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Eroi in Missione di Pace?

I soldati italiani a Nassiriya spararono su un'autoambulanza e uccisero diversi innocenti civili

04 febbraio 2006

A Nassiriya i soldati italiani sparano perché devono difendersi dai loro nemici. Semplice. In guerra è così che funziona. Nell'agosto del 2004, i soldati del contingente nazionale, i soldati della missione ''Antica Babilonia'', intrapresero quella che fu denominata la ''battaglia dei Ponti''.
Giovani soldati, appostati sopra il tetto di un edificio, sparavano a tutto spiano verso i loro nemici, gli iracheni. Forse ribelli, forse terroristi, forse innocenti. In una guerra il dubbio è più che lecito, ma una certezza esiste ed è quella di cercare in tutti i modi portare sana e salva la ''pellaccia'' (un gergo che piace sicuramente ai battaglieri militari) a casa.

''Annichiliscilo!'', gridava un militare italiano ad un suo commilitone intento a prendere la mira e a falcidiare la vita degli uomini che stavano dall'altra parte, dalla parte dei ponti. ''Annichiliscilo!'' gridava, mentre ammirava la precisione del suo collega, tiratore scelto in una ''missione di pace''.
Già, una missione di pace. E' stata sempre questa la formula usata dal governo per nominare l'entrata dell'Italia nella guerra in Iraq. Soldati che vanno migliaia di kilometri lontano dal proprio paese con le tasche e i zaini pieni di pace... L'Italia è in Guerra? Peggio di una bestemmia in chiesa, questa affermazione per il governo e per gli alti esponenti dell'esercito. Non si dica mai una cosa del genere. L'Italia è in missione di pace, e gli iracheni adorano gli italiani.
Poi si scopre che gli iracheni di  Nassiriya vorrebbero solo una cosa, che i soldati italiani se ne andassero, anzi: che i soldati italiani cessassero la loro occupazione in Iraq.
Poi si scopre che la missione di pace ha avuto la ''battaglia dei Ponti'' e tante altre battaglie, magari denominate con altrettanti nomi che evocano il cinema americano, e pensi che chissà quante volte, durante queste battaglie, militari hanno chiesto ai loro colleghi di annichilire il nemico.

E poi si scopre anche, che i soldati italiani hanno sparato sopra civili e verso ambulanze. Ma sarebbe stato, francamente, strano scoprire il contrario, perché in guerra, anche quando è celata sotto la nomea di ''missione di pace'', queste cose possono succedere.
''Sparai contro il mezzo perché così mi fu ordinato dal maresciallo Stival. Se mi fossi accorto che si trattava di un'ambulanza mai e poi mai avrei sparato e avrei chiesto spiegazioni al superiore''.
Il 25 gennaio scorso, davanti ai magistrati della procura militare il caporalmaggiore Raffaele Allocca ha ammesso che a Nassiriya, durante la ''battaglia dei Ponti'',  nella notte tra il 5 e il 6 agosto del 2004, i soldati italiani fecero fuoco contro i civili.
E' la conferma di una versione sempre negata dalle Forze Armate e dall'allora ministro degli Esteri Franco Frattini che in Parlamento dichiarò: ''Non è vero che si trattava di un mezzo di soccorso, era un'autobomba''.

Il sottufficiale Raffaele Allocca, in Iraq con il reggimento Lagunari ''Serenissima'' di Venezia, è accusato dalla procura di ''uso aggravato delle armi contro ambulanze e contro il personale addetto''. Ma l'Esercito lo ha di fatto già assolto e premiato. Il 28 agosto 2004, infatti, il generale Corrado Dalzini gli ha consegnato un encomio per aver ''contribuito in maniera determinante al successo dell'operazione''.
La versione dei militari è stata ribadita più volte: ''Si trattava di un'autobomba. Abbiamo lanciato segnali luminosi e cercato di fermarla ma non ci siamo riusciti e abbiamo sparato. Se non l'avessimo bloccata, ci sarebbe stata una strage''. Le vittime furono almeno quattro persone. Tra loro una donna incinta e un signore anziano.
Ma queste quattro vittime non furono gli unici civili uccisi dai soldati italiani durante quella battaglia. È lo stesso Allocca ad ammetterlo: ''Ricordo che dopo l'episodio dell'autovettura colpita ed esplosa - ha fatto mettere a verbale - un autobus passeggeri effettuò la stessa manovra venendo verso di noi e non fermandosi alle nostre intimazioni. I commilitoni del dispositivo spararono davanti al mezzo che si fermò davanti ai nostri carri. Un carro si avvicinò e fece scendere dall'autobus due persone, un signore con un bambino. Successivamente il maresciallo Stival seppe che a bordo del mezzo era morto il conducente. Anche io sentii questa comunicazione''.

La testimonianza del caporalmaggiore conferma, inoltre, quanto sostenuto dal giornalista americano Micah Garen nel libro ''American hostage''. Garen fu sequestrato nella zona a sud di Nassiriya, e liberato dieci giorni dopo, il 22 agosto 2004, dai miliziani dell'Esercito del Mahdi. Questi pubblicamente affermarono: ''È un messaggio di pace. Lo abbiamo liberato anche perché ha fatto chiarezza sull'operato dei militari italiani''. Era stato proprio Garen, dopo la battaglia dei Ponti, ad accusare i soldati impegnati nella missione ''Antica Babilonia'' di aver fatto esplodere non un'autobomba, ma un'ambulanza. E aveva filmato il mezzo.
Qualche settimana fa la Procura militare ha ottenuto una proroga delle indagini. I magistrati devono infatti accertare non soltanto il rispetto delle regole d'ingaggio visto che i soldati italiani sono in Iraq in missione di pace, ma soprattutto ricostruire la catena di comando.

- ''Una giornata di guerra'' documentario di Rai News 24

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04 febbraio 2006
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