Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Ecco perché Napolitano ha ragione

La Corte Costituzionale ha imposto la distruzione delle intercettazioni del Capo dello Stato captate dai pm palermitani

16 gennaio 2013

Il Capo dello Stato "deve poter contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni". E' in forza di questo principio, messo nero su bianco nella sentenza n. 1 del 2013 sul conflitto tra Giorgio Napolitano e la Procura di Palermo, che la Corte Costituzionale ha imposto la distruzione delle intercettazioni del Presidente captate dai pm dell'inchiesta Stato-mafia; assimilandole di fatto a quelle "eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge".
Dal Quirinale non si commenta ma si prende atto del totale accoglimento da parte della Corte costituzionale delle ragioni del ricorso: sia sul piano dell'ammissibilità sia sul piano del merito, a garanzia non della persona ma del ruolo del presidente a garanzia dell'assetto costituzionale.

Ma è proprio il principio della riservatezza assoluta che il pm simbolo di quell'inchiesta, Antonio Ingroia, ora passato alla politica e leader di Rivoluzione Civile, contesta. Perché - afferma Ingroia - fermo restando il "riserbo" dei colloqui del Presidente "al quale si è sempre attenuta la Procura di Palermo" e fermo restando che "solo il giudice, non il pm può distruggere tali intercettazioni, come da sempre sostenuto dalla Procura", la sentenza "apre ad un ampliamento delle prerogative del Capo dello Stato, mettendo così a rischio l'equilibrio dei poteri dello Stato".

Al centro del caso, quattro telefonate di Napolitano con l'ex ministro Nicola Mancino, imputato per falsa testimonianza nel procedimento in corso a Palermo, le cui utenze erano sotto controllo. Le conversazioni, registrate quindi incidentalmente, sono state sempre definite "irrilevanti" dai magistrati inquirenti. Ma questi aspetti - spiega la Consulta nelle 49 pagine di motivazioni, scritte dai giudici relatori Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo e depositate ieri - non spostano i termini della questione. Primo, perché "non spettava ai pm" valutare la rilevanza della documentazione. Secondo, perché la distinzione tra "intercettazioni dirette, indirette e casuali" "non assume rilevanza" in questo caso.
Ora quei nastri dovranno essere distrutti sotto il controllo del giudice, "non essendo ammissibile" che "alla distruzione proceda unilateralmente il pubblico ministero". Anzi, secondo la Corte, l'iter individuato dai pm per la distruzione avrebbe creato un "vulnus". Si inserisce qui l'analisi delle due strade per arrivare alla distruzione: quella che prevede un'udienza di fronte al gip con la possibilità per le parti di acquisire il materiale depositato e quella che non prescrive, da codice, un'udienza camerale.

La prima era quella individuata dalla Procura e definita dagli articoli 268 e 269 del codice di procedura penale, ma per questa via si corre il rischio che i contenuti delle conversazioni intercettate del presidente possano, un volta a disposizione delle parti, divenire pubblici. La seconda, che invece non espone a questo rischio, è quella fissata per le intercettazioni vietate dall'art. 271 cpp, in particolare dal comma 3, in base al quale il giudice "in ogni stato e grado del processo" dispone che le intercettazioni siano distrutte a meno che non costituiscano corpo del reato: questo vale qualora vengano registrate conversazioni di confessori, avvocati, investigatori privati, medici e comunque chi per legge è tenuto a un segreto professionale. Una rosa eterogenea di soggetti, riconosce la Corte, ma proprio per questo "è coerente" l'estensione di questo principio di "tutela 'rafforzata'" anche al Presidente, che - ricorda la sentenza - è anche presidente del Csm, del Consiglio superiore di difesa, capo delle Forze armate.

Inoltre, ricordano i giudici costituzionali, "è indispensabile che il Presidente affianchi continuamente ai propri poteri formali, espressamente previsti dalla Costituzione, un uso discreto di quello che è stato definito il 'potere di persuasione', essenzialmente composto di attività informali". Egli è, in sostanza, il garante dell'unità nazionale. Rivelare il contenuto di suoi colloqui riservati "nel corso dei quali ciascuno degli interlocutori può esprimere apprezzamenti non definitivi e valutazioni di parte su persone e formazioni politiche, sarebbe estremamente dannoso" non tanto e non solo per il Capo dello Stato "ma anche, e soprattutto, per il sistema costituzionale complessivo, che dovrebbe sopportare le conseguenze dell'acuirsi delle contrapposizioni e degli scontri". Da qui la "riservatezza assoluta delle proprie conversazioni" su cui il Capo dello Stato deve poter contare "non in rapporto ad una specifica funzione, ma per l'efficace esercizio di tutte".

"E' ovvio che daremo esecuzione alla sentenza della Consulta nei termini enunciati dal dispositivo e invieremo al gip la richiesta di distruzione delle intercettazioni". Francesco Messineo, procuratore di Palermo, ha commentato così la sentenza della Corte costituzionale depositata ieri. "La distruzione - ha aggiunto Messineo - come indicato dalla Corte, avverrà con la massima riservatezza, in un'udienza riservata e sotto il controllo del giudice. La macchina si è messa in moto, ci sono adempimenti formali da osservare ma assicuro che tutto verrà fatto con la massima sollecitudine".
Secondo il procuratore "quella della Corte costituzionale è una sentenza innovativa, perché costruisce un percorso interpretativo non riferito a singole norme ma proiettato nel sistema costituzionale nel suo complesso. Nella sua decisione la Corte ha abbandonato un percorso strettamente normativo e si è riferita al complesso dei principi costituzionali dai quali ha estratto il principio finale che è quello dell'esigenza di proteggere le conversazioni del capo dello Stato anche dalle intercettazioni occasionali. Sulla base delle norme positive non era facile individuare questa soluzione: tant'è vero che la Consulta si è mossa nella scia di un complesso di norme e principi".

Messineo non è d'accordo con l'ex collega Antonio Ingroia: "Non credo che la sentenza comporti un rischio per l'equilibrio dei poteri dello Stato. La Corte Costituzionale, che è garante dell'equilibrio tra i poteri dello Stato, ha semplicemente individuato certi assetti che non comportano rischi possibili. In un teorico bilanciamento di interessi evidentemente, alla luce dei principi della Costituzione individuati, la Corte ha assegnato una tutela preminente all'istituzione del presidente della Repubblica".
Infine il procuratore sottolinea che "la Corte costituzionale ha riconosciuto la correttezza dell'azione della Procura nella effettuazione delle intercettazioni e della loro registrazione: i giudici danno atto che non si può vietare un fatto occasionale, troncando così ogni dubbio sul carattere involontario dell'intercettazione. Va riconosciuto, dunque, che la Procura non ha violato norme individuali di legge".

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it]

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

16 gennaio 2013
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia