Gheddafi non è disposto a farsi da parte
Il regime libico continua a sgretolarsi, la Nato continua a colpire Tripoli, ma il raìs vuole rimanere al "suo" posto
Sei potenti esplosioni hanno scosso nel giro di dieci minuti il centro di Tripoli, principale bersaglio da una decina di giorni delle incursioni aeree notturne della Nato: lo hanno reso noto testimonianze locali, senza fornire ulteriori dettagli sui possibili bersagli colpiti.
Secondo il portavoce del governo di Tripoli, Moussa Ibrahim, il bilancio delle vittime delle incursioni della Nato in Libia dall'inizio delle operazioni, il 19 marzo scorso è di 718 civili uccisi e 4.067feriti. Il dato - aggiornato al 26 maggio - non tiene conto delle vittime fra i militari libici, cifra che il Ministero della Difesa di Tripoli si è "rifiutato" di rendere noto.
Ieri il responsabile della Farnesina, Franco Frattini, ha fatto la sua prima visita a Bengasi, capitale dei ribelli libici, dove ha inaugurato la nuova sede del consolato italiano, di fatto una sorta di ambasciata presso gli insorti.
"Il regime di Gheddafi è finito, il rais deve lasciare il potere e il Paese", ha detto Frattini, che ha incontrato i vertici del Consiglio nazionale di transizione libico. "I suoi aiutanti sono scappati, non ha il sostegno internazionale, i leader del G8 lo rifiutano: se ne deve andare", ha aggiunto, sottolineando l'obbligo di continuare con la pressione militare e con il rafforzamento delle sanzioni economiche "per assicurare che il processo avviato dal popolo libico sia irreversibile".
Frattini ha avuto un colloquio col presidente del Consiglio degli insorti, l'ex ministro della giustizia Mustafa Abdul Jalil e altri esponenti dell'opposizione, per fare il punto sugli ultimi sviluppi della crisi e dell'azione internazionale, dopo la recente riunione dei ministri degli Esteri Ue del 23 maggio a Bruxelles e il G8 di Deauville. L'Italia si impegna a garantire, attraverso Unicredit ed Eni, aiuti finanziari e nel settore petrolifero ai rivoltosi, ha detto. "Nel documento si ribadiscono il riconoscimento politico del Consiglio, e l'impegno attraverso Eni e Unicredit" per far ripartire il settore petrolifero e per assistere la popolazione, ha riferito Frattini in conferenza stampa. Il capo della diplomazia italiana ha spiegato che saranno aperte linee di credito per "centinaia di milioni di euro" garantite dalla Sace, che potrà rivalersi eventualmente sugli asset congelati al regime di Muammar Gheddafi.
La visita del ministro Frattini a Bengasi è stata definita da Tripoli "illegale". "Una palese violazione delle norme e delle convenzioni internazionali e un'interferenza negli affari interni di un membro sovrano e indipendente delle Nazioni Unite", scrive in un comunicato il regime libico, secondo cui l'obiettivo di Frattini non è individuare "una soluzione pacifica al conflitto".
Intanto, nei giorni scorsi otto ufficiali libici del regime di Muammar Gheddafi hanno defezionato. Hanno deciso di voltare le spalle al colonnello, di lasciare il Paese e si trovano a Roma, da dove hanno annunciato di essere passati dalla parte degli insorti e di sostenere il Cnt di Bengasi. A dichiararlo è stato Mahmud Shamman, responsabile per l'Informazione del Consiglio nazionale transitorio: "Otto ufficiali di brigata di Gheddafi, cinque generali, due colonnelli e un maggiore, si sono uniti alla rivoluzione - ha detto Shamman -. Gli otto militari si trovano attualmente a Roma". Per lasciare il Paese sono passati attraverso la Tunisia, ha riferito il portavoce dei ribelli libici, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli.
Lunedì la tv di stato libica ha mostrato immagini del colonnello Muammar Gheddafi mentre accoglie il presidente sudafricano Jacob Zuma. E' la prima volta che il rais libico viene visto pubblicamente dall'11 maggio scorso.
Zuma si è recato a Tripoli per conto dell'Unione Africana per discutere una possibile exit strategy di Gheddafi. Il portavoce del governo, Zuma Zizi Kodwa, aveva tuttavia precisato che l'incontro sarebbe dovuto servire a mettere pressione sul Colonnello e trovare così una soluzione diplomatica al conflitto libico.
Mediazione, quella di Zuma, che sembra non aver sortito alcuna risultanza positiva. Jacob Zuma ha ribadito che il Colonnello è "pronto ad applicare il piano di pace" messo a punto dalla Ua, e dunque a proclamare un cessate-il-fuoco immediato per poi "aprire un dialogo" aperto a tutti i libici. Ma "non è disposto a farsi da parte": Gheddafi non accetta cioè la condizione imprescindibile pretesa dalle opposizioni per mettere fine alle ostilità. Zuma se l'è presa con la Nato, i cui continui bombardamenti a suo dire vanificherebbero ogni sforzo negoziale.
