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E' finita ieri sera la fiction su Totò Riina, ''Il capo dei capi'', che tante (troppe?) polemiche ha suscitato

30 novembre 2007

Quella di ieri sera è stata l'ultima puntata, e molto probabilmente tutte le polemiche e le riflessioni suscitate dalla fiction su Totò Riina, ''Il capo dei capi'', adesso si dimenticheranno. Ultima puntata, dunque, quella in cui il capo dei ''Corleonesi'' viene arrestato e quindi finisce la lunga storia del suo ''impero del male''. Certo, la diretta su RaiUno di Roberto Benigni ha sicuramente ''rubato'' una buona fetta di ascoltatori alla fiction mandata in onda su Canale 5, anche se, sicuramente, lo zoccolo duro degli ascoltatori che in queste settimane si è ''affezionato'' alla lunga e maledetta storia di ''Totò u curtu'' è rimasto a guardare la sua ingloriosa fine.
Finita la miniserie, vogliamo finire anche noi di parlarne, senza dare alcun personale giudizio di merito sulla ''bontà'' del prodotto televisivo (che comunque, allo scrivente non è piaciuta... non frega a nessuno, vero? Tanto meglio), ma riportando solamente le ultime voci che in questi giorni si sono susseguite su quanto possa ''aver influenzato negativamente'' la visione de ''Il capo dei capi''; voci che raggruppano condanne e difese della fiction, riflessioni ardite ed esagerate (suvvia, il problema della ''Cattiva maestra, televisione'' non nasce certo con il ''capo dei capi'') e infine l'articolo del nostro caro (caro a tutti) Andrea Camilleri, che ieri sulle pagine de La Stampa ha voluto, anche lui, riflettere sul polverone mediatico suscitato, più che dalla fiction in se e per se, da tutti gli interventi ''importanti'' che attorno a questa sono nati. 

Bene, cominciamo ricordando quanto detto nei giorni scorsi dal ministro della Giustizia Clemente Mastella: ''Avrei fermato questa fiction perché manca quell'aspetto educativo che rimanda ai valori di una società sana [...] Il capo dei capi è un farabutto e basta. Non credo si possa battere la mafia se non crescono i valori nella società. Quando si inneggia a un camorrista, a un mafioso, questo mi spaventa''. Alle critiche del Guardasigilli si sono aggiunte le critiche del sociologo Antonio Marziale, presidente dell'Osservatorio sui diritti dei minori e componente della commissione ministeriale che ha redatto il Codice Tv e minori: ''Il messaggio offerto agli adolescenti dalla fiction è pedagogicamente distruttivo e non può essere affatto definito d'impegno sociale. La messa in onda di un film porno in prima serata avrebbe prodotto sicuramente effetti meno nocivi''.
Una critica sicuramente ardita arrivata all'indomani della ferma condanna della miniserie prodotta dalla TaoDue da parte del pm di Palermo Antonino Ingroia: ''Sono contrario a ogni forma di censura. Ma ho la netta sensazione che con la fiction 'Il capo dei capi' c'è il rischio di fare un'iconografia alla rovescia su Totò Riina che emana un fascino un po' sinistro''.

