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E Totò Riina disse che dovevano morire tutti

Il pentito Giovanni Brusca al processo Stato-Mafia: "Riina fece i nomi di Falcone, di Borsellino, di Lima, di Mannino, di Martelli, di Purpura..."

12 dicembre 2013

E’ ripreso con il fallito attentato ai carabinieri allo stadio Olimpico di Roma l'esame del pentito Giovanni Brusca che, da ieri, sta deponendo nell'aula bunker di Milano al processo sulla trattativa Stato-mafia.

Il collaboratore di giustizia ha riferito di avere saputo da Gaspare Spatuzza, allora reggente del mandamento mafioso di Brancaccio, ora anche lui pentito, che il capomafia Giuseppe Graviano sosteneva la necessità di colpire i carabinieri "così si sarebbero portati un po' di morti dietro". "Dopo le bombe del '93 - ha spiegato Brusca - quello doveva essere l'ultimo colpo per spingere chi aveva ricevuto il papello a tornare a sedersi al tavolo della trattativa". "Solo anni dopo, leggendo sui giornali del coinvolgimento dei carabinieri nella trattativa - ha spiegato - capii a cosa si riferiva".

Brusca avrebbe parlato del progetto di attentato anche con il boss Matteo Messina Denaro. "Mi disse - ha raccontato - che fino ad allora non avevamo ottenuto nulla, facendo riferimento ai carabinieri, e che qualcuno si doveva fare avanti per venire a trattare".

"Nel 1991, c'era interesse a contattare Dell'Utri e Berlusconi perché attraverso loro si doveva arrivare a Bettino Craxi, che ancora non era stato colpito da Mani Pulite, perché influisse sull'esito del maxiprocesso", continua Brusca, che ha parlato anche di Berlusconi e dell'attentato fatto dal boss Ignazio Pullarà che riscuoteva dall'imprenditore milanese 600 milioni l'anno di pizzo. "I soldi - ha spiegato - poi venivano spartiti".
Dopo l'attentato, fatto senza l'autorizzazione di Cosa nostra, Pullarà viene sostituito alla guida del mandamento da Carlo Greco. Brusca ha indicato in Greco, vicinissimo al boss Bernardo Provenzano e nel capomafia Raffaele Ganci, gli uomini di Cosa nostra che potevano avere contatti con Dell'Utri.

"Il nostro messaggio era diretto a Berlusconi, ma Mangano incontrò solo Dell'Utri", ha aggiunto Brusca che ha spiegato che, all'epoca, Cosa nostra cercava di agganciare un nuovo soggetto politico. "Dopo avere ripreso i rapporti con Dell'Utri - ha continuato - Mangano mi disse che avrebbe dovuto incontrare direttamente Berlusconi che doveva venire a Palermo per un comizio. Si sarebbero dovuti vedere nello scantinato di un ristorante sulla circonvallazione, ma non so se l'incontro ci fu".

Poi le accuse agli ex ministri comunisti. "La sinistra, a cominciare da Mancino, ma tutto il governo, in quel momento storico, sapeva quello che era avvenuto in Sicilia: gli attentati del '93, il contatto con Riina. Sapevano tutto. Che la sinistra sapeva lo dissi a Vittorio Mangano - ha aggiunto - quando lo incontrai". "Gli dissi anche: 'I Servizi segreti sanno tutto ma non c'entrano niente'. Mangano comprese e con questo bagaglio di conoscenze andò da Dell'Utri".

Nell’udienza di ieri, Brusca ha raccontato della decisione del boss Totò Riina di colpire nuovamente, dopo le stragi di Falcone e Borsellino, per ottenere qualcosa dallo Stato. "Riina intorno a novembre del 1992 mi disse che dovevamo dare un altro colpetto per farli tornare e pensammo così di colpire Piero Grasso". "Preparammo la chiave per aprire un tombino vicino casa della suocera di Grasso a Monreale - ha aggiunto -. Dovevamo metterci l'esplosivo. Eravamo arrivati a buon punto. Mi ero procurato il telecomando con i catanesi. Poi per un problema tecnico desistemmo e l'argomento si chiuse".

Ma i progetto stragisti del boss corleonese non si fermavano qui: "Nel corso di una riunione, nel '91, Totò Riina disse che dovevano morire tutti, che si voleva vendicare, che i politicanti lo stavano tradendo. Fece i nomi di Falcone, che era un suo chiodo fisso, di Borsellino, di Lima, di Mannino, di Martelli, di Purpura. Disse gli dobbiamo rompere le corna. Tutti ascoltavano in silenzio. Per amore o per timore", ha raccontato il pentito Brusca nell'aula bunker di Milano. Falcone e Borsellino andavano eliminati in quanto nemici dei clan, secondo Brusca i politici come l'eurodeputato Salvo Lima e l'ex ministro Calogero Mannino, dovevano pagare il non avere fatto gli interessi di Cosa nostra (LEGGI).

Il pentito ha raccontato ancora: "Venti giorni dopo la strage di Capaci, vidi Riina a casa di Girolamo Guddo. Mi disse che aveva fatto un papello di richieste, per fare finire le stragi". Qualche giorno dopo, Riina informò che era arrivata una indicazione: "Mi spiegò che avevano risposto, fecero sapere che le richieste erano assai. Ma non c'era una chiusura. E a questo punto Riina mi fece il nome di Mancino, la richiesta era finita a lui, così mi fu spiegato". Su domanda del pm Roberto Tartaglia, Brusca ha precisato che "da lì a poco Mancino diventò ministro".

Brusca ha detto anche che "Bernardo Provenzano era a conoscenza del covo in cui Riina si nascondeva prima di essere catturato". Nella ricostruzione dell'accusa il boss Provenzano, che aveva avviato una trattativa con pezzi dello Stato, avrebbe consegnato agli investigatori Riina suggerendo, tramite Vito Ciancimino, al Ros dei carabinieri, dove il padrino di Corleone fosse nascosto.

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12 dicembre 2013
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