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Garibaldi fu ferito... ancora

Il sindaco di Capo D'Orlando prende a picconate la targa della piazza intitolata all'eroe dei due mondi

01 agosto 2008

Il sindaco di Capo d'Orlando, ridente cittadina sul mare in provincia di Messina, vuole riscrivere la storia partendo dalle piazze. Ma andiamo a raccontare qunto accauto l'altro ieri...
Enzo Sindoni, sindaco di Capo d'Orlando, ha preso a picconate la targa di piazza Giuseppe Garibaldi, maledicendo l'eroe risorgimentale come "un feroce assassino al servizio di massoneria e servizi inglesi". Presa a martellate la vecchia targa in memoria dell'eroe in camicia rossa, Sindoni ha rinominato la piazza 'IV Luglio'
"Riferimento ermetico - ha scritto il 'Corriere' - a un evento dimenticato, una battaglia navale del 1299 con seimila morti. Sgusciato da varie peripezie giudiziarie, Sindoni, eletto con lista civica, assessori di diverse estrazioni, si infuria con chi lo accusa di iniziative folkloristiche e non teme le reazioni dei comitati pro-Garibaldi appena nati, fiero di incoraggiamenti autorevoli che arrivano persino dalla Regione", direttamente dal presidente Raffaele Lombardo.

Da Palermo, l'esimio studioso della Storia Patria Francesco Renda ha invitato tutti "a studiare la storia, anche a rivederla, a riscriverla, non a frantumare targhe" e ha proposto al governatore Lombardo di evitare "manifestazioni inutilmente offensive". "Capisco che le sue origini - ha puntualizzato il Prof. Renda - non stanno nel Risorgimento, ma nel separatismo. Bene, studiamolo, ristudiamolo. Improvvisando - chiosa lo storico - c'è solo presunzione e ignoranza".
Ma forse a Capo d'Orlando preferiscono agganciarsi a un altro professore di Storia moderna all'università di Messina, Daniele Tranchida: "Studiamo da tanti anni e infatti ormai sappiamo che fu strumento almeno inconsapevole di disegni antimeridionali".
"La piazza della cittadina in provincia di Messina è stata strappata a Garibaldi e ridotta a un numero, il 4 luglio - ha scritto ancora il 'Corriere' - che però, per ironia del destino coincide con la sua data di nascita".

"Il sindaco di Capo d'Orlando, con la coraggiosa decisione di scalpellare la targa di piazza Garibaldi, ha dato un primo importante segnale: la Sicilia vuole di liberarsi dai simboli di un centralismo che le ha recato solo danni". Il commento è del leghista Mario Borghezio. "Mi domando a questo punto - ha aggiunto - se non sia ora anche al Nord di picconare le targhe di Piazze, Corsi e Vie dedicate ad un personaggio storico assai discutibile che, come la nota frase dell'Inno di Mameli, ci ricorda che da 150 anni siamo 'schiavi di Roma ladrona'". Borghezio ha concluso il suo commento: "Buon lavoro, patrioti padani"

La contesa sull'Unità d'Italia, accesa dal sindaco di Capo d'Orlando, è stata poi alimentata dal botta e risposta tra il critico d'arte e sindaco di Salemi (cittadina garibaldina per eccelleza) Vittorio Sgarbi, e il governatore siciliano autonomista Raffaele Lombardo. "Ben fatto a Capo d'Orlando - ha detto al il presidente della Regione Siciliana a proposito del gesto di Sindoni - adesso bisogna cancellare Cavour il piemontese, qualche siciliano come Crispi che fece sparare sul suo popolo e Nino Bixio, il carnefice di Bronte. A settembre abbatteremo i simboli di un'impostura chiamata Unità d'Italia". Lombardo ha poi additato Sgarbi, intenzionato a festeggiare in grande a Salemi i 150 anni dallo sbarco dei Mille: "Vada a trasformare qualche città delle Marche o del Piemonte nella capitale di Garibaldi".
Per il sindaco di Salemi "il governatore è una brutta copia di Bossi, perché non ha l'estro del leader del Carroccio. Mi chiedo perché lui si è candidato a governare una Regione quando nega un fatto storico, ossia l'Unità d'Italia. Che si dimetta. Il suo è un atto inqualificabile. Il presidente della Regione ha giurato fedeltà alla Repubblica italiana per cui le sue dichiarazioni a sostegno di un sindaco che ha oltraggiato una targa avvallano un reato".

Dopo tutto questo bailamme, ci sembra doveroso far parlare il diretto interessato, Giuseppe Garibaldi, di cui proponiamo una lettera pubblicata dal sito SiciliaInformazioni.com

Dopo le picconate alla sua targa, Giuseppe Garibaldi rompe il silenzio e invia una lettera di fuoco al sindaco di Capo d'Orlando.
"I miei picciotti siciliani si fecero ammazzare per l'Italia"
 
Caro Sindaco,
approfittai dell'amico Gavino Sanna, che ogni domenica mi fa visita da quando aveva l'età di anni dieci. Da settanta anni, ogni domenica. Gavino mi parla e io non risposi mai, fino a che, nella mattinata dell'ultima domenica mi raccontò che voi avete distrutto a picconate la targa della piazza che porta il mio nome a Capo d'Orlando.
Gavino si dispera e si danna l'anima. Che ci faceste di male, Generale? M'addomanda. E giù un rosario di male parole contro quelli che comandano e non sanno niente della mia storia.
Gavino l'ha letta per la prima volta che aveva otto anni e faceva le elementari, e da allora l'ha riletta almeno cento volte, due all'anno. E' persuaso che sa tutto di me, ma non è così. perché la storia dei libri non c'entra niente con la vita. Non ci fa niente, è come se sapesse tutto.

