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Fausto Pirandello si svela a Salemi

In mostra al Castello svevo normanno 50 opere del celebre pittore agrigentino

17 febbraio 2010

Salemi si riconferma cenacolo di artisti. Dopo aver ospitato nei mesi scorsi le opere di Osvaldo Licini e Amedeo Modigliani, il comune esporrà, dal 19 febbario al 2 maggio 2010, le opere del maestro Fausto Pirandello in una mostra dal titolo "Forma e materia. Dipinti e disegni 1921-1972".

L’esposizione, curata da Vittorio Sgarbi con la direzione artistica di Giada Cantamessa e l’allestimento di Cristian Moncada, mette in luce la produzione del maestro di Agrigento a partire da un percorso tematico che evidenzierà anche il rapporto intercorso tra l’artista e il padre Luigi, celebre drammaturgo e Nobel per la letteratura.

La mostra è divisa in cinque sezioni: "Nascere carne, ossa e nervi. L’interpretazione del nudo in F. Pirandello"; "Figure femminili"; "Natura e oggetto"; "Ritratti di famiglia e autoritratti"; "Il tema della Crocifissione".

Le opere in mostra, tutte appartenenti a una collezione privata, scorrono lungo un fil rouge tessuto di forma e materia, motivo della produzione pirandelliana, per certi versi solitaria per vocazione rispetto alle correnti artistiche a lui coeve. Pirandello vi aderì pur mantenendo una visione ancorata ad una lettura della realtà, per altro più veristica che realistica, fortemente materica e di matrice anticlassica, nonostante la sua vicinanza agli antichi possa apparire ossimorica.
I pochi soggetti ossessivamente ripetuti e ripresi durante tutta la sua carriera svelano la personalità complessa dell’artista che reinterpreta, all’interno delle sue opere, la luce accecante e il colore della Sicilia, e in particolar modo di Agrigento, paese d'origine della sua famiglia. In un continuo rimando alla pittura espressionista e cubista di Derain e Picasso appresa a Parigi alla fine degli anni Venti, Pirandello vi si confronta sempre in modo autonomo e personale, con il linguaggio astratto-concreto degli anni Cinquanta.

A conferma della volontà di emersione del rapporto tra l’artista e il padre subito dopo l’inaugurazione è stato letto un testo di  Luciana Grifi dal titolo "Dialogo immaginario di Luigi Pirandello con il figlio Fausto", che attinge per le fonti agli originali scambi epistolari intercorsi tra i due protagonisti.
Saranno inoltre esposti i suoi pensieri sull’arte, attraverso scritti teorici originali, inediti ed autografi presentati, per la prima volta, in occasione della mostra che sarà, corredata di un catalogo a cura di Vittorio Sgarbi.
Gli spazi del castello ospiteranno, inoltre, una mostra fotografica monotematica su "Pirandello e i luoghi del Caos" che metterà in risalto la maestria artistica di Angelo Pitrone.

Perpetuando il valore didascalico e pedagogico dell’arte in occasione dell'esposizione verrà proposto un progetto educativo rivolto agli istituti superiori di Salemi. Partendo dalle opere presenti in mostra, gli studenti avranno l'opportunità di approfondire il percorso artistico di Fausto Pirandello e, nei momenti di laboratorio previsti in classe, i dipinti dell'artista diventeranno il punto di partenza per riflettere su alcuni temi fondamentali dell'arte e della letteratura del Novecento.