Quella di Zuma è la seconda visita dall'inizio del conflitto a febbraio. Il suo precedente viaggio non registrò molti progressi perché Gheddafi si rifiutò di porre fine al sul più che 40ennale governo, mentre i leader dei ribelli dicevano che quella era la condizione necessaria per qualunque tregua.
"NON LASCERO' IL MIO PAESE"
di Peter Graff (Reuters)
Il leader libico Muammar Gheddafi è stato categorico nel dire che non lascerà il suo Paese, secondo quanto riferito dal presidente sudafricano Jacob Zuma al termine dei colloqui con il Rais, che hanno lasciato margine a una soluzione negoziale del conflitto.
Ma ora la domanda è quanto a lungo potrà resistere Gheddafi dopo che il coordinatore umanitario dell'Onu ha detto che la carenza di cibo e medicine nelle zone della Libia in mano a Gheddafi rappresentano una "bomba a orologeria".
A poche ore dalla partenza del presidente sudafricano, la Nato ha ripreso gli attacchi aerei, secondo quanto riferito dalla tv libica, colpendo quelli che sono stati definiti siti civili e militari a Tripoli e a Tajura, a est della capitale.
Zuma è stato a Tripoli per cercare di dare nuova linfa al piano di pace africano per porre fine al conflitto, iniziato a febbraio sotto forma di rivolta contro Gheddafi e poi trasformatosi in una guerra in cui sono morte migliaia di persone. Ma i colloqui non hanno portato a compiere dei passi avanti, con Gheddafi che continua a rifiutarsi di lasciare il potere, una condizione che i ribelli e la Nato hanno posto come necessaria per qualunque tregua.
"Il colonnello Gheddafi ha chiesto la fine dei bombardamenti per permettere di dare il via al dialogo", ha scritto in una nota l'ufficio di Zuma. "(Gheddafi) ha sottolineato di non essere preparato a lasciare il suo Paese, nonostante le difficoltà".
Zuma ha anche detto che la sicurezza personale di Gheddafi "è una preoccupazione", facendo riferimento ai raid della Nato che hanno colpito ripetutamente il complesso di Bab al-Aziziyah del leader libico e altri edifici utilizzati dal Rais e dalla sua famiglia. Giunto al quarto mese, il conflitto in Libia è ora a un punto morto sul fronte di terra, con i ribelli incapaci di uscire dalle loro roccaforti e avanzare verso Tripoli, dove Gheddafi sembra essere trincerato.
I ribelli controllano la zona orientale della Libia attorno alla città di Bengasi, la terza città del Paese Misurata, e una zona montuosa che si estende da Zintan, 150 chilometri a sud di Tripoli, fino al confine con la Tunisia.
Panos Moumtzis, il coordinatore umanitario dell'Onu per la Libia, ha detto a Reuters a Tripoli che alcune scorte di cibo nelle zone sotto il controllo di Gheddafi sarebbero sufficienti per poche settimane. "Non credo si possa parlare di fame o malnutrizione", ha detto, aggiungendo che "però più a lungo durerà il conflitto più si assottiglieranno le scorte di cibo, ed è questione di settimane prima che il Paese raggiunga una situazione critica". "Le scorte di cibo e medicinali sono un po' come una bomba a orologeria. Per ora va tutto bene, è sotto controllo. Ma se l'attuale situazione dovesse continuare per un po', questa diventerà una questione di primo piano", ha aggiunto.
A Roma, intanto, otto funzionari, tra cui cinque generali, hanno detto ieri nel corso di una conferenza stampa organizzata dal governo italiano di far parte di un gruppo di 120 tra graduati e soldati che negli ultimi giorni hanno disertato. Le defezioni arrivano a due mesi da quelle del ministro degli Esteri ed ex capo dello spionaggio libico Moussa Koussa e dalle dimissioni del diplomatico Ali Abdussalm Treki.
Uno degli ufficiali disertori, che ha detto di chiamarsi Oun Ali Oun e di essere un generale, ha spiegato ai giornalisti: "Quello che sta accadendo al nostro popolo ci ha atterrito". "Ci sono molte uccisioni, un genocidio... violenze contro le donne. Nessuna persona razionale, con un minimo di dignità, può fare quello cui abbiamo assistito e quello che ci è stato chiesto di fare".
L'ambasciatore libico all'Onu, Abdurrahman Shalgam, che ha abbandonato a sua volta il regime del Rais, ha detto che tutti i 120 membri dell'esercito sono fuori dalla Libia ma non ha rivelato dove si trovino.
[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, TMNews, Repubblica.it, ASCA, Reuters.it]