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Ecco come i boss detenuti in un reparto di massima sicurezza continuavano a dirigere i loro traffici illeciti

15 marzo 2007

Detenuti nel reparto di massima sicurezza del carcere Pagliarelli di Palermo, eppure in possesso di un telefono cellulare dal quale coordinavano i loro traffici criminali.
Per il presidente della Commissione Antimafia, Francesco Forgione, quella scoperta ieri è ''una vicenda gravissima'', che riporta alla memoria ''i tempi del Grand Hotel Ucciardone''.

Ieri mattina è stata disposta dalla Procura di Palermo una perquisizione nelle celle dell'istituto di pena e sono state eseguite sei ordinanze di custodia cautelare. L'inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dai sostituti Maurizio De Lucia, Roberta Buzzolani e Michele Prestipino.
Secondo quanto è emerso dall'indagine, esponenti della famiglia mafiosa del quartiere palermitano Partanna-Mondello, dall'interno del carcere dirigevano un vasto traffico di stupefacenti in tutta la Sicilia. Tra gli arrestati vi è anche un agente penitenziario, Giuseppe Trapani, che forniva i telefoni cellulari ai detenuti. L'agente, 43enne originario di Sciacca ma residente a Villabate, è stato accusato di corruzione aggravata nell'avere agevolato la mafia e detenzione di sostanze stupefacenti che avrebbe introdotto nel carcere.
Fra le persone raggiunte dal provvedimento cautelare vi è anche la moglie di un detenuto, Antonio De Luca,  e fra i carcerati che hanno avuto il telefonino in cella. La donna avrebbe pagato una somma di denaro all'agente penitenziario per consentire al marito di usufruire del cellulare. Un altro ordine di custodia riguarda Giacomo Fidone, di 38 anni, di Scicli (Ragusa), accusato di aver procurato la droga all'organizzazione. Altre due misure cautelari sono state notificate in cella a Francesco Bonanno, di 34, e Massimiliano Magnasco, di 26.

Un inchiesta partita in maniera del tutto casuale, gli inquirenti, infatti, stavano svolgendo delle indagini per la ricerca di uno dei maggiori latitanti di mafia, il palermitano Giovanni Motisi. Gli investigatori intercettando Anna Maria Pampalpone, la moglie del boss mafioso detenuto Vincenzo Cascino, ritenuto vicino al latitante Motisi, hanno scoperto che il marito riusciva a chiamarla al telefono nonostante fosse rinchiuso nel reparto di massima sicurezza. Da questo episodio è cominciata l'inchiesta che ha portato nel settembre scorso ad identificare l'agente di polizia penitenziaria, che forniva il cellulare, dietro pagamento, ai detenuti.
Trapani è stato incastrato da intercettazioni telefoniche e dall'incrocio dei dati del suo apparecchio cellulare e delle schede che venivano inserite all'interno di esso: si è scoperto così che la guardia penitenziaria si sarebbe prestata a fornire schede sim ai detenuti, in cambio di 700 euro e di alcuni giocattoli per i figli. E sarebbe stata amplissima l'attività svolta da Trapani, ma la Procura sceglie per adesso di contestargli comportamenti specifici per singoli episodi, quelli ritenuti riscontrati al cento per cento.

''Quanto emerge da questa inchiesta è di una gravità straordinaria. Dobbiamo chiederci come sia potuto succedere, con quali coperture, con quali silenzi'', ha commentato il presidente della Commissione Antimafia, Francesco Forgione. ''Non c'è solo - ha aggiunto - un problema di efficacia e certezza dell'applicazione del 41 bis, ma anche di certezza della pena e modalità di gestione anche in regimi carcerari diversi. Sembra di rivivere i tempi in cui si parlava del Grand Hotel Ucciardone e questo non è tollerabile''.
''La scoperta dei detenuti del reparto di massima sicurezza in possesso di un telefonino cellulare - ha detto il senatore di Forza Italia Carlo Vizzini - è la dimostrazione di come la mafia cerca di tenere fermo il rapporto con il territorio e con i propri loschi traffici anche dal carcere. Per questo nessuno si dolga se si inaspriscono i regimi carcerari, la massima sicurezza o il carcere duro divenendo ancora più severi''.

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15 marzo 2007
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