FAUSTO PIRANDELLO. BIOGRAFIA - [Roma 1899-1975] Figlio del celebre drammaturgo, e premio Nobel, Luigi e di Maria Antonietta Portulano, Fausto Pirandello inizia a interessarsi alla pittura nell'ambiente familiare (anche il padre e il fratello Stefano sono pittori dilettanti).
Fausto intraprende gli studi classici , interrompendoli nel 1916 per la chiamata alle armi. Dopo il 1918, dietro suggerimento del padre, frequenta per un certo periodo lo studio dello scultore Sigismondo Lipinski. Nel 1920 frequenta la scuola libera del nudo. Le prime opere note sono alcuni disegni realizzati intorno al 1920 in uno stile vagamente secessionista e alcune incisioni datate 1921, anno in cui inizia a frequentare Felice Carena, che segue anche ad Anticoli. I primi dipinti datati sono del 1923.
Esordisce nel 1925 alla III Biennale romana. Nel 1926 espone per la prima volta alla Biennale di Venezia. Nel momento in cui Pirandello si trasferisce a Parigi (1927) il suo carattere pittorico è già ampiamente formato. Sono comunque importanti i contatti con il gruppo degli italiani di Parigi (Severini, Tozzi, de Chirico, Savinio, Campigli, Paresce, Magnelli, De Pisis) e la conoscenza diretta delle opere di Cèzanne e dei Cubisti. Nel 1929 tiene la sua prima personale alla Galerie Vildrac di Parigi.
Nei primi mesi del 1931, dopo una sosta a Berlino e una mostra a Vienna (Galleria Bakum) Pirandello è di nuovo a Roma. Notevole, nel 1931, la personale alla Galleria di Roma, che inaugura una intensa stagione espositiva. Negli anni seguenti partecipa alle Sindacali romane (1932, 1936, 1937) alla Biennale di Venezia, alle Quadriennali. Alla Quadriennale del 1935 ha una personale di 17 opere, che presenta in catalogo con uno scritto teorico.

Dalla metà degli anni Trenta inizia il periodo più maturo di Pirandello, segnato da una forte drammaticità esistenziale e da una serie memorabile di opere, caratterizzata da una forte componente materica e da una originalissima impaginazione delle scene, che riflette la sua esperienza della avanguardie europee e il suo amore per gli antichi. Le sue principali mostre in questi anni si tengono alla III Quadriennale (1939), nell'ambito del Premio Pittsburgh (1939). Tra la fine degli anni Trenta e i primi Quaranta, Pirandello, con la sua forte vena realista e espressionista è certamente tra le voci più ascoltate nel panorama della giovane pittura italiana. Notevole, in questo contesto, la sua partecipazione all’attività di "Corrente".
Nel 1938 tiene una personale di disegni alla "Galleria della Cometa", presentato da Corrado Alvaro; nel 1942 espone alla Galleria di Roma e presso la galleria di Ettore Gian Ferrari a Milano, iniziando un rapporto di collaborazione che durerà per tutta la vita. Altra mostra importante è quella alla "Galleria del Secolo" di Roma nel 1944.
Dopo il 1945 anche Pirandello vive la difficile fase di travaglio che coinvolge tutta la pittura italiana, tra "realismo" e "neocubismo". La sua pittura va in cerca di una nuova definizione in cui si avverte molto forte il riferimento a una sintassi "cubista" nelle tassellature del colore e nelle composizioni in cui il dato narrativo perde via via importanza. Tra le occasioni espositive del dopoguerra possiamo ricordare la vasta antologica all'Ente Premi Roma nel 1951, la personale del '55 alla Catherine Viviano Gallery di New York e la personale alla "Nuova Pesa" di Roma nel 1968.

Fausto sai com'è...
estratto da "Biografia del figlio cambiato" di Andrea Camilleri - Rizzoli Editore

Fausto sai com'è, scrive Luigi Pirandello in una sua lettera a Lietta. Già com'è Fausto? Fausto è un giovane di poche parole, tende a chiudersi in se stesso, ad avere una vita propria. Ha dovuto interrompere gli studi classici per la chiamata alle armi e per la malattia e quindi, dopo la guerra, vocato com'è alla pittura (cosa che riempie di gioia il padre), prende lezioni da Lipinsky. Poi si iscrive all'Accademia del Nudo. Dove segue l'insegnamento di Felice Carena.
Le prime tele "esponibili" risalgono proprio al 1923. Luigi gli ha affittato uno studiolo, gli paga le modelle che talvolta si alternano, due al giorno.
In una lettera dell'11 giugno 1922, Luigi così parla a Lietta di un dipinto di Fausto: "È un gran quadro con cinque figure: se sarà finito, come spero, sarà per Fausto una bella e forte affermazione, perché il quadro è bello e significa qualche cosa. Sono tre giovani nude presso uno specchio d'acqua, sorprese, turbate, atterrite dall'apparizione dello spettro della vecchiaja, che è semplicemente una vecchia anch'essa nuda, che fa come per scendere all'acqua e intanto sta tra loro come un pilastro incombente; dietro la vecchia c'è una bimbetta meravigliata: lo sfondo è d'alberi. Questo breve accenno ti basterà per immaginarti il quadro."
La sottolineatura al significa è di Pirandello. Letto dal punto di vista ottocentesco al quale Luigi è legato, il quadro significa effettivamente quello che egli racconta alla figlia, un aneddoto.
Ma in questa lettura narrativa della pittura c'è già il seme della divergenza futura tra Fausto e il padre. Pirandello non parla di colori, di materiali, di volumi, non coglie nemmeno lontanamente il senso della ricerca di Fausto, in quel periodo sotto l'influenza di Cézanne e dell'Espressionismo.