E le critiche alla fiction non sono finite qua. Un'altra ancora, quella più intima e che veramente dovrebbe fare riflettere le ''maestranze'' televisive tutte, è arrivata dalla vedova di Giorgio Boris Giuliano, investigatore della Polizia di Stato e capo della Squadra Mobile di Palermo, eroe indiscusso della lotta alla mafia. Con una lettera pubblicata ieri mattina dai due principali quotidiani siciliani, la signora Ines Maria Leotta Giuliano, ha puntato il dito sulla figura emersa nella fiction  del marito. ''Pur apprezzando il risalto dato alla figura di mio marito - ha scritto la vedova Giuliano - deploro che gli autori o gli sceneggiatori non abbiano pensato di rivolgersi alla famiglia o alle persone più vicine per delinearne meglio la personalità. Mio marito era infatti molto diverso sin dai caratteri esteriori. Emerge dalla fiction un personaggio che segue lo stereotipo del siciliano: scuro, con folti baffi neri, che parla in dialetto e che usa il turpiloquio, un uomo dal temperamento passivo [...] Mio marito non era per nulla così. Non era un uomo di mezza età, non parlava in dialetto stretto (non ci sarebbe stato nulla di male, ma semplicemente non era così). Inoltre non usava abitualmente il turpiloquio, non fumava ed era un uomo giovane (nel 1969 aveva 38 anni)''. Inoltre, cosa più importante, secondo la signora Leotta Giuliano (e anche secondo tutti noi) ''Boris Giuliano non aveva bisogno, come appare nel lavoro televisivo, di un inesistente Schirò che lo spronasse a combattere la mafia'' (su questo, lo scrivente vorrebbe aggiungere una piccola ed insignificante, considerazione: ma c'era veramente bisogno di inventare quel personaggio? La storia dei corleonesi non è abbastanza complicata, difficile e ''ricca'' da raccontare? Perché metterci un supereroe?). ''Ben altro - ha scritto ancora la vedova Giuliano - se si fosse voluto rendere giustizia alla sua figura, poteva essere raccontato nella fiction: si poteva fare riferimento all'isolamento in cui fu lasciato, o ai rapporti che presentava e che restavano lettera morta nei cassetti della Procura''. ''Pur comprendendo che si tratta di una fiction - ha infine concluso la vedova Giuliano - è pertanto non necessariamente fedele alla realtà, penso che nel trattare un argomento così delicato andrebbe fatta una scelta: o utilizzare nomi e situazioni di pura fantasia, oppure, se si decidesse di riferirsi a personaggi realmente esistiti (usando il loro nome) e che, come in questo caso, hanno perduto la vita per lo Stato, ci si dovrebbe attenere alla realtà dei fatti sottoponendo la sceneggiatura ai familiari. Non mi sembra di chiedere troppo''.
Come darle torto?

Alle tante critiche ci sono state anche le difese, una delle quali altisonante. Infatti a schierarsi a favore della fiction di Mediaset è stato il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: ''Non si può nascondere la realtà. E' giusto che si conosca e che, magari, a corredo ci sia un modo per commentarla. Non sono stato d'accordo con la proposta di sospenderla, la fiction va trasmessa, e, contemporaneamente, dovrebbe essere discussa in famiglia, nelle scuole e ovunque si possa mettere in evidenza come la realtà della mafia porta solo sangue, morte e distruzione''. ''Non dobbiamo avere paura - ha proseguito il procuratore - del rischio emulazione ma andare al cuore del problema. Se ha un difetto è che è stata trasmessa a puntate e in alcune potrebbe venire fuori il lato accattivante del personaggio. Se, invece, fosse stata raccolta in due ore si sarebbe arrivati subito alla morale che, secondo me, è più educativa di tutto il resto della fiction''.
Quindi, solo un problema di eccessivo dilazionamento temporale, per il superprocuratore antimafia.
A rispondere, invece, al duro attacco del presidente dell'Osservatorio sui diritti dei minori, ci ha pensato l'eurodeputato Claudio Fava, co-sceneggiatore de 'Il capo dei capi': ''Quella di Antonio Marziale è un'affermazione da codice penale. Rivela un disprezzo grossolano verso chi si è battuto in questi anni in nome del diritto di non tacere mai sulla mafia e sulle ragioni della sua impunità [...] La mafia è violenza, ferocia, viltà; ma è anche potere, collusione, contiguità - ha spiegato Fava -. Il torto de 'Il capo dei capi', secondo taluni benpensanti, è quello di avere restituito a Cosa nostra tutta la sua drammatica complessità. Il ministro Mastella avrebbe preferito un bel western, buoni e cattivi, saraceni e paladini, come in un'opera dei pupi. Ma la mafia è altra cosa. L'errore non è mai raccontare Cosa nostra ma non averla mai raccontata abbastanza. L'errore non è parlare dei mafiosi, ma parlare con i mafiosi o far loro da testimoni di nozze. L'errore è far credere che a Cosa nostra si possa opporre solo la rassegnazione. La nostra fiction è invece la storia di una scelta: sbirro o mafioso, macellaio o uomo libero, siamo noi che decidiamo da che parte stare. Forse è proprio questo senso di responsabilità che fa paura a qualcuno''.

Parere opposto quello di Andrea Camilleri di cui di seguito troverete il link all'articolo di ieri su La Stampa.
Intanto noi concludiamo qui tutto il bailamme, dicendo che trattasi comunque di televisione... Un aggeggio posto totalmente sotto il nostro controllo... Se qualcosa non ci piace o poco ci convince, zap!, si cambia canale o a limite lo si spegne. [F.M.]

- ''Di mafia parlino le sentenze'' di Andrea Camilleri

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30 novembre 2007
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