Se è una colpa che feci l'Italia, allora ha ragione Vossignoria, Sindaco. Ma non ci ammiscate altro per farmi pagare che feci l'Italia.
Non avrei mai pensato a scrivervi, figuriamoci. Non ho mai dato conto a nessuno. Mille volte mi chiamarono nelle sedute spiritiche, mai diedi conto ad alcuno. Il Principe Antonio De Curtis, con il quale mi frequento, non fa che dirmi: Generale, noi simmo seri, appartenimmo a morte.
Ma Gavino si disperò giusto mentre uno dei picciotti mi rendeva omaggio e mi trovai attorno tutti i picciotti. Generale, mi dissero, deve salvare il nostro onore. Non ci fu verso di farci capire che le picconate alla targa non significavano niente. Potevano distruggere le targhe di tutte le città che portano il mio nome, in Italia e nel Mondo? E i milioni di libri che raccontano la nostra storia? Impossibile.
Niente, dovetti promettere che mi sarei fato vivo con Gavino. La cosa non mi dispiacque in verità, avrei finalmente regalato a Gavino la mia voce.
Così fu.

Ordinai a Gavino di armarsi di penna, inchiostro e carta. Poco ci mancava che mi moriva qui alla Maddalena. Gavino tornò con una cosa strana, una specie di vetro sopra il quale compaiono le parole, mano a mano che si scrive. E dettai questa lettera.
Vossignoria mi perdonerà se non ci giro attorno alla questione. Penso che non ha fatto manco le scuole elementari, altrimenti qualcosa di me la saprebbe.
Lo so che non basta leggere, che bisogna anche capire, ma il fatto è che quando non si vuole capire, non si capisce. Nemmeno se l'ha davanti agli occhi la verità non ti interessa e ne scegli un'altra.
Compresi benissimo che vi serve cancellare la storia e copiare i lombardi che ai miei tempi erano i patrioti più devoti. Compresi che non potete prendervela con i vivi, il vostro re a Roma ci resterebbe male se vi metteste di traverso. Quando lo feci io, poco ci mancava che il re mi ammazzava all'Aspromonte. Perciò avete bisogno di picconare la targa di Garibaldi. Poi toccherà a quella di Mazzini e di Cavour e di Vittorio Emanuele. Che cosa gli addebiterete a Giuseppe Mazzini? Aveva la testa dura ma era un patriota e un galantuomo. Gli addebiterete che era un terrorista?
E del Conte, che direte? Che si faceva gli affari suoi?
Cavour non mi stava simpatico, lo sanno tutti, ma era integerrimo.
E voi invece avete un re che ha avuto 789 magistrati che l'hanno sospettato di avere trasgredito la legge. 789, ripeto. Tutti sbagliarono? Tutti nemici suoi furono? A lui niente picconate, anzi.

Cavour era un aristocratico piemontese, e fece gli interessi del suo re. Era un fetente per questo? Avrebbe fatto meglio a lasciare la Sicilia nelle mani dei Borboni?
D'accordo, il governatore siciliano oggi, me l'ha fatto sapere Gavino, deve copiare i lombardi, che non sono patrioti come una volta perché ci perdono a dividersi la pagnotta con i siciliani. Quelli d'oggi, dice Gavino, si sono mangiati la storia d'Italia e hanno così fatto capire a tutti che se stanno male è causa di Roma. Insomma hanno fatto scuola senza essere andati a scuola.
Allora, io dico, caro Sindaco, se non vi sta bene come stanno le cose, prendetevela con quelli che comandano e vi strafottono levandovi i soldi e l'aria che respirate. Descriverci come assassini, ladri, farabutti come se fossimo responsabili di tutto quello che vi fanno oggi, è una cosa ingiusta, contraria alla verità e non vi fa onore.
I miei picciotti siciliani si fecero ammazzare perché ci credevano all'Italia.
Per questo Gavino si danna l'anima: avete rispetto per i picciotti fascisti che vi volevano togliere la libertà, perché ci credevano a quello che facevano, e non ne avete per noi., che abbiamo tolto di mezzo i borboni e dato un poco, solo un poco, di democrazia.
Gavino ha ragione: difendete la cazzata di Babbo Natale per non rubare i sogni ai vostri bambini, e non ci pensate un momento a distruggere l'identità del vostro Paese, la sua storia, la sua cultura?

Dopo un secolo e mezzo vi fate i conti e decidete che era meglio che non ci facevamo ammazzare, e ci sputate addosso.
E Vossignoria, Sindaco, che ha un sacco di problemi da affrontare, quelli personali e quelli della sua bella città, si preoccupa di Piazza Garibaldi?
Una furbizia stupida, signor Sindaco. Con le picconate, voi e il vostro governatore, non riuscirete a fare dimenticare ai siciliani che stanno male e non riuscirete manco a convincerli che è colpa nostra.
Se una cosa ho capito nei giorni in cui sono stato in Sicilia, è che la gente pensa con la sua testa. Certo domandano favori anche quando non c'è bisogno, ma le cose le capiscono.
Gavino Sanna dice che non avete rossore di faccia. Non capisco che cosa significa ma me l'immagino. E' una farabuttaggine oltre che una bugiarderia inventarvi i nemici dopo averli scoperti nei libri di storia, e inventarveli fra quelli che hanno speso la loro vita, pensando di fare una cosa giusta.
Da vivo non piansi mai - Vossignoria capisce: ero il Generale - , solo quando morì la mia donna lo feci e basta. Ma ora mi viene da piangere. Non per le vostre picconate, sindaco, ma per i miei picciotti che ci credevano e sono così ripagati dalla loro gente.

Giuseppe Garibaldi
Isola di Caprera 1 agosto 2008

[Informazioni tratte da Adnkronos, La Siciliaweb, ANSA]

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01 agosto 2008
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