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Gheddafi potrebbe essere esiliato

La Comunità internazionale ha approvato le sanzioni contro il rais, che si sente "tradito" dai paesi amici

01 marzo 2011

Ieri il Consiglio Ue ha approvato con "decisione unanime" la messa in atto della risoluzione Onu 1970 e una serie di sanzioni complementari nei confronti del rais Muammar Gheddafi e della sua famiglia tra cui il congelamento dei beni e il blocco dei visti.
"Noi condanniamo le gravi violazioni dei diritti umani commesse in Libia, la violenza e la repressione deve fermarsi ed i responsabili puniti", ha detto Catherine Ashton, Alto rappresentante della Ue per la Sicurezza e la Politica estera, a Ginevra per la riunione del Consiglio per i diritti Umani dell'Onu, sottolineando come l'Europa, adottando le sanzioni varate dall'Onu, insieme "a misure aggiuntive", intenda arrivare velocemente ad una loro applicazione. L'Ue, ha spiegato poi la Ashton, sta tentando di prendere contatti con l'opposizione a Gheddafi che si sta organizzando nelle regioni liberate del paese.

Intervenenuta al Consiglio per i diritti umani a Ginevra il segretario di Stato americano Hillary Clinton. "Con le azioni Muammar Gheddafi ha perso la legittimità a governare e il popolo ha espresso chiaramente la volontà che se ne vada subito" ha detto la Clinton ricordando le violenze e le violazioni dei diritti umani commesse in questi giorni dal governo libico, che ha usato "mercenari e criminali" nei confronti del proprio popolo. "Il popolo libico deve poter costruire il proprio futuro", ha detto ancora il segretario di Stato americano, sottolineando come sia "venuto il momento per Gheddafi di andarsene senza ulteriori ritardi e violenze".
La Clinton ha sottolineato comunque come il cammino verso la democrazia non potrà avvenire "immediatamente" e come il percorso possa essere "deragliato da autocrati". "Il processo di transizione deve essere protetto da forze non democratiche", ha aggiunto rivolgendo un appello alla comunità internazionale a sostenere i governi di transizione in tutti i paesi arabi dove vi sono state le rivolte.
Il segretario di stati Usa ha poi chiesto che siano preparate "delle misure supplementari" per mettere fine alle violenze in Libia, senza che alcuna opzione "sia esclusa dal tavolo". Per la Casa Bianca, infatti, una possibile soluzione è l'esilio di Gheddafi. Un'altra, l'istituzione della no-fly zone. La Casa Bianca ha fatto sapere inoltre che gli Stati Uniti sono in contatto con alcuni gruppi di ribelli in Libia, ma la stessa Clinton, promettendo l'intervento di squadre umanitarie per alleviare la difficile situazione dei profughi al confine con la Tunisia, ha escluso che le navi da guerra americane prontamente spedite al largo delle coste libiche possano essere chiamate a intervenire militarmente. Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha comunque precisato che è "prematura" la possibilità del riconoscimento di un qualche gruppo di oppositori da parte di Washington. Sempre da Washington si è appreso inoltre del blocco di beni riconducibili al dittatore libico per un valore di circa 30 miliardi di dollari.
Dall'Aia, intanto, il procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha annunciato l'apertura di un esame preliminare sulle violenze in Libia, che potrebbe condurre a un'eventuale inchiesta su Muammar Gheddafi per crimini contro l'umanità. L'ufficio del procuratore esamina al momento le accuse di attacchi su larga scala condotti contro la popolazione civile.

Sempre da Ginevra, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha detto: "Siamo convinti che è estremamente importante porre fine alla violenza e iniziare a aprire un dialogo con la Libia, escludendo però il regime responsabile di così tante morti". Per Frattini, "il regime libico non può più essere considerato un interlocutore legittimo".
Rispetto all'ipotesi di un esilio di Muammar Gheddafi "in questo momento occorre molta attenzione. Aspettiamo, ora è meglio non entrare in questi dettagli. Noi siamo e saremo perfettamente in linea con quanto deciderà la comunità internazionale. Ed à per questo che sono in stretto contatto con il presidente Obama e con il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy", ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in un'intervista a 'Il Messaggero'.
"Mi chiedo - ha aggiunto - come si possa dire che l'Italia e il suo presidente del Consiglio abbiano meno ruolo e peso, dopo che vengo chiamato più volte al telefono da Obama, da Cameron, da Van Rumpuy, da Ban Ki-moon. Sono in contatto continuativo con tutti. Così come il nostro ministro degli Esteri e tutti i nostri consiglieri che quotidianamente parlano con lo staff di Sarkozy e della Merkel. Io stesso domani mattina (oggi n.d.r.) parlerò con il cancelliere tedesco". "Manteniamo uno stretto rapporto con il popolo libico. Penso - ha assicurato poi il premier - che qualunque sarà il governo che i libici vorranno darsi, questo manterrà un rapporto stretto con l'Italia, con il suo popolo e le sue imprese".

Ma il Colonnello non molla - "Tutto il popolo libico mi ama ed è pronto a morire per difendermi", ha detto il leader libico Muammar Gheddafi in un'intervista alla giornalista Christiane Amanpour della tv americana Abc, come ha scritto su Twitter la stessa reporter. Inoltre, ha detto nell'intervista a un gruppo di giornalisti occidentali, tra cui Jeremy Bowen della Bbc, "ho dato ordine ai miei sostenitori di non rispondere al fuoco" degli insorti, che sono in possesso di armi trafugate. Quindi ha definito il cosiddetto 'gas mostarda', di cui sarebbe in possesso, "un'arma terribile". E ha precisato che nessuno mai lo userebbe come arma chimica contro il nemico, peggio ancora contro la propria gente. Il colonnello libico ha affermato di sentirsi tradito da quelle nazioni occidentali con cui aveva instaurato buoni rapporti negli ultimi anni, accusandole di voler colonizzare la Libia.
Gheddafi, ha reso noto la tv araba Al Jazeera, ha incaricato l'ex capo dei servizi segreti libici all'estero, Bouzid Durdadi, di avviare una trattativa con i rivoltosi che si trovano nella pare orientale del paese.
Ma in Libia non si ferma la rivolta. Si combatte a Misurata e dintorni e secