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Gabrielle

Da un racconto di Joseph Conrad, la storia di Gabrielle e Jean, sposati da dieci anni e che...

09 settembre 2005


 



Noi vi segnaliamo...
GABRIELLE
di Patrice Chéreau

All'inizio del Novecento, Gabrielle e Jean, sposati da dieci anni, vivono in una casa dove ogni sera si radunano molti ospiti per chiacchierare, ascoltare, ridere e invidiare gli ottimi padroni di casa il cui mondo sembra essere perfetto. Lui è uno scrittore e ama vivere in un universo che tiene costantemente sotto controllo, con regole e orari stabiliti in precedenza. Un giorno però, al suo ritorno a casa, non vi trova più Gabrielle. Sul tavolo campeggia una lettera in cui lei gli comunica la sua fuga con l'editore di lui. Improvvisamente Jean prende coscienza del fatto che, in dieci anni di matrimonio, tra loro non c'è mai stato realmente amore.
Tratto da ''Il ritorno'' di Joseph Conrad, un racconto scritto nel 1897 e definito dal suo editore italiano Ugo Mursia ''uno dei più trascurati e insieme maltrattati dalla critica''. Conrad stesso sconfessò queste 42 pagine considerandole ''scritte con la mano sinistra'' sotto l'influenza di Meredith, James e Flaubert.


Distribuzione Mikado
Durata 90'
Regia Patrice Chéreau
Con Isabelle Huppert, Pascal Greggory, Thierry Hancisse, Raina Kabaivanska
Genere Drammatico


La critica
"Isabelle Huppert e Pascal Greggory sono interpreti di straordinaria bravura di 'Gabrielle' di Patrice Chéreau: un lungo dialogo tra l'uomo e la donna, ma soprattutto tra l'algida razionalità della vita dominata dalle regole borghesi e l'emotivo desiderio di passione proiettato verso il futuro. Il regista sa estrarre il pensiero e il dolore dalle facce dei suoi attori molto intensamente, nel film da camera presentato in concorso: in questo caso, anche le spalle irrigidite, l'energia dei gesti, l'impassibilità e la compostezza autorevole di Isabelle Huppert, a volte noiose e prepotenti, sono perfettamente adeguate."
Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'

"'Gabrielle' è duetto da camera, anzi guerra civile, anzi parodia della coppia etero e dei suoi giochetti sado-sado, tra Isabelle Huppert e Pascal Greggory, tra la donna, maestra in emozioni ribollenti, che intuisce e istruisce una direzione di fuga per ritrovare il corpo, e ciò le basta, e l'uomo borghese eterosessuale, dunque incapace di passioni, moderate o estreme, almeno fuori dalla Borsa, ma ottimo edificatore di tombe per (con)viventi. Film girato in fretta ma con messa a fuoco lenta, stilizzato, tra passaggi dal bianco e nero al colore, fermo immagini, rallenti, intermezzi scritti e capitoletti, ci assicura il regista, più si immerge in ciò che è teatrale, meno 'fa teatro', come tendesse all'avventura di mare, dopo tanta noia di navigazione, o all'irruzione dell'onda suprema per surfisti spazientiti."
Roberto Silvestri, 'Il Manifesto'

"Con 'Gabrielle', come con 'Intimacy', Patrice Chéreau mette sul tavolo anatomico la coppia intesa come prodotto storico, interfaccia fra l'individuo e la società. Come tutte le dissezioni, non è uno spettacolo gradevole. Ma è appassionante e istruttivo perché da regista anfibio (cinema e teatro), Chéreau estrae verità da ogni possibile convenzione: scene, luci, arredi, costumi, e spazi, gesti, ritmi. Per non parlare dei dialoghi, iperletterari e insieme miracolosamente fluidi, ma anche sparati a caratteri cubitali sullo schermo nei momenti di maggior tensione. (...) Non ci fosse dietro un racconto di Conrad, ampliato e riscritto dal punto di vista di lei, si direbbe un capitolo di Proust sceneggiato da Strindberg e girato à la Bergman. Mai visto ricreare quell'epoca al cinema con maggior cura. Chéreau ci mette un gusto per la dilatazione del tempo e delle emozioni che può sembrare enfasi, mentre è sospensione, ingrandimento, analisi. Come se frugandoli al microscopio volesse scomporre fino in fondo quei borghesi che 'hanno dimenticato di avere un corpo'. E ricordandosene tutt'a un tratto ritrovano anche, lei per la prima volta, la parola."
Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero'

"'Gabrielle' è un film sbagliato, ma tutt'altro che inutile. E' tanto privo di vita che in futuro lo si immagina facilmente offerto all'attenzione degli studenti al centro di un teatro anatomico. Sarà un'occasione per approfondire in corpore vili i rapporti fra cinema e letteratura perché Patrice Chéreau ha sceneggiato con Anne-Luise Trividic 'Il ritorno' di Joseph Conrad. (...) Il fatto che 'Gabrielle' diventi addirittura il titolo del film, dove il testo dell'addio appare integrale sul grande schermo, la dice lunga sugli intendimenti degli adattatori. Che hanno preteso di migliorare Conrad inventando di sana pianta la figura femminile, facendola esporre in lungo e in largo le sue ragioni anche in un dialogo che si può davvero definire di servizio con la cameriera. Trasferita da Londra a Parigi, ma questo non avrebbe importanza, la vicenda ci mostra i coniugi nel pieno della loro vita mondana in una residenza che sembra un museo, del tutto sproporzionata alla descrizione del libro, con intorno un affollato balletto di servitù da far impallidire Luchino Visconti. Arpeggiando fra bianco e nero e colore, Chéreau dilata il confronto fra i coniugi sull'arco di tre giornate, facendolo culminare in un incomprensibile congresso carnale male proposto e peggio accolto. In un simile contesto anche gli interpreti, Isabelle Huppert e Pascal Greggory, non ne escono bene."
Tullio Kezich, 'Corriere della Sera'

In Concorso alla 62ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2005)

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09 settembre 2005
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