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Fuori da Confindustria Sicilia

Hanno pagato, pagano e stanno in silenzio. Dieci imprenditori allontanati da Confindustria

07 dicembre 2007

Confindustria Sicilia era stata chiara, anzi chiarissima: “Gli imprenditori che non si ribelleranno al racket delle estorsioni, pagheranno il pizzo o in qualunque forma 'collaboreranno' con la mafia saranno espulsi da Confindustria”.
Una "norma" di una chiarezza e di una brevità disarmante. Una norma diretta e risolutoria: “stare o non stare con Confindustria”. Qualcosa che mancava nel modo di "intendere e volere" dei siciliani, una modalità decisionista che non ammette giri e ghirigori possibilistici né discussioni “per mettere in qualche modo a posto le cose”. Qualcosa di assolutamente essenziale per la Sicilia.
Solo parole, minacce lanciate così, che non avrebbero avuto una prosecuzione? Tutt'altro. Quelli di Confindustria hanno deciso veramente di lottare contro l'assurda prepotenza mafiosa e coscienti di dover correre pericoli, e di dover essere coraggiosi ed eroici per forza, a tutti i costi, continuano la loro offensiva.
Sono una decina gli imprenditori siciliani che sono stati allontanati da Confindustria perché non hanno denunciato le richieste di pagamento del pizzo. Nessuna espulsione, per ora, solo l'invito a quegli imprenditori  che hanno deciso di non condividere la linea antiracket dell'associazione degli industriali siciliani, a dimettersi per ''evidente incompatibilità''. Niente nomi, solo il numero di chi quanti hanno fatto orecchie da mercante: "Nelle ultime settimane una decina di aziende hanno lasciato l'associazione... Non vogliamo fare liste di proscrizione, né liste di buoni e di cattivi". Si è limitato a dire così il vicepresidente di Confindustria con delega al Mezzogiorno, Ettore Artioli, durante l'assemblea straordinaria sui temi della legalità e della lotta al racket che si è svolta nella sede degli industriali a Palermo.

“Sapevamo che alcuni imprenditori non si sarebbero ritrovati nella strada che abbiamo intrapreso, che è certamente una strada di non ritorno. Vogliamo sottolineare che è finita l'epoca in cui nel sistema economico una sorta di sudditanza alla criminalità organizzata 'ci stava'”.
Il vicepresidente Artioli ha parlato davanti a molti imprenditori che hanno subito intimidazioni o attentati e non si sono piegati al racket. C'è anche Pina Maisano, la vedova di Libero Grassi, l'imprenditore simbolo della lotta al ''pizzo'' che per questa perse la vita. “Oggi c'è una nuova associazione di industriali che porta avanti nuove strategie, e che può riscattare gli imprenditori dall'ignavia che ha caratterizzato gli anni passati, in cui tanti associati sono stati uccisi dalla criminalità”. Artioli ha così ripercorso gli eventi drammatici che hanno portato alla scelta di espellere da Confindustria Sicilia gli associati che pagano il “pizzo” pochi giorni dopo l'ennesimo attentato che distrusse l'impresa di Rodolfo Guajana. “In quel periodo si susseguivano attentati intimidatori senza interruzione - ha ricordato Artioli -, quindi dovevamo decidere come intervenire per cambiare il clima. Così siamo arrivati alla scelta di allontanare dall'associazione coloro che si sottopongono al pagamento del pizzo. Era una scelta complessa e difficile da assumere, ma trovammo l'assoluta disponibilità di Luca Cordero di Montezemolo che in quei giorni ci diede il pieno supporto dicendoci di andare avanti. Non avevamo idea delle conseguenze e delle reazioni dei colleghi imprenditori. Invece, è stata una scelta attesa e condivisa. Era necessario alzare i toni sui temi della criminalità organizzata. E' il momento di allontanarsi dalle complicità e delle strizzatine d'occhio”.
 “E' in linea con quanto previsto dal codice etico di Confindustria. Dimostra che non si tratta di sole parole, ma di fatti”, ha commentato il presidente Luca Cordero di Montezemolo.

All'incontro, oltre ai tanti imprenditori e i vertici della categoria, c'erano anche  i vertici delle forze dell'ordine. Giuseppe Caruso, questore di Palermo, dopo aver ascoltato gli interventi di Artioli e del presidente di Confindustria Palermo, Nino Salerno che sottolineavano la valenza del nuovo corso degli industriali siciliani, ha bruscamente stroncato ogni trionfalismo obiettando: “Scusate, ma di che parliamo? Fino a questa mattina abbiamo fatto il punto in Procura e ancora nessuno di voi si è presentato a denunciare. Capisco che non possono essere tutti Libero Grassi, ma neanche don Abbondio”. Un affondo, condiviso poi dai comandanti provinciali di carabinieri e Guardia di finanza Teo Luzi e Francesco Carofiglio, che ha glaciato la platea e al quale ha provato a rispondere Ivan Lo Bello, presidente regionale dell'associazione degli industriali siciliani, che ha posto le basi di questa nuova Confindustria: “Non facciamo una bella figura sapendo che molti nostri colleghi sono nel libro 'mastro' dei Lo Piccolo ma non denunciano. Da questa assemblea devono scaturire oggi provvedimenti concreti”. “Dobbiamo dare un senso a quello che stanno facendo le forze dell'ordine - ha aggiunto Lo Bello -, qualcuno decida di fare un passo avanti, non da eroe ma da cittadino che oggi può fare qualcosa che fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile fare [...] Chi figura nei pizzini dei boss Lo Piccolo e non denuncia le richieste di estorsione non potrà rimanere nell'associazione degli industriali. Palermo sarà una cartina di tornasole, perché quando verranno resi noti i nomi si avrà un quadro chiaro della situazione e dei rapporti tra estorsori e vittime”. “Ho sempre compreso gli imprenditori vessati dal racket - ha aggiunto Lo Bello - che venivano minacciati, ma questo vale per il passato, oggi lo Stato c'è e sta svolgendo un'azione di repressione incredibile. Non c'è più l'alibi dell'assenza dello Stato”.

Purtroppo Palermo si conferma lo zoccolo duro della ''resistenza'' alla svolta. Altrove in Sicilia, da Siracusa ad Agrigento a Catania, le denunce hanno portato a decine di arresti, ma a Palermo... “Sapevamo che qui tutto è più difficile - ha detto ancora Lo Bello - E' insostenibile che dove ci sono stati i maggiori successi delle forze dell'ordine si registri il minor numero di denunce. Non vorremmo passare alla storia come quelli che hanno sprecato un'occasione irripetibile”. Anche Ettore Artioli ha ammesso le difficoltà: “Diciamolo, oggi temevamo persino che sarebbe stato difficile riempire questa sala e invece siamo in tanti”.

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07 dicembre 2007
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