Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

FAVOREGGIAMENTO

Di Pietro e la trattativa Stato-mafia: "Se il governo non sarà parte civile, commetterà reato"

18 settembre 2012

Non c'è "alcuna preclusione" per il futuro - ma almeno in fase di udienza preliminare prevista per il 29 ottobre - il governo non si costituirà parte civile nel processo sulla trattativa Stato-mafia.
La risposta alla mozione presentata dall'Idv che premeva per un'accelerazione in tal senso, è arrivata ieri alla Camera, con le parole del sottosegretario ai Rapporti col parlamento Antonio Malaschini. "Allo stato il governo non può assumere l’impegno in esame nei termini in cui esso è stato articolato, perché esso - ha detto Malaschini - involge aspetti e scelte di natura prettamente tecnica che attengono ai presupposti sostanziali per la costituzione in giudizio, rispetto ai quali è preliminare la conoscenza piena degli atti, e da valutazioni strettamente processuali circa la decisione di attendere o meno l’esito dell’udienza preliminare. Per queste ragioni, pur non essendovi alcuna preclusione alla costituzione di parte civile da parte dello Stato, il governo - ha sottolineato - non può assumere oggi l’impegno richiesto. La costituzione di parte civile può esserci per l’udienza preliminare, ma anche successivamente".

La risposta ha scatenato la reazione stizzita di Antonio Di Pietro che avverte: nel caso di una mancata presa di posizione si potrebbe configurare "il reato di favoreggiamento personale". "Oggi il governo ha mostrato reticenza e ignoranza tecnica, nonché di volersi lavare pilatescamente le mani. Il governo dice di non conoscere le carte - ha sottolineato l’ex pm - Eppure c’è un processo in corso, ci sarà un’udienza preliminare: perché non è andato a prendersi le carte? Fai un click su internet!", ha detto provocatoriamente il leader dell’Italia dei Valori. Il fatto che l’esecutivo abbia deciso di non costituirsi, si traduce per il presidente dell’Idv in "incompetenza, incapacità, se non continuità con le persone chiamate a rispondere di quella vicenda".  Secondo Di Pietro facendo così l’esecutivo si mette "contro la giustizia, per favorire oggettivamente, per incapacità, insipienza e complicità, non quelli che rappresentano lo Stato in quel processo" ma "chi sta dall’altra parte", "chi non si vuole inimicare: questo si chiama favoreggiamento".

Intanto i magistrati palermitani gettano acqua sul fuoco. Il procuratore Francesco Messineo ha detto: "E' un fatto oggettivo, se non conoscono gli atti non possono procedere. Non abbiamo nulla da replicare al governo che ha il diritto di conoscere le carte". E a smorzare i toni ci prova anche il sostituto Francesco Del Bene, uno dei pm palermitani titolari dell'inchiesta: "Il governo non avendo in mano gli atti non può nemmeno analizzare la questione. C'è stata la sospensione per il periodo feriale, quindi, non trattandosi di un processo con detenuti, la notifica del gip alla parte offesa può essere fatta solo a partire da oggi. Non ci vedo nulla di strano. In effetti, finora potevano averne notizia solo attraverso i giornali".

Il nuovo capitolo della tormentata vicenda si consuma a tre giorni dalla riunione della Consulta, che mercoledì esaminerà il caso del conflitto tra poteri sollevato dal Quirinale nei confronti della procura di Palermo e mentre la commissione bicamerale Antimafia si appresta a completare il suo lavoro sulla stagione delle stragi e quella immediatamente successiva.

Intanto dal Partito democratico Laura Garavini evidenzia: "La mozione dell’Idv pone un problema che non c'è. Ci sono due aspetti politici: uno è quello che da parte dell'autore c'è la volontà di insinuare ad arte il dubbio che il governo non è interessato a trovare la verità. L'altro riguarda l'intenzione di spingere il Parlamento a dare un segnale. Noi lo abbiamo già dato. Un segnale forte e senza il sostegno dell'onorevole Di Pietro".
Dal Fli Aldo Di Biagio chiede invece "allo Stato di essere protagonista". "È un dovere nei confronti di coloro i quali hanno perso la vita per servire questo Paese e nei confronti degli italiani che verranno. Per questo imbrigliare questa mozione nelle rigide e sterili categorie di questo o quel partito o di questa o quella ideologia rischia di snaturare vistosamente la nostra missione principale, quella di consentire che il Paese faccia finalmente i conti con la sua storia".

Il 24 luglio scorso la Procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per dodici indagati: i mafiosi Salvatore Riina, Nino Cinà, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, gli alti ufficiali del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni e gli esponenti politici Calogero Mannino, Marcello Dell’Utri e Nicola Mancino. Per tutti l’accusa è di attentato a corpo politico dello Stato, tranne che per Mancino, accusato di falsa testimonianza dopo la sua audizione al processo Mori-Obinu del 24 febbraio scorso.
Cuore del processo la trattativa innescata tra rappresentanti istituzionali e Cosa nostra, che voleva la revoca del 41 bis (il carcere duro) per i detenuti. Revoca chiesta a suon di attentati del 1992 in cui rimasero uccisi, tra gli altri, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Stragi che, per la Procura di Palermo, lo Stato  voleva fermare scendendo a patto con i boss.

"Lo Stato non ha calato le braghe" - Le stragi "erano fatte per tentare un dialogo. E l'unico terreno sul quale potevano condizionare lo Stato era il regime penitenziario perché era un atto dell'esecutivo. Poi in realtà la risposta è stata ben differente come dimostrano gli arresti fatti dalla procura di Palermo", quindi quel tentativo "andò a vuoto".
Lo ha detto l'ex presidente della Camera Luciano Violante al Fatto Quotidiano che lo ha intervistato sulla 'trattativa Stato-mafia'.
"Lo dice lei che lo Stato ha calato le brache - ha aggiunto -. Se ci fosse stato un cedimento non ci sarebbero stati gli arresti. Bisogna vedere se c'erano i requisiti stabiliti dalla Corte costituzionale per tenerli all'isolamento. E poi non tutti i 334 decreti riguardavano boss importanti". "Io non so - ha proseguito Violante - se quelle 334 mancate conferme sono connesse a questa storia o no. Aspetto di leggere i documenti della magistratura di Palermo".
Violante è intervenuto anche sulle intercettazioni che vedono coinvolto il presidente Giorgio Napolitano: "Sono intercettazioni illegali e vanno distrutte ex 271 del codice penale". Illegali, spiega, perché "lo dice la Costituzione. Il presidente può essere sottoposto a intercettazione soltanto nei casi previsti".

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ign, Repubblica.it, Il Fatto Quotidiano, Lasiciliaweb.it]

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

18 settembre 2012
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia