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Essere ammazzato per un niente

Una famiglia distrutta per un banale incidente. Una giustizia iniqua e ottusa. Una ragazzina che chiede aiuto

10 giugno 2006

Si può uccidere un uomo perché  inavvertitamente, posteggiando lungo il ciglio del marciapiedi ha graffiato un auto già parcheggiata ? E lo si può uccidere a mani nude, riempiendolo di calci e pugni così carichi d'odio da arrivare ad un'insensatezza barbarica fino all'efferatezza bestiale?
Sembra assurdo ma si può, e a Palermo è successo, due anni fa.

Simone La Mantia, un impiegato all'Azienda del gas di Palermo di 37 anni, il 2 ottobre del 2004 fu ucciso per questi motivi, e in questa maniera, da Salvatore Mannino. La Mantia, padre di quattro figli, quel giorno, mentre in macchina con la moglie e una delle sue figlie stava posteggiando di fronte all'impresa di pompe funebri del Mannino, urtò inavvertitamente l'automobile di quest'ultimo. Un piccolo incidente da niente ma che scatenò nel Mannino una vera e propria furia omicida. Insieme col figlio Natale, Salvatore Mannino accese una discussione che prestò si tramutò in tragedia. Simone La Mantia, davanti gli occhi di sua moglie e di sua figlia di 4 anni, fu massacrato e ammazzato di botte per una manovra sbagliata che aveva provocato un graffio da niente.

Due anni dopo, esattamente nei giorni scorsi, il gup di Palermo, Maria Elena Gamberini, ha condannato Salvatore Mannino a sei anni di reclusione per omicidio preterintenzionale, ed ha assolto il figlio, Natale.
Il processo si è svolto con il rito abbreviato e la procura aveva chiesto al gup la condanna a 12 anni per Salvatore Mannino, mentre per il figlio Natale l'assoluzione. Il gup ha anche accordato 30mila euro di provvisionale a ciascuna delle parti civili, la moglie e i 4 figli della vittima.
''Sei anni per un omicidio sono pochi. Leggo sul giornale che i ladri sono condannati a pene più pesanti. Quell'uomo ha rovinato la mia vita e quella dei miei 4 figli''. Sono state queste, dopo la sentenza, le amareggiate parole di Irene Librera, 34 anni, madre di 4 figli di 16, 13, 9 e sei anni, e moglie della vittima. ''Chiedo alle istituzioni competenti di permettermi di andare via da Palermo. Abito vicino al negozio di quelle persone e ogni tanto sono costretta ad incontrare l'assassino di mio marito. Se la legge condanna a sei anni un uomo che uccide a botte deve consentirmi di rifarmi una vita''.
''Dal giorno dell'omicidio - ha detto inoltre la donna, che lavora come fattorino all'azienda del gas, dov'era impiegato il marito - la mia vita è stata rovinata. Vado dallo psicologo e i problemi con 4 figli da mantenere e da mandare a scuola sono tanti''.

Lasciare, dunque, Palermo, una città dove si può essere brutalmente ammazzati per una banalità, un desiderio che ha espresso anche una delle figlie di Simone La Mantia in una commovente lettera che ha scritto al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
La lettera di Giulia, cha ha 14 anni e che frequenta la seconda media, comincia così:
''Carissimo presidente della Repubblica sono Giulia La Mantia, la figlia di quell'uomo ucciso a pugni davanti agli occhi di mia madre e della mia sorellina Maria Chiara che aveva 4 anni...''.
La ragazzina chiede a Napolitano un aiuto affinché la sua famiglia (la madre, i due fratelli e la sorella) ''possa lasciare Palermo perché le persone che hanno ucciso mio padre hanno l'attività vicino casa nostra e vicino la scuola che frequento''. ''Mio padre - continua Giulia - era la persona più buona che possa esistere, era dolce e buono. Papà e la prima parola che ho pronunciato. Io le chiedo di darci una mano a trasferirci in una città dov'eravamo stati col mio papà e dove dovevamo andare tutti insieme''. ''Io e i miei fratelli - prosegue la l'accorata lettera - siamo seguiti da 4 psicologhe meravigliose che ci stanno aiutando a tirare fuori le nostre paure, perché di paure ne abbiamo tante''. ''La prego - scrive ancora Giulia - ci aiuti a ritrovare la pace che abbiamo perso quel maledetto ottobre. Ci aiuti a credere ancora negli uomini, nell'amore degli uni verso gli altri, faccia il possibile perché il nostro non rimanga un sogno perché abbiamo sofferto tanto''. ''Sarei felice - conclude Giulia - di conoscerla e recapitarle io stessa questa lettera. Grazie per tutto. Spero di vederla presto''.

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10 giugno 2006
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