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Erano fedelissimi a Lo Piccolo...

Un quarto ''uomo di fiducia'' di Salvatore Lo Piccolo ha deciso di collaborare con la giustizia

02 febbraio 2008

Continuando di questo passo del clan di Salvatore Lo Piccolo, il boss che aveva intenzione di rifondare la Cosa nostra Palermitana, non ne rimmarrà nulla. Un altro suo “fedelissimo” ha deciso di collaborare con la giustizia. Si tratta di Andrea Bonaccorso, 31 anni, indicato da un altro pentito della cosca dei Lo Piccolo, Gaspare Pulizzi, come "persona di fiducia" del capomandamento di Brancaccio Andrea Adamo.
Pulizzi, che insieme ad Adamo vennero arrestati con Lo Piccolo e il figlio Sandro il 5 novembre scorso (leggi), ha raccontato ai magistrati della Dda di Palermo che Bonaccorso avrebbe partecipato all'omicidio del capomafia Nicola Ingarao, assassinato a luglio scorso a Palermo (leggi). I familiari del neo collaboratore sono stati trasferiti in una località protetta.

Dunque, continua a incrinarsi inesorabilmente il muro di omertà della cosca palermitana di San Lorenzo: a luglio scorso si è pentito Franco Franzese, braccio destro del boss Salvatore Lo Piccolo, conosciuto come ''Franco di Partanna'' (leggi), poi è stata la volta di Antonino Nuccio detto ''Pizza'', esattore del pizzo per conto del clan (leggi), poi Gaspare Pulizzi, ex reggente del mandamento di Carini e ''colonnello'' del clan Lo Piccolo (leggi), e ora Bonaccorso, meglio conosciuto come ''u sculurutu'' (lo scolorito).

Intanto, Gaspare Pulizzi continua a rilasciare dichiarazioni importantissimi ai magistrati della Dda Nico Gozzo e Francesco Del Bene. Rivelazioni con le quali si stanno scoprendo sempre di più le intricate maglie dell'impero che Lo Piccolo stava ergendo dopo l'arresto di Bernardo Provenzano.
"Nel gennaio del 2007 - ha raccontato il collaboratore di giustizia, per anni reggente del mandamento di Carini - prima che io divenissi latitante, c'eravamo visti insieme a Franco Franzese, ai Lo Piccolo ad Andrea Adamo e a Giancarlo Seidita e c'erano i catanesi Angelo Santapaola, Nicola Sedici e Enzo Aiello. In quella occasione i catanesi avevano portato un kalashnikov per Sandro". Una segno dall'allenza tra la mafia catanese e quella palermitana dei Lo Piccolo.
I palermitani che parteciparono all'incontro sono stati tutti arrestati. Franzese, come Pulizzi, collabora con la giustizia.

Il neopentito fedelissimo del capomafia palermitano, ha pure raccontato ai pm Gozzo e Del Bene, che hanno depositato ieri i verbali dell'interrogatorio, i progetti di morte del boss: "Il dottore Cinà, che è padrino di iniziazione di Sandro Lo Piccolo, doveva essere ucciso perchè si era alleato con Nino Rotolo. I Lo Piccolo, poi, cercavano intensamente Nicchi per ucciderlo, sia a Palermo che a Milano". Antonino Cinà, ex medico di Totò Riina, già condannato con sentenza definitiva per mafia, era stato condannato a morte per la sua vicinanza a Nino Rotolo, capo del mandamento di Pagliarelli nemico dei Lo Piccolo, in quanto contrario al rientro a Palermo degli ''scappati'' Inzerillo, i boss rifugiatisi in America dopo la guerra di mafia degli anni '80. Anche la condanna di Gianni Nicchi, latitante dall'anno scorso, considerato giovane promessa di Cosa nostra, è da attribuirsi alla sua vicinanza a Rotolo (leggi). Lo Piccolo, ha raccontato il collaboratore, non aveva nulla in contrario al rientro degli Inzerillo sostenendo che così poteva controllarli meglio e "mi aveva detto - ha detto ancora - che Bernardo Provenzano, non aveva posto ostacoli al loro rientro".

Pulizzi ha rivelato anche i retroscena della sparizione dell'imprenditore edile Antonio Maiorana e del figlio Stefano, spariti il 3 agosto scorso (leggi). Dietro la scomparsa non ci sarebbe la mano della mafia, ma dei contrasti sorti nell'ambito lavorativo. Pulizzi racconta che "Lo Piccolo aveva detto che la scomparsa dei Maiorana è stata determinata da contrasti interni al cantiere". L'imprenditore e il figlio stavano realizzando alcune palazzine a Isola delle Femmine, nel Palermitano, e il 3 agosto si erano allontanati dal cantiere, lasciando gli effetti personali in ufficio e dicendo agli operai che sarebbero tornati da lì a poco. La loro auto, una Smart, è stata ritrovata, chiusa dall'interno, nel parcheggio dell'aeroporto Flacone-Borsellino di Palermo.
"Sia Salvatore Lo Piccolo - prosegue il pentito - che il figlio Sandro volevano capire chi ne fosse responsabile e con certezza, una volta individuato lo avrebbero ucciso".
Che dietro la scomparsa dei Maiorana ci potessero essere contrasti legati al lavoro i carabinieri l'hanno sospettato da subito. Le indagini si sono concentrate sulle due ditte per le quali Antonio Maiorana faceva da consulente: la Calliope e la Edilia. Della Calliope erano soci al 50% la compagna di Maiorana, Karina Andre Gabriela, argentina, e Dario Francesco Lopez, genero di Salvatore Bandiera, proprietario del terreno su cui l'impresa stava costruendo.
Della Edilia, invece, risultano soci i figli di Bandiera e l'imprenditore palermitano Francesco Paolo Alamia. Alamia, che è stato anche assessore comunale a Palermo, era tra i soci della immobiliare Inim insieme a Filippo Alberto Rapisarda, e, secondo gli inquirenti, avrebbe avuto rapporti d'affari con l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, condannato per mafia.
Il pentito Tullio Cannella, nell'ambito del processo a carico del senatore di Fi Marcello Dell'Utri, dichiarò che "Alamia gli era stato indicato come persona da rispettare nel 1984 dal boss Pino Greco detto 'Scarpa' e dal cugino Filippo La Rosa, entrambi uomini d'onore della famiglia di Ciaculli". Alamia fu indagato per concorso in associazione mafiosa insieme a Dell'Utri, Silvio Berlusconi e Gaetano Cinà. Le posizioni di Alamia e Berlusconi vennero archiviate nel 1997. Per entrambe le società Maiorana curava le pratiche di rilascio di mutui bancari.
Le aziende sono state perquisite l'11 agosto scorso, giorno in cui venne perquisita anche l'abitazione di Trapani della convivente dell'imprenditore.

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02 febbraio 2008
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