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Finalmente le Nazioni Unite potranno muoversi per far fronte alla tragica situazione nel Darfur

02 agosto 2007

Finalmente le Nazioni Unite si muoveranno per far fronte alla tragica situazione sudanese del Darfur. Ieri notte infatti il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato la risoluzione che autorizza l'invio di 26.000 caschi blu a sostegno dei 7.000 soldati dell'Unione africana già presenti nella regione occidentale del Sudan.
Il conflitto in corso dal 2003 ha causato fino a oggi oltre 200 mila morti e due milioni e mezzo di sfollati. La risoluzione prevede l'uso della forza per autodifesa, per assicurare libertà di movimento ai cooperanti di organizzazioni umanitarie e per proteggere i civili dagli attacchi.
L'Unamid, questo il nome della cosidetta operazione 'ibrida' gestita da Onu e Unione africana, sarà la forza di peace-keeping più grande e costosa mai deliberata in sede Onu, con un costo complessivo solo per il primo anno di 2 miliardi di dollari.

La risoluzione è stata presentata inizialmente dalla Francia e dalla Gran Bretagna, Paesi ai quali si è poi unita l'Italia, membro non permanente del Consiglio di Sicurezza per il biennio 2007-2008.
E' stata in particolare Parigi ad assumere un ruolo di primo piano nel promuovere la causa del Darfur all'attenzione della comunità internazionale: in giugno, non a caso, ha ospitato la prima conferenza internazionale sul Darfur, e il premier Nicolas Sarkozy ha annunciato che visiterà presto la regione. Ma soprattutto, la Francia è pronta a inviare i propri militari in Darfur.
Il contingente Onu-Ua sarà formato da 19.555 militari, 360 osservatori, 6.432 agenti di polizia divisi in 19 unità. E' prevista inoltre una componente civile di 3.722 uomini e donne.
Pakistan e Cina forniranno personale non militare, come medici ed ingegneri. Per ottenere il consenso dei più riluttanti - come la Cina, presidente di turno, e il Qatar, l'unico Paese arabo - nel documento sono stati cancellati i riferimenti alle milizie dei Janjaweed, appoggiate dal governo di Khartum, e si è scritto che saranno prese le ''necessarie misure'' per proteggere i membri della missione militare e i civili che forniscono aiuto umanitario ai profughi ''sotto minaccia senza pregiudizio verso le responsabilità governative''

Proprio la Cina, che con il Sudan ha forti interessi economici (leggi petrolio) e che in precedenza aveva mosso alcuni ''dubbi'' sulle precedenti bozze, ha sdoganato il testo presentato al Palazzo di vetro, e per bocca del suo ambasciatore, Wang Guangya, ha sottolineato come sia necessario ''essere precisi e attenti su come applicarla''.
Nel documento sono scomparsi anche i riferimenti al sequestro e alla distruzione delle armi non legalmente detenute; compito della forza ibrida sarà semplicemente quello di monitorarne l'uso.
La risoluzione chiede inoltre al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, di riferire ogni trenta giorni al Consiglio di sicurezza sullo svolgimento della missione.
L'ambasciatore americano a New York, Zalmay Khalilizad, ha però messo in guardia il Sudan, dichiarando che se Khartoum non rispetterà il testo della risoluzione, potrebbero essere prese misure ''unilaterali e multilaterali''. Il riferimento è alle sanzioni, che Russia e Cina hanno sempre rifiutato, ma che il presidente Usa George W. Bush ha sempre visto come soluzione contro l'indisponibilità del paese subsahariuano.

Intanto nel Darfur l'orrore sembra non potere avere mai una fine - Tutto il mondo lo sa, tutto il mondo lancia denunce. Si è parlato di genocidio, di catastrofe umanitaria e, ancora, pochissimi giorni fa di ''pulizia etnica nella totale impunità''. L'insurrezione popolare di questa popolazione - circa 6 milioni, in maggioranza musulmana e in parte animista - è iniziata nel febbraio del 2003. Protestavano per lo stato di totale abbandono e sfruttamento in cui erano tenuti dal governo centrale, musulmano, ma integralista e, soprattutto, di etnia araba e bianca: per loro i neri sono di fatto schiavi.
La repressione è stata a dir poco spietata, soprattutto col ricorso ai Janjaweed, letteralmente ''diavoli a cavallo''. Si tratta di milizie nomadi musulmane di etnia araba che hanno compiuto tutti gli orrori possibili contro gli indigeni: esecuzioni e stupri di massa, villaggi rasi al suolo, il terrore come pratica generalizzata e a sfondo razziale. Khartum bombarda senza sosta i civili, e rende sempre più difficili le operazioni delle organizzazioni umanitarie. Un disastro con pochi precedenti nella storia contemporanea.

Amnesty International sul Darfur - Amnesty International ha espresso apprezzamento per il voto unanime con cui, la scorsa notte, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha deciso di inviare una nuova forza congiunta Onu-Unione africana (Ua) in Darfur. L'organizzazione per i diritti umani ha però precisato che questa forza dovrebbe partire immediatamente, essere dotata delle massime risorse ed essere pienamente accettata dal governo sudanese. ''Il conflitto in Darfur ha mietuto centinaia di migliaia di vittime e ha costretto più di due milioni di persone a lasciare la regione. La popolazione del Darfur vive una profonda crisi umanitaria e dei diritti umani e non può attendere ulteriormente. Dev'essere protetta immediatamente ed efficacemente, il che significa conferire alla forza Onu-Ua il pieno mandato di impedire ulteriori violenze'', ha dichiarato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International.
L'adozione della Risoluzione 1768 costituisce un segnale di speranza, attesa da lungo tempo da milioni di persone in Darfur. Ma ora, ammonisce Amnesty International, è necessario che gli Stati membri dell'Onu mettano a disposizione le risorse necessarie per inviare rapidamente una forza con un mandato chiaramente orientato al rispetto dei diritti umani. La forza Onu-Ua, sottolinea Amnesty International dovrà indagare e riferire sulle violazioni dei diritti umani, compresi tutti i casi di stupro, e denunciarle pubblicamente.

In una regione in cui le armi abbondano, l'Onu dovrà garantire che la forza congiunta supervisioni il disarmo e la smobilitazione dei janjawid, le milizie sostenute dal governo sudanese. La risoluzione approvata ieri consente alla forza congiunta Onu-Ua solo di controllare ''se armi o altro materiale d'armamento siano presenti in Darfur'' e, in questa parte, il suo mandato dev'essere assolutamente rafforzato. A tale proposito, Amnesty International sollecita il Consiglio di sicurezza ad assicurare che l'embargo sulle armi sia applicato efficacemente.
''Tenuto conto del suo precedente ostruzionismo, ora il governo sudanese deve favorire il rapido ingresso della forza congiunta. Alla popolazione del Darfur sono state offerte troppe parole e troppe risoluzioni. Ora è il momento di agire concretamente'', ha affermato Irene Khan. [Amnesty International Italia]

- Con gli sfollati del Darfur, tra fame e malattie (Corriere.it)

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02 agosto 2007
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