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E le carceri italiane ritornano a scoppiare. L'effetto indulto è già svanito e i detenuti in più sono 6 mila e 200

05 gennaio 2008

L'effetto indulto è già svanito e dopo solo un anno le carceri italiane sono nuovamente al punto di collassare sotto l'enorme peso di 49 mila 442 detenuti: 6 mila e 200 in più rispetto a quelli previsti dal regolamento.
Da ottobre a dicembre 2007 sono finite in cella oltre mille persone al mese. Non è questione di territoriale, qui in classico divario Nord-Sud è spazzato: il sovraffollamento è ovunque. Il carcere di San Vittore, a Milano, con due reparti chiusi per ristrutturazione, ha una capienza maschile di 700 unità, invece oggi gli uomini sono 1.187, senza contare le 97 donne e i 77 ricoverati del centro clinico. In Liguria, a Genova, lo scenario è simile: la capienza limite, al carcere di Marassi, è di 450 posti, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria segnala invece la presenza di oltre 600 detenuti, con in più una carenza stimata di più di 120 agenti. Come in Sicilia, dove da agosto 2007 il tutto esaurito abbonda: nel carcere Piazza Lanza di Catania, ad esempio (399 detenuti contro i 245 previsti). Ma anche ad Agrigento (294 contro 253) e Barcellona Pozzo di Gotto (256 contro 216).

Nel 2002 i reclusi erano 56 mila, e a luglio 2006 sfondavano quota 60 mila. Poi è arrivato l'indulto, e all'improvviso 26 mila persone sono tornate libere. "Il primo impatto - dice Luigi Pagano, responsabile dei penitenziari lombardi - è stato ottimo. Finalmente abbiamo tirato il fiato. E ragionato con tranquillità sull'impiego delle nostre forze". Ma dall'estate scorsa a oggi, il 23,8 per cento degli indultati sia tornato in cella. E sono cresciute, in parallelo, le percentuali di reati come rapina, truffa e tentato omicidio.
La sintesi di un provvedimento fallimentare, denuncia chi non l'ha votato (come An e Lega). Ma anche la principale causa del nuovo sovraffollamento, ormai a un passo dai livelli del 2005.
Quest'interpretazione è però contestata da Emilio Di Somma, vicecapo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria): "L'indulto c'entra poco con il fenomeno del sovraffollamento. Piuttosto, la percentuale media di recidiva, per gli ex detenuti, è attorno al 70 per cento. E chi esce di prigione viene aiutato poco, pochissimo. Dunque è inevitabile, nelle condizioni attuali, che le carceri si ingolfino. E che si attacchi l'indulto senza affrontare le vere cause".

Il primo punto scomodo è quello degli extracomunitari. Negli anni Novanta rappresentavano il 15 per cento della popolazione carceraria italiana. Oggi sono il 37 per cento, pari a 18 mila 454 persone provenienti da 144 paesi. "Un dato impressionante - commenta Ettore Ferrara, capo del Dap - che resterà tale se non si mette mano alla Bossi-Fini, aiutando gli stranieri a vivere in maniera dignitosa".
L'altro punto scomodo è la divisione in carcere tra chi è stato condannato e chi è in attesa di giudizio. Su 49 mila 193 detenuti, ben 29 mila 137 rientrano nella categoria degli imputati, mentre 18 mila 569 sono i condannati e gli 1.487 internati (ossia ricoverati in ospedali psichiatrici giudiziari). Gran parte di chi è parcheggiato in cella, insomma, non conosce ancora il suo destino. E suo malgrado contribuisce al sovraffollamento.
Inoltre, aggiunge Vittorio Antonini, coordinatore a Rebibbia dell'associazione Papillon, "due terzi di coloro che hanno diritto alle misure di pena alternative se le vedono rifiutare". Il che, dice, autorizza un sospetto: che “sulle decisioni dei magistrati di sorveglianza, influisca la pressione delle campagne pubbliche in materia di sicurezza”.

Aumentare i posti nei penitenziari - A settembre del 2000 il governo di centrosinistra varò il nuovo regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario che prevedeva la ristrutturazione di buona parte dei 214 istituti di pena, con un occhio di riguardo agli standard igienico-sanitari e ai diritti dei detenuti: acqua calda nelle celle, toilette separate, celle per non fumatori, parlatori senza vetri divisori, cucine per un massimo di 200 coperti, etc. Tempi previsti per la realizzazione delle opere: 5 anni, come stabilito dalla norma transitoria. Investimento stimato dal Dap: 400 milioni di euro.
Sette anni dopo la pubblicazione di quello che fu definito “un libro dei sogni”, basta scorrere i dati del monitoraggio sollecitato al Dap dal sottosegretario Luigi Manconi (Giustizia) per capire cosa non è cambiato nelle carceri italiane; solo il 16% delle celle, sovraffollate, sono a norma: 4.763 su 28.828, mentre circa 1.750 sono in via di ristrutturazione. Ma le medie nazionali non rappresentano i casi limite: se, infatti, a San Vittore (Milano) 242 celle su 590 hanno disponibilità di servizi igienici, a Secondigliano (Napoli) nessuna delle 802 celle ha l'acqua calda e solo 11 hanno la doccia. C'è da aggiungere che la ristrutturazione mancata - anche nei 5 anni in cui ha governato la Cdl è stato fatto molto poco per mancanza di fondi - ha, per così dire, perso il treno straordinario dell'indulto varato nell'estate del 2006 con il voto di due terzi del Parlamento. Al 31 luglio del 2006, con 60.710 detenuti presenti (quasi 18 mila in più rispetto alla capienza regolamentare) sarebbe stato impensabile avviare grandi lavori di ristrutturazione. Ma già il 31 agosto dello stesso anno, quando le presenze erano scese drasticamente a 38.847 unità, avrebbe avuto un senso avviare la manutenzione straordinaria. Da quel momento in poi le carceri italiane hanno iniziato a riempirsi nuovamente.
In questa situazione di precarietà, denuncia l'ong Antigone, gli eventi critici aumentano. Nei primi 11 mesi del 2007 ci sono stati 52 suicidi tra i detenuti (43 quelli comunicati dagli istituti penitenziari al Dap) contro i 50 del 2006. Nelle celle i tentativi di suicidio sono stati 116 e gli atti di autolesionismo 3.413.

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05 gennaio 2008
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