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Duemila dollari per morire in Sicilia

Fuggono dalla guerra e dalla povertà, muoiono dove riponevano la speranza. Tragedia nel mare di Gela

12 settembre 2005

Hanno navigato quasi tre giorni, dalla Libia fino alle coste siciliane, ammucchiati peggio delle bestie su un peschereccio arrugginito che galleggiava a malapena.
A poche decine di metri dalla costa, quando il miraggio della ''terra promessa'' era quasi raggiunto, la barca si è arenata e il comandante ha ordinato di gettarsi in mare.
E' scoppiato il panico: in undici sono annegati, altri li stanno ancora cercando. Tra i morti, tutti giovani, anche alcuni ragazzi che non avevano più di 17 anni.
La tragedia dei clandestini si è consumata nel mare davanti a Gela. Tra i 140 sopravvissuti, trenta, tra cui una donna in gravi condizioni, sono stati ricoverati in ospedale.
Hanno detto di essere partiti da un porto libico in 170, ma all'appello mancano una quindicina di persone: potrebbero essere fuggite prima dell'arrivo dei soccorsi ma non è escluso che siano finite sul fondo del mare.

Il loro viaggio è iniziato una settimana fa, raccontano gli immigrati che si trovano nel centro della protezione civile a Gela, un ''viaggio iniziato dall'Eritrea''.
''Abbiamo pagato a una organizzazione circa duemila dollari a persona - ha raccontato Marikos Habton, 17 anni, studente - e il nostro cammino verso l'Italia è iniziato dall'Eritrea. A bordo di alcuni camion abbiamo attraversato il Sudan, l'Egitto e poi siamo arrivati in Libia. Un viaggio massacrante. Ricordo che nella carovana in cui mi trovavo c'erano più di 400 persone, tutte dirette in Italia''.
''Quando siamo arrivati nel porto libico - aggiunge Marikos - siamo stati divisi in gruppi e io sono stato fatto imbarcare su una grande nave, del tipo usata dai pescatori. Abbiamo fatto la traversata senza grandi problemi. Il mare lo abbiamo trovato in gran parte calmo e ciò ha permesso una buona navigazione. Insieme a donne, bambini e ragazzi più piccoli, ci siamo sistemati per terra ed abbiamo atteso di essere sbarcati''.

Il giovane eritreo, che ha scelto di lasciare il suo paese per trovare ''un luogo più sicuro dove vivere'', ha spiegato che fra di loro non vi era alcuna paura, ''sapevamo che sarebbe andato tutto bene'', perché ''sappiamo che altri lo hanno fatto con successo''. Invece ''quando ci hanno detto di prepararci a sbarcare, la nave ha avuto dei problemi. Si è come incagliata, e ci hanno detto di buttarci in acqua, mentre alcuni venivano trasportati in spiaggia con un piccolo gommone''.
Secondo Marikos il dramma e accaduto in pochi secondi. Le persone a bordo quando hanno capito che davanti a loro c'era la terra e che la nave era in difficoltà, tanto che ''il capitano voleva tornare indietro'', ''si sono lanciati in mare creando panico, tanto che alcuni sono annegati forse perché non sapevano nuotare''. Avevano pagato duemila dollari, un'enormità, per arrivare nella terra della speranza. Non potevano ritornare indietro.
Nel grande capannone realizzato dalla protezione civile, situato alla periferia di Gela, gli extracomunitari sono stati rifocillati e visitati dai medici. E per loro, confessa chiaramente Marikos Habton, la ''paura arriva adesso'' perché ''i poliziotti italiani sono bravissimi, ci hanno salvato, ci hanno dato da mangiare e ci continuano ad aiutare, ma non vorremmo che ci riportassero indietro''.

Sette persone sono state arrestate perché sospettate di essere gli scafisti. L'accusa che grava su di loro sono gravissime: omicidio volontario e violazione alla legge sull'immigrazione. Si tratta di sei egiziani e un libico che sono stati rinchiusi nel carcere di Caltagirone.
Inoltre, la Polizia ha trovato sul peschereccio il telefono satellitare usato dagli scafisti per collegarsi con i complici a terra. Dall'analisi dei tabulati, gli agenti sperano di individuare il basista che ha segnalato l'approdo accendendo dei lumini sulla spiaggia.
Intanto sulle undici vittime dello sbarco il pm Maria Bianchetti della procura di Gela ha disposto l'autopsia. Il magistrato vuole accertare se gli extracomunitari sono morti per annegamento o se erano già deceduti quando sono finiti in acqua. Gli 11 corpi sono stati messi dentro le bare di colore chiaro che sono state allineate nella camera mortuaria del cimitero di Gela dove il sindaco Rosario Crocetta si è recato per recitare alcuni versi del corano. Il primo cittadino conosce l'arabo e con gli extracomunitari che si sono salvati e che si trovano nel centro della protezione civile si è soffermato a lungo a parlare. Crocetta ritiene che tra loro vi siano etiopi, palestinesi ed egiziani.
Ieri sera 80 immigrati sono stati trasportati al Cpt di Caltanissetta.

Sempre nella scorsa notte altri 30 immigrati sono stati tratti in salvo da una motovedetta della guardia costiera tra Lampedusa e Malta. Il gruppo, che comprende anche cinque donne e quattro bambini, viaggiava a bordo di un barcone intercettato a circa 60 miglia dall'isola siciliana: i clandestini sono tutti in buone condizioni di salute e sono stati portati a Lampedusa.

Le reazioni dei politici
Il ministro dell'interno Pisanu -
''E' una strage!''. Il ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, è furioso: ''Gli scafisti hanno dirette, pesanti responsabilità nella strage e per questo reato devono essere perseguiti. Gli scafisti fanno parte a pieno titolo delle organizzazioni criminali che sfruttano spietatamente l'immigrazione clandestina ed anche di ciò devono rispondere davanti alla giustizia''.
Per il ministro dell'Interno ''nessuno, né in Europa né in Africa, può ancora subire passivamente la tragedia dell'immigrazione clandestina''.
Il presidente della Regione Siciliana Cuffaro - Sull'ennesimo naufragio al largo delle coste siciliane è intervenuto anche il presidente della giunta regionale, Salvatore Cuffaro:''Ancora oggi - ha detto Cuffaro - siamo costretti ad assistere ad una tragedia che colpisce le nostre coscienze e ci sprona a lavorare con maggior impegno per fermare l'esodo di tanti disperati che si rivolgono a noi con la speranza di trovare una speranza di vita ed invece trovano la morte''.

- In fuga dall'Eritrea (Corriere.it)

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12 settembre 2005
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