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Fantasmi veri e presunti

L'oscuro potere mafioso è aleggiato, e aleggia ancora, come malefica entità. Ma la giustizia non crede ai fantasmi

31 marzo 2006

La feroce e potente mafia è sempre stata un'organizzazione avvolta nel mistero. La sua stessa natura è oscura e parallela alla realtà del vivere civile secondo le normali regole della giustizia sociale.
I protagonisti della mafia sono uomini che vivono nell'ombra, personaggi dai poteri assurdi che nel comando hanno perso tutta l'esistenza. Ma la loro diventa una potenza da fantoccio quando gli ''eroi'' della Legge riescono a smascherarli. Nulla di paranormale nasconde il loro volto, solo cattiveria, ottusità, crudeltà, spietatezza, ignoranza. Nulla di paranormale, ma tutto molto inquietante.
''Comandare è meglio che fottere'', dicono, o meglio, pensano i mafiosi, e per il comando hanno perso i valori sacri della vita. E allora sequestrano, si impossessano di luoghi, di beni e di persone, uccidono e fanno saltare in aria simboli e significati.
Ma la mafia è una cosa che appartiene a questo mondo, e come tutte le cose che a questo mondo appartengono, ha avuto un inizio, ha avuto il suo svolgimento con tantissime trasformazioni, e avrà una fine.

Come hanno avuto una fine le malefatte di tanti boss che la giustizia ha fermato. Uomini terribili e senza cuore che una volta acciuffati dalla legge, hanno pianto come vitelli, hanno chiesto umilmente scusa, si sono pentiti, hanno rinnegato il passato e sono stati puniti. Certo non tutti si sono pentiti, non tutti hanno deciso di collaborare con la giustizia e in questo modo tentare di recuperare almeno una parte di dignità. Qualcuno è rimasto fermo sui suoi bestiali principi, ma non per questo la loro punizione è minore.
E c'e chi la punizione l'ha avuta, e ne ha avuta una seconda e una terza, perché tantissimi sono le sue colpe e la giustizia deve riequilibrarlo questo mondo.
Totò Riina, per esempio, dopo i suoi ergastoli e il carcere duro, continua ad essere condannato, perché la lista delle sue nefandezze sembra non finire mai.
Giusto ieri, il gup di Palermo Adriana Piras ha condannato con rito abbreviato Riina e altri cinque boss mafiosi per traffico di armi ed esplosivo. I sei malavitosi infatti, nella primavera del 1992 spedirono da Castelvetrano (TP) a Roma le armi e una grossa quantità di esplosivo utilizzati, poi, per gli attentati che Cosa nostra mise a segno nella capitale nel 1993.
Il giudice ha inflitto pene fra otto anni e quattro mesi e sei anni e quattro mesi a Totò Riina, Mariano Agate, boss di Trapani, Salvatore Biondino, Cristofaro ''Fifetto'' Cannella, Lorenzo Tinnirello e Giovan Battista Consiglio.
Secondo la ricostruzione fatta dai collaboratori di giustizia Sinacori, Geraci e Scarano, il capomafia Riina aveva ordinato la spedizione per trasportare le armi e l'esplosivo e per tenere sotto controllo i movimenti del giudice Giovanni Falcone, dell'allora ministro della Giustizia Claudio Martelli e del giornalista Maurizio Costanzo che dovevano essere uccisi nella capitale. Poi i piani di Cosa nostra cambiarono e gli attentati vennero commessi in tempi e luoghi diversi.
In questo stesso procedimento erano imputati anche Giuseppe Graviano (già detenuto) e il boss latitante Matteo Messina Denaro, che dopo Bernardo Provenzano è il ''fantasma'' più ricercato d'Italia.
 
