Fiat verso dove?
La morte di Umberto Agnelli, la presidenza a Montezemolo, le dimissioni di Morchio. Le incognite di un futuro prossimo
A poche settimane dalla scomparsa di Umberto Agnelli e alla conseguente rivoluzione avvenuta ai vertici della Fiat, è lecito domandarsi quale possibile avvenire si prospetta per l'azienda che è stata rappresentante in Europa e nel Mondo dell'Italia.
Umberto Agnelli, che dopo la morte del fratello Giovanni era diventata figura di riferimento all'interno del gruppo Fiat, ha determinato un vera e propria rivoluzione ai vertici del Lingotto che hanno fatto sì affiorare più che un dubbio.
All’indomani delle cerimonie funebri, infatti i soci della cassaforte della famiglia Agnelli hanno subito provveduto a nominare presidente della casa automobilistica torinese Luca Cordero di Montezemolo. Nulla da contestare sulle indiscusse capacità personali di Montezemolo (già evidenziate in Ferrari ed in altri ambiti) ma l’assunzione di una simile carica a distanza di pochi giorni rispetto a quella della presidenza di Confindustria, autorizza pienamente a pensare che qualcosa fosse già nell’aria e sia stata taciuta.
Ci sarebbe inoltre da sottolineare che un gruppo, che sta faticosamente cercando di risollevarsi, come la Fiat, necessitava forse di un Presidente a tempo pieno, senza quelle distrazioni che la "collezione" di cariche impegnative inevitabilmente comporta ad un Megadirettoregalattico come Luca Cordero di Montezemolo.
Nella rivoluzione, anche l'affidamento della carica di Vicepresidente al giovane rampollo John Elkann e l'inserimento nel consiglio di amministrazione di Andrea Agnelli, il figlio di Umberto, fino ad ora sempre ai margini delle cronache.
L’effetto domino di queste nomine ha comportato a sua volta le inattese (chissà) dimissioni dell’Amministratore Delegato Giuseppe Morchio, evidentemente in disaccordo con le scelte della proprietà, prontamente sostituito con l’italo-canadese Sergio Marchionne dal C.d.A. dopo che si erano rincorse speculazioni sul possibile approdo al posto di comando del gruppo, di manager di diversa estrazione come Alessandro Profumo (amministratore delegato di UniCredito), Franco Bernabè (Presidente della Biennale di Venezia) e Vito Gamberale (amministratore delegato di Autostrade).
Il mercato, che in un primo momento aveva reagito negativamente all’allontanamento di Morchio - l’uomo che si era incaricato di portare avanti il piano del risanamento Fiat - , ha invertito poi la rotta allorché gli analisti si sono sentiti rassicurati dalla nomina di Marchionne, manager di comprovata capacità, già membro del C.d.A. del Lingotto ed al vertice da ormai un paio di anni della principale società di certificazione di qualità al mondo. Una reazione della Borsa fin troppo buona, all'ennesima sostituzione in breve tempo non solo del presidente, ma soprattutto dell'amministratore delegato. Fra i tanti possibili motivi, è noto che la Borsa si infiamma se percepisce una possibilità di mutamenti nel controllo societario.
Restano comunque da chiarire le cause della repentina rottura con Morchio, riconducibili secondo alcune fonti al rifiuto opposto dalla famiglia Agnelli alle richieste di maggiori poteri e di ingresso nell’azionariato avanzate dall’ex-timoniere.
Come resta da verificare l’adeguatezza al ruolo che i giovani della famiglia, John e Lapo Elkann, sono chiamati a svolgere nella gerarchia del gruppo, sia in termini di contributo alla guida operativa che alla determinazione delle strategie dello stesso, visto che, per fare un esempio su tutti, la diatriba sull’opzione put con gli americani di General Motors (la cessione del 20% di Fiat Auto a General Motors, con l'opzione di vendita del restante 80%) è ancora bel lontana da una soluzione. Soluzione che potrebbe addirittura portare ad un clamoroso disimpegno della famiglia dal settore dell’auto.