Fin dalle primissime prove pittoriche di Fausto, Luigi tenta d'imporgli un suo personalissimo modo di fare un quadro. Di Luigi non esistono prove o bozzetti, ma solamente quadri compiutamente terminati e non perché Pirandello abbia distrutto i tentativi precedenti.
Era capace di finire un quadro in due ore e quindi non capiva le esitazioni, i dubbi, i ripensamenti, le tele lasciate a metà dal figlio.
C'è, al riguardo, un episodio rivelatore che risale addirittura al luglio del 1919.
Mentre i Pirandello si trovavano in vacanza a Viareggio con gli amici Fratelli, Fausto volle fare il ritratto della signora Fratelli. La signora posò pazientemente per alcuni giorni e finalmente il ritratto venne terminato. Senonché Fausto ne era rimasto insoddisfatto e, con un colpo di spatola, lo sconciò. Luigi, che era presente, s'arrabbiò: «Ma come?! Hai scomodato per tanto tempo la signora per niente?».
Si fece dare da Fausto una tavoletta e dei colori e, in due ore, fece lui il ritratto. Lo mostrò in giro soddisfatto, senza tenere conto in alcun modo dell'umiliazione che infliggeva al figlio. Forse Luigi credeva di trovarsi in una di quelle "gare di pittura" che in passato aveva ingaggiato con l'amico Ugo Fleres.
Fausto, schivo, appartato, tormentato nella ricerca, capisce subito quale rischio comporti l'ingerenza del padre nella sua arte e se ne sottrae abilmente (Fausto sai com'è).

Alla fine del 1927 Fausto si reca a Parigi con Capogrossi. Vi rimarrà tré anni approfondendo l'osservazione di Picasso e Cézanne e frequentando il gruppo degli italiani che comprende, fra gli altri, Severini e de Chirico, Campigli e Savinio.
A Parigi, il 5 agosto 1928 gli nasce il figlio Pier Luigi. Annota in una sorta di diario: "... è nato il figlio: lui proprio, pare, di prepotenza... Piangevo a studio sul lieto evento perché la funzione importante di padre mi era nuova: che significasse, che importava, come andava inquadrata e risolta. E poiché la pittura non ci entrava, facevo di me un'immagine sprecata di sentimento, allo specchio".
Geloso della sua vita, non comunica niente a nessuno. Luigi apprende casualmente da un amico che suo figlio Fausto ha messo su casa e che c'è un bambino. Per tutta la vita Fausto sarà per lui un amatissimo estraneo. Che ha fatto perché il figlio sia tanto lontano da lui? È un'altra ripetizione, dolorosa, di quello che capitò tra lui e don Stefano, solo che qui non ci sono caratteri di scontro o di drammaticità. Fausto sai come,
E Maria Luisa Aguirre D'Amico scrive di Fausto: "Contrariare le sue scelte era impedirgli di lavorare. E la sua vita si identificava con il lavoro. Non voleva esseme distratto".
E il padre le sue scelte le contrariava, appena gli si presentava l'occasione.

Il 1° giugno 1928 così scrive Pirandello, da Pordenone, al figlio a Parigi: "È curioso come tu, che sai vedere ed esprimere così bene ciò che avviene in tè, non trovi poi la via per uscire da codeste opprimenti condizioni di spirito. Perché, quando ti metti a dipingere, guardi con gli occhi degli altri, tu che hai così buoni occhi per guardare in tè? Bisogna che tu ti liberi da ogni preoccupazione di modernità e finisca di dipingere come tutti oggi dipingono, cioè brutto. Ho visto a Venezia i Novecentisti: orrori, da un canto, e insulsissima accademia, dall'altro; e tutti uguali. È veramente una sconcia aberrazione, di cui non si vede la fine. Per ritornare ingenui scarabocchiano come ragazzini, per dimostrarsi saputi copiano freddamente e stupidamente. Nessuna sincerità. Sforzi inani.
Aborrimento d'ogni naturalezza, d'ogni spontaneo abbandono. E nessuno pensa che l'unico pittore moderno che sia riuscito a fare qualcosa, a esser lui, è stato lo Spadini per quest'unica e semplicissima ragione: che a un certo punto non volle sapere più nulla e s'abbandonò alla gioja di dipingere come vedeva e quel che vedeva.
Non c'è altra via, non c'è altra salute che questa. Se la tua sincerità è pensare in un tuo modo particolare che riesci a esprimere così singolarmente nelle tue lettere, ebbene dipingi questi tuoi pensieri, sarai sincero e ti esprimerai: esprimerai qualche cosa.
La sorveglianza critica uccide l'arte. La critica d'arte moderna è micidiale. L'avete tutti nel sangue. Bisogna liberarsene. Vederti così incerto, così malcontento è per me una grande afflizione...
"
In sostanza, Fausto comunicava al padre alcune fasi della sua ricerca pittorica, soffertamente autentica e non facile. A questo stato d'animo Pirandello si dichiara negato, tanto da chiamarlo semplicemente malcontento. E l'invito a seguire l'esempio di Spadini, a un giovane pittore che sta interrogandosi su Picasso, è ai limiti dell'offesa. Luigi invita il figlio a cedere a uno spontaneo abbandono: proprio l'opposto di quello che egli, come scrittore e drammaturgo, è solito fare. Una incomprensione totale, una incomprensione pari a quella di don Stefano nei suoi riguardi.
Lo stesso Fausto sottolinea, con molto garbo e ironia, quanto padre e figlio fossero diversi.
Racconta di un giorno che Luigi lo va a trovare in campagna, dove Fausto, la moglie e il piccolo abitavano in un "porcume di casalaccio ottuso e intasato di verde". Luigi si guarda attorno, non vede nessun quadro in lavorazione e domanda: «Che fai?». Per tutta risposta, Fausto l'invita a seguirlo attraverso un castagneto a scivolo, "e poi giù a rompicollo per il nocchieto sterposo di un verde austero e profondo, finché s'andava allo sconquasso tra il canneto e le fosse del ruscello". Finalmente arrivano, Luigi ha il fiato grosso. "Ma si era giunti, e sedemmo sui sassi tra lo sciacquio delle acque correnti e lingueggianti tra i ciottoli grandi, levigati e il frusciare di quella miriade di canne impannocchiate di foglie ricadenti e cuspidate come estensori. Gli mostrai in silenzio le famiglie dei ghiri in corsa sui rami praticabili di quei nocchi contorti e il loro sbertucciare e rincorrersi e rodere e sgranocchiare furtivo, e poi il volo dei merli tra canna e canna, che al primo richiamo si faceva domestico, e l'abbeverarsi della faina appuntita, scattante, e l'armeggiare dei rospi scosciati sulle foglie sommerse, a sgravarsi del loro catarroso richiamo, quasi un rimbrotto sgangherato, protervo. Mio padre guardava e mi guardava per rimettere il nesso tra me e quelle cose. Ma poi l'incanto di quell'ineffabile stato dovette penetrarlo. Era una condizione da limbo, un po' spaurita ma non aliena di perdersi in una svagatura da cui il ritomo fosse forse astniso o problematico.
Facile invece apprendersi al tanto verde tenero del canneto proclive, arrendevole per una antica metamorfosi. Ma già l'essere in due, guardandoci, ci riteneva al limite di una nostra ragione reciproca che ci faceva consapevoli. Ha detto piano riscuotendosi: 'La stupida natura' e annuiva. 'Quanto è stupida!' beandocisi. "Ce ne tornammo per mano aiutandoci, più tardi. Avrà pensato ch'ero un ozioso di buon sentimento e di pochi desideri."

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17 febbraio 2010
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