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Follia e orrore nel Canale di Sicilia

Arrestati 5 extracomunitari che all'inizio d'agosto, su di un barcone in avaria, buttarano in mare decine di persone per ingraziarsi gli spiriti buoni

01 dicembre 2011

Hanno raccontato ai magistrati di Agrigento quello che hanno visto e vissuto durante la traversata dalla Libia a Lampedusa, su uno dei tanti barconi di disperati; hanno fornito loro i dettagli che hanno consentito alla polizia di arrestare ieri cinque extracomunitari, due nigeriani e tre ghanesi, accusati di aver gettato in mare un numero imprecisato di persone per una ragione che fa venire i brividi: quegli omicidi erano riti propiziatori, sacrifici umani offerti alle divinità in cambio di un approdo sicuro.
L'inchiesta aperta dalla procura delle città dei Templi riguarda un episodio avvenuto lo scorso 4 agosto, quando i superstiti di un barcone con il motore in avaria soccorso nel Canale di Sicilia, giunti a Lampedusa raccontarono di decine e decine di morti. Alcuni non ce l'avevano fatta - dissero - per la fame e per la sete; ma altri furono buttati vivi in acqua da compagni di viaggio.

Uno dei testimoni ha descritto così l'orrore: alcuni uomini erano convinti che l'avaria si era verificata per gli influssi negativi di qualcuno che si trovava a bordo. Il primo a essere preso di mira fu un ghanese, legato e rinchiuso nella stiva. Qualche ora dopo fu fatto uscire e buttato in mare, vivo. Poi è toccato a un ragazzo nigeriano, che ha pagato con la vita la "colpa" di aver steso dei panni mentre canticchiava. I testimoni parlano di tre o quattro persone al giorno buttate giù dalla barca, in un viaggio che ne è durato cinque; e raccontano che uno degli scafisti, dopo aver assistito a questo orrore, decise di buttarsi in acqua con un giubbotto salvagente.
Un altro testimone, Mohamed Yacoub Ibrahim, ha raccontato: "Ho visto delle donne di carnagione scura, credo nigeriana, fare movimenti di riti magici al termine dei quali indicavano una delle persone presenti... e uno di loro ha afferrato il primo uomo indicato dalle donne, aiutato dagli altri del gruppo. L’hanno legato mani e piedi e lo hanno buttato in mare ancora vivo". E ancora Amadou Diarra, vivo per miracolo: "Una ragazza del gruppo di preghiera mi ha indicato come uno dei responsabili del guasto del motore, e quindi dovevo essere buttato in mare. È intervenuto a mia difesa un mio amico, Moussa Tourre, che mi ha salvato parlando con loro. Ma ho visto buttare sei persone vive in mare da quegli stessi fanatici...".

Il barcone con 380 persone a bordo era stato avvistato il 2 agosto al largo delle coste libiche da un rimorchiatore cipriota, ma Tripoli - competente in quell'area e avvertita insieme a Tunisi e La Valletta - non intervenne. Nel pomeriggio del 3 agosto scattò il soccorso da Lampedusa che si concluse la mattina successiva. Scoppiarono polemiche sui ritardi nei soccorsi e si parlò anche di una nave militare - il nostro Paese escluse che si trattasse di un'unità italiana - a cui sarebbe stato sollecitato, inutilmente, un intervento.
Quando la barca attraccò finalmente alla banchina dell'isola, i soccorritori trovarono un cadavere a bordo. Sul momento le forze dell'ordine arrestarono il timoniere. Ma l'indagine andò avanti e ieri la squadra mobile di Agrigento, in collaborazione con i colleghi di Cosenza, Enna e Salerno, ha bloccato i nigeriani Ohalete Emeka e Ounchukwu Duglass, di 38 e 35 anni, e i ghanesi Igala Faisal, 37 anni, Mohamed Adama, di 28 anni e Ahmokugo Kujo, 44 anni. Tutti sono accusati di omicidio plurimo doloso, pluriaggravato dai motivi abietti e futili. Le indagini, sono state coordinate dal procuratore Renato Di Natale, dall'aggiunto Ignazio Fonzo e dal pm Andrea Bianchi.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Ansa, Lasiciliaweb.it, Corriere.it]

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01 dicembre 2011
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