In effetti, la Fiat ha un problema industriale, con ovvie ricadute finanziarie, ma ha anche un problema di stabilità del gruppo di controllo.
È risaputo che la famiglia Agnelli è particolarmente numerosa e che in gran parte vive del controllo della Fiat. Di qui la necessità di un flusso costante di dividendi e la scarsa disponibilità ad apportare nuovi capitali alla società. Di qui anche la strategia, portata avanti anni fa proprio da Umberto, di diversificare gli investimenti, soprattutto nel settore alimentare, con una qualche disaffezione per il settore auto, ormai maturo e attualmente fonte di preoccupazione in tutto il mondo, da Volkswagen a Ford, a DaimlerChrysler.
In ultima analisi
Eduardo Spano, Professore di Diritto commerciale nell'Università di Parma
Era pensiero comune che la morte di Gianni avrebbe significato per la famiglia Agnelli il definitivo abbandono dell'auto. Invece, anche a causa del cattivo andamento di altri settori (come Club Med), il fratelloUmberto ha ricondotto la famiglia nell'auto, con il sacrificio di altre partecipazioni interessanti (come Toro Assicurazioni), inducendola, nonostante i contrasti, a un aumento di capitale di importo non del tutto trascurabile.
La sua prematura scomparsa apre anzitempo un problema di leadership e soprattutto un problema di tenuta dell'intera famiglia, rilevante per la comunità nazionale. Infatti, le prospettive piuttosto lontane del ritorno del dividendo potrebbero indurre qualche membro a voler ridurre la propria quota di capitale, che, per le stesse ragioni, gli altri membri non sarebbero in grado di rilevare. Il problema si sposterebbe quindi sulle banche, già fortemente impegnate con la Fiat, anche perché fra due settimane è in scadenza una clausola del maxifinanziamento delle quattro maggiori banche (Unicredit, Capitalia, Banca Intesa e San Paolo IMI), in base al quale le banche potrebbero convertire due miliardi di euro in capitale azionario a un valore di quasi il 75% maggiore dell'attuale prezzo di Borsa. Tutti davano per certo che non si sarebbero avvalse della facoltà di convertire, ma ora? Convertendo le banche diverrebbero socie di Fiat per circa il 20 %, assumendone di fatto il controllo congiunto. Purtroppo per tutti, le quattro maggiori banche si stanno progressivamente ingessando con partecipazioni industriali, da Lucchini all'ineluttabile Nuova Parmalat.
Se non si vuole mettere a repentaglio la liquidità del sistema, anche in conseguenza delle regole internazionali note come Basilea 2, in sintesi le soluzioni sono soltanto due: la creazione, come in analoga situazione nel 1931, di un nuovo I.R.I., impraticabile nell'attuale contesto sia di scarsità di risorse statali, sia di regole comunitarie, oppure la cessione delle partecipazioni industriali delle banche, certo non facile, tanto più nel caso Fiat, in cui la General Motors ha apertamente dichiarato da tempo di non essere disponibile a dare esecuzione all'impegno assunto di acquistare, a richiesta, l'80% di Fiat Auto.
Il controllo temporaneo di Fiat da parte delle maggiori banche in attesa della cessione a non ipotizzabili terzi rischia di avere pesanti ricadute di incertezza sulle società industriali, proprio nel momento in cui l'opera di risanamento, industriale e finanziario, efficacemente avviata, è ben lungi dall'essere completata; in sintesi Fiat perde di meno, ma perde tuttora. Infatti un controllo paritario da parte di quattro banche difficilmente può dar luogo a strategie chiare, definite e di largo respiro industriale. Il rischio quindi è che la morte di Umberto Agnelli abbia effetti destabilizzanti sul maggior gruppo manifatturiero italiano e, ancora peggio, sui massimi esponenti del nostro sistema bancario, che, nonostante i brillanti risultati recentemente annunciati, non è certo privo di problemi.
(stralcio da un articolo della Gazzetta di Parma del 22 giugno 2004)