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E' un suicidio di massa

La crisi economica come malattia sociale. Imprenditori, operai, pensionati... tutti disperati, tutti impotenti. Tutti abbandonati

18 aprile 2013

Ancora un’altro... A. S., 76 anni, titolare di un residence a Taormina, si è suicidato ieri mattina con un colpo di pistola alla testa. Secondo quanto hanno riferito i familiari, l’uomo soffriva di crisi depressive. I carabinieri hanno esaminato anche la situazione economica dell'imprenditore.
Solo pochi giorni fa uno dei più noti operatori turistici delle Eolie, Edoardo Bongiorno, 61 anni, si è ucciso a Lipari con un colpo di pistola nel suo albergo, l'hotel Oriente (LEGGI). Il gesto disperato legato a difficoltà economiche in cui versava l'imprenditore per la crisi dilagante del settore. Numerose le strutture costrette a chiudere i battenti: a inizio mese avevano annunciato la chiusura altri due alberghi storici dell'arcipelago.

Ma la l’estrema disperazione che attanaglia chi è stato colpito dalla crisi, non è solo una sciagura siciliana. Sempre ieri, ad esempio, l’ha fatta finita, impiccandosi, un muratore torinese di 44 anni. La convivente dell’uomo, che ha fatto la tragica scoperta, ha raccontato alla polizia che l'uomo il giorno prima si era recato al cantiere edile e aveva ricevuto la notizia del licenziamento in tronco.
Invece a Bitonto, in Puglia, giusto due giorni fa, un imprenditore del settore del marmo, di 60 anni, si è impiccato a una trave del capannone della sua azienda. Un’azienda senza più commesse ma forse con diversi crediti che non riusciva ad incassare, e rimasta con soli due operai che l’imprenditore non riusciva neanche più a pagare.
"Nel momento del bisogno tutti mi hanno abbandonato", così c’era scritto in un biglietto che aveva addosso, trovato dagli agenti di polizia.

Tutti disperati, tutti impotenti. Soprattutto soli. E non si parla di una solitudine familiare, ma sociale. E’ l’impossibilità di trovare ascolto, di affrontare il mare in tempesta ed uscirne con la faccia pulita.
Il gesto estremo non si compie in un momento di rabbia. Per farla pagare a qualcuno, come tanti pensano. O per viltà. Si accetta come una soluzione in assenza di altre. Come fuga da una realtà inaccettabile.

La crisi economica, certo. L’assenza di lavoro. L’impresa devastata dai debiti. Le banche che non danno soldi. Il fisco che non guarda in faccia chi non ce la fa a pagare e ha armi spuntate contro chi evade.
Tutto questo è il contesto, ma non basta a spiegare il gesto estremo, la disperazione, la solitudine. C’è dell’altro... Gli uomini e le donne che si tolgono la vita hanno in gran conto la propria dignità. Sono affidabili. Concedere loro credito, credere nelle loro imprese, confidare nelle loro risorse, costituirebbe un investimento ragionevolmente sicuro.
Il truffatore, il delinquente, colui che vive di espedienti non ha mai sprecato nulla di ciò che ha guadagnato con i suoi raggiri, figuriamoci se getta via la propria vita.
Tutti questi suicidi sono il sintomo di una malattia sociale, non solo della crisi economica. Sono la testimonianza di una disumanizzazione che ha lasciato il giudizio al rating della banca, che si confronta con il codice cliente e non con la persona.

[Informazioni tratte da Corriere del Mezzogiorno, Repubblica.it, SiciliaInformazioni.com]

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18 aprile 2013
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