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Ecco perché il Lodo Alfano è stato bocciato

La Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza: ''Scudo non previsto dalla Costituzione''

20 ottobre 2009

La Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della "bocciatura" del lodo Alfano. In quasi 60 pagine i giudici della Consulta spiegano le ragioni dell'incostituzionalità dello "scudo" per le quattro alte cariche dello Stato.
La Corte - nella sentenza n.262, relatore il giudice Franco Gallo - ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge n. 124 del 2008, perché viola gli articoli 3 (uguaglianza dei cittadini davanti alla legge) e 138 (che disciplina la procedura di revisione costituzionale) della Carta.
Anzitutto, scrivono i giudici, una modifica del genere (l'immunità per le più alte cariche dello Stato) andava fatta con una legge costituzionale perché prevedeva una deroga al principio di uguaglianza. "La sospensione processuale crea un'evidente disparità di trattamento di fronte alla giurisdizione" si legge nella sentenza. Il lodo Alfano, così come l'aveva varato il governo, attribuiva "ai titolari di quattro alte cariche istituzionali un eccezionale ed innovativo status protettivo, che non è desumibile dalle norme costituzionali sulle prerogative e che, pertanto, è privo di copertura costituzionale". Inoltre, continua la Consulta, lo status del premier non è superiore a quello dei ministri (che il lodo teneva fuori), ricoprendo "una posizione tradizionalmente definita di primus inter pares".
La Consulta ricorda anche che per le alte cariche il legittimo impedimento a comparire in un processo è già previsto dal codice di procedura penale, deve essere valutato caso per caso e non può essere automatico e generale.

La questione del legittimo impedimento - uno dei cardini del Lodo Alfano per la presunta impossibilità delle alte cariche, e del premier Berlusconi in particolare, di conciliare l'esigenza di presenziare alle udienze con i "rilevanti incarici" legati alle funzioni istituzionali - è stata risolta dai giudici costituzionali con un richiamo, tra l' altro, a un precedente illustre: la sentenza n. 451 del 2005 sul caso Previti. "Il legittimo impedimento a comparire ha già rilevanza nel processo penale e, pertanto - si spiega nella sentenza - non appare necessario il ricorso al lodo Alfano per tutelare la difesa dell'imputato impedito a comparire nel processo per ragioni inerenti all'alta carica da lui ricoperta". La corte, nel richiamare quel suo pronunciamento, sottolinea che la sospensione del processo per legittimo impedimento disposta in base al codice di rito penale "contempera il diritto di difesa con le esigenze dell'esercizio della giurisdizione, differenziando la posizione processuale del componente di un organo costituzionale solo per lo stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico e generale".
In pratica la strada per conciliare le esigenze processuali ed extraprocessuali nel caso di alte cariche dello Stato potrebbe essere risolto senza violare il principio di uguaglianza. I processi al premier potrebbero così andare avanti. I giudici, dal canto loro, sarebbero obbligati a stabilire, d'intesa con il presidente del Consiglio, un calendario delle udienze che tenga conto degli impegni istituzionali del presidente del consiglio. Così da evitare conflitti e rispettare il diritto di difesa.

- LA SENTENZA (Pdf)

[Informazioni tratte da Repubblica.it, Corriere.it]

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20 ottobre 2009
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