente troppo stanco per vivere bene. La nostra società, dai bambini agli adolescenti agli anziani, crede di trarre beneficio dallo sfruttamento delle ore notturne per le proprie attività. Ma non si rende conto che sta perdendo una delle sorgenti di salute più preziose". [Repubblica.it, articolo di Elena Dusi]