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E' un processo palermitano

Il processo Stato-mafia resta a Palermo. La Corte di assise ha respinto tutte le eccezioni di incompetenza sollevate dai legali dei dieci imputati

05 luglio 2013

Resta a Palermo il processo per la trattativa Stato-mafia. L'ha deciso ieri la Corte di assise che ha respinto tutte le eccezioni di incompetenza sollevate dai legali dei dieci imputati: ex politici, ufficiali dell'Arma, capimafia e Massimo Ciancimino.
Dopo aver letto l'ordinanza, il presidente della Corte, Alfredo Montalto, ha dichiarato aperto il dibattimento.

Gli avvocati della difesa avevano eccepito l'incompetenza sia territoriale che per materia dei giudici, sostenendo che il processo dovesse essere trattato dal tribunale, competente per il reato di minaccia a Corpo politico dello Stato contestato agli imputati, e indicando alcuni in Roma, altri in Caltanissetta o Firenze le autorità giudiziarie competenti.

Erano stati i difensori di Nicola Mancino a formulare le contestazioni più articolate circa la competenza della Corte di assise di Palermo. Gli avvocati avevano in primo luogo chiesto il trasferimento degli atti al Tribunale dei ministri, sostenendo che il reato di falsa testimonianza contestato a Mancino era stato commesso o si riferiva comunque a incarichi di governo da lui ricoperti. Inoltre, i legali avevano sostenuto che in ogni caso la competenza per questa fattispecie è del Tribunale ordinario in composizione monocratica e non della Corte di assise. Secondo i giudici, invece, "appare palese la mancanza di presupposti sollevati dalla difesa di Nicola Mancino per l'attribuibilità dei reati contestati al Tribunale dei ministri".
Mancino, ha detto il presidente Montalto leggendo l'ordinanza, "è imputato del reato di falsa testimonianza, commesso il 24 febbraio 2012, ben oltre la cessazione di ogni carica ministeriale ricoperta. Spetta a questa Corte - ha proseguito il presidente - il potere di qualificazione del reato, se esso sia ministeriale o meno. E non si comprende quale concreto pregiudizio vi possa essere nei confronti dell'imputato nell'essere giudicato dalla Corte di assise di Palermo".

La Corte ha inoltre respinto perché "manifestamente infondate" le eccezioni presentate dai difensori di Mori e De Donno. Si è quindi proceduto alla lettura dei capi d'imputazione contestati a ciascun singolo imputato.
Soltanto i boss mafiosi hanno assistito all'udienza collegati in videoconferenza: Totò Riina dal carcere di Opera, Leoluca Bagarella da quello di Ascoli Piceno, Antonino Cinà da quello di Parma e Giovanni Brusca da un sito riservato. Nell'aula bunker dell'Ucciardone non era presente nessuno degli altri imputati: Massimo Ciancimino, Nicola Mancino, Marcello Dell'Utri, Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni. In aula tutti i pm, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Di Matteo, Del Bene e Tartaglia.

"Questa decisione è uno stimolo per vedere se soggetti che non sono ancora sotto processo abbiano commesso reati nella tragica stagione delle stragi", ha commentato il pm Nino Di Matteo, tra i magistrati che rappresentano l'accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia. "Al di là delle critiche che ci sono state rivolte - ha aggiunto - c'è un gup che ha riconosciuto la necessità che venisse celebrato un processo e una corte che ha riconosciuto le nostre tesi sulla competenza e la completezza delle accuse".

"Non avevamo dubbi sull'accoglimento delle nostre argomentazioni che sono state riprese tutte nell'ordinanza della corte d'assise perché si trattava di ragioni di diritto fondate ad esempio su una sentenza delle sezioni unite della Cassazione che era stata ignorata dalle difese" secondo il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi. "Si è confermato - ha aggiunto Teresi - che l'omicidio Lima è un dato fondante del nostro castello accusatorio e il primo atto del ricatto che mafia e pezzi delle istituzioni fecero allo Stato".
Ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulle critiche che alcuni docenti, come il giurista Giovanni Fiandaca, hanno fatto all'impianto accusatorio della Procura, Teresi ha risposto: "Fiandaca ha letto solo la nostra memoria, che è stata un errore strategico, ma non conosce gli atti del processo e prima di commentare gli atti vanno letti senza la supponenza che certi professori e certi politici hanno mostrato".

[Informazioni tratte da Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it]

- Trattativa. Teresi a Di Lello, Lupo, Macaluso e Fiandaca: "Più umiltà" (SiciliaInformazioni.com)

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05 luglio 2013
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