E sul Ponte sullo Stretto di Messina il ministro Di Pietro si chiama fuori. Articolo di Agostino Spataro
SUL PONTE ROMA SI DEFILA *
di Agostino Spataro
''Incroyable'', direbbero i francesi. Si stenta a credere che il ministro Antonio Di Pietro, venuto a Palermo per incontrare i vertici della Regione e degli Enti locali, si sia lasciato andare a dichiarazioni di carattere personalistico su un progetto, colossale e contrastato, qual è quello della realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina.
Stante a giornali e Tg, il ministro, dopo aver ribadito che il ponte non figura fra le priorità del governo di cui fa parte, si sarebbe impegnato con Cuffaro e altri amministratori, ''a titolo personale, da ministro e da leader di politico ad appoggiare l'opera in Consiglio dei ministri''.
Dunque, il governo Prodi se ne lava le mani di questa complessa opera ma, vista l'ostinata volontà del centro destra siciliano nel richiederla, il ministro consente alla Regione di realizzarla con fondi propri e con eventuali apporti finanziari privati.
Addirittura, per favorire l'iniziativa di Cuffaro e soci, il ministro cederebbe ''a costo zero'' il progetto definitivo e le azioni della società ''Stretto di Messina Spa'' che non è stata posta in liquidazione.
Quasi che, almeno per tali infrastrutture, la responsabilità del Governo non vada dall'Alpi a Lampedusa, ma si fermi a Reggio Calabria dove un collega di Di Pietro, il ministro dei LL. PP. Bianchi, minaccia chissà quali ritorsioni nel caso si dovesse realizzare il ponte.
Spiace rilevarlo, ma in questo come in altri casi le pregiudiziali ideologiche e le posizioni individuali non aiutano a risolvere i problemi, anzi, complicano terribilmente le cose. Soprattutto, quando di mezzo ci sono esponenti ministeriali che dovrebbero improntare le loro posizioni ufficiali al principio della collegialità e della responsabilità di governo.
Per altro, chiamarsi fuori da un'opera così impegnativa e costosa potrebbe alimentare il vittimismo piagnone di taluni esponenti della CdL e le preoccupazioni di chi ci vede, anche in buona fede, una de-responsabilizzazione del governo dello Stato che indebolisce la solidarietà nazionale verso la Sicilia e accentua la sensazione di solitudine nei siciliani.
Sarebbe questo un bel regalo ai demagoghi di tutte le risme e un frutto amaro per una regione che annega nei debiti, la quale per vincere ''la sfida'' del ponte dovrebbe accollarsi un investimento esorbitante e tremende responsabilità in ordine alla fattibilità, alla sicurezza, all'economicità, all'utilità reale della colossale opera.
Com'è noto, la questione è di per se complessa e pertanto non può essere gestita all'insegna del protagonismo di questo o di quell'altro ministro o di qualche mancato ministro.
In questo bailamme di posizioni in libertà, l'opinione pubblica siciliana e nazionale è sempre più confusa e indignata ed attende dal governo, nella sua massima espressione politica, parole di chiarezza sia sugli aspetti finanziari, economici e di gestione dell'opera sia sui necessari raccordi coi sistemi di trasporto esistenti o programmati e sui problemi derivanti dall'impatto ambientale e dalla sicurezza del manufatto.
Sicurezza di cui non si parla nei convegni politici e nelle manifestazioni di popolo.
A tutt'oggi, non c'è uno studio serio che garantisca, sulla base di convincenti presupposti scientifici e tecnologici, la sicurezza del ponte nell'eventualità di un sisma catastrofico come quello già verificatosi, nel 1908, proprio nell'area dove dovrebbero essere piantati i due piloni.
Inoltre, l'ipotesi prospettata da Di Pietro, e accettata da Cuffaro, ingenera una cascata d'interrogativi dei quali alcuni davvero ineludibili.
Come può, concretamente, la regione Sicilia farsi carico della realizzazione dell'infrastruttura?
Con quali mezzi propri o d'altra natura si potrà approntare un piano finanziario credibile? L'Unione europea concorrerà al finanziamento? Chi sono, o saranno, i soggetti privati partecipanti? Quali le garanzie di legalità dei flussi finanziari eventualmente mobilitati?
Allarmismo? Non si direbbe, visto che, nei mesi scorsi, la magistratura antimafia ha bloccato un oscuro ingegnere il quale ha sostenuto d'aver informato ambienti del precedente governo di centro destra circa la disponibilità di almeno cinque miliardi di dollari proveniente da non meglio specificate cordate siculo-nordamericane interessate, patriotticamente, a realizzare il ponte.
Infine. Quale sarà il ruolo della regione Calabria: parteciperà a tale sforzo o se ne asterrà? Appare chiaro che il ponte non potrà reggersi sul solo pilone siciliano.
Interrogativi pesanti ai quali il governo nazionale, nel suo insieme, è chiamato a rispondere prima di assumere una posizione definitiva, in un senso o nell'altro.
* Pubblicato in ''La Repubblica/Palermo'' del 3 ottobre 2006