Già fantasma, perché questo sembra che diventino questi ''uomini potenti'' che hanno comandato sulla vita della povera gente, nel momento in cui la giustizia comincia a cercarli. Fantasmi della peggior specie, che sono scomparsi e hanno preferito una vita da perseguitati piuttosto che consegnarsi alla legge e fare i conti con le proprie responsabilità.
Esistenze conosciute che non si sa dove siano, e che vengono cercate da decenni senza esito. Esistenze recluse dentro buchi, che della propria identità non possono fare più nulla, ma che non cedono e in maniera insensata preferiscono la vita da scarafaggio, da sorcio, da fantasma.
''Per noi Provenzano non è un fantasma. Lo era forse un tempo quando potevamo avvalerci solo di dichiarazioni, ma oggi abbiamo 'pezzetti' del boss. Ne conosciamo l'altezza con previsione, l'aspetto fisico, i dati circa la sua salute, identikit. Abbiamo la certezza del suo ruolo decisionale nella mafia. Notizie sui suoi rapporti, sui suoi movimenti, sul modo di dirimere le questioni, sulle strategie che intraprende e sugli effetti delle sue decisioni''.
Per qualcuno, quindi Provenzano non è un fantasma, e questo qualcuno è il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, che ha rilasciato la sopracitata dichiarazione intervenendo lunedì scorso, nell'aula bunker di Palermo, alla presentazione del film di Marco Amenta ''Il fantasma di Corleone'', che narra, appunto, della lunga latitanza della Primula rossa di Corleone.
''Possiamo dire che Provenzano - dice Grasso - non è un'icona mediatica ma un punto di equilibrio nell'organizzazione criminale, al quale vengono sottoposte questioni anche minime, come dimostra un 'pizzino' in cui un uomo d'onore gli chiede informazioni sul fidanzato della figlia affinché questo non finisca per mettere a rischio e in difficoltà la famiglia mafiosa''.
Insomma, non un fantasma ma un uomo da ricercare e soprattutto da trovare, perché ancora influente ed importante per quella mafia, oramai destrutturata e indebolita, ma che ancora resiste insensatamente.

Per qualcun altro invece, Provenzano farebbe proprio parte del regno delle anime morte che vagolano nelle notti di plenilunio. ''Bernardo Provenzano è morto da anni''. ''Lo cercano ormai dappertutto, lo cercano da anni intensamente ma non lo trovano. Questo vorrà pur dire qualcosa, no? I migliori investigatori italiani gli danno la caccia e non riescono a prenderlo mai. E' possibile?''.
A sostenere tale tesi è Salvatore Traina, l'avvocato di fiducia del boss dei boss, intervistato da Attilio Bolzoni per ''la Repubblica''.
Nell'intervista l'avvocato Traina riporta tre elementi che, secondo lui, potrebbero giustificare il fatto che Provenzano sia già morto e sepolto da anni. Il primo è che, nonostante lo si cerchi ormai da quarant'anni, nessuno lo trova.
Il secondo elemento è questo: ''Fino all'anno scorso al primo posto della lista del ministero degli Interni sui trenta latitanti più pericolosi c'era Bernardo Provenzano, al secondo Andrea Ghira - spiega Traina - Un gruppo di bravi giornalisti del Tg3, quelli della redazione di Chi l'ha visto, hanno scoperto che le autorità italiane già sapevano da tempo che Ghira era morto. Eppure stava sempre in quella lista''.
''Quanto al terzo elemento - continua l'avvocato - io sono il suo difensore da sempre, ho tutte le vecchie cause del mio cliente. Ma da anni e anni ogni volta che notificano qualcosa a Provenzano e in ogni processo dove è imputato, accanto al suo nome compare sempre quello del difensore d'ufficio di turno. Non c'è un solo mafioso o un solo capo di Cosa Nostra che è assistito dal difensore d'ufficio di turno. Vorrà pur dire qualcosa anche questo''.

Ma come fa Traina a sostenere che Provenzano sia morto, quando tutti sanno che lo scorso anno è stato ricoverato a Marsiglia? ''E chi l'ha detto che quell'uomo fosse davvero Provenzano? - risponde l'avvocato palermitano -. Gli inquirenti adesso dicono di avere il suo Dna, io invece penso che non abbiano proprio niente. Loro da alcuni frammenti di prostata di un uomo operato in Francia sono risaliti al Dna di qualcuno, che dicono essere Provenzano. Per avere la certezza che quell'uomo fosse il mio cliente, però, dovevano avere prima anche il suo Dna per poi confrontarlo''.

- L'intervista integrale a Salvatore Traina di Attilio Bolzoni

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31 marzo 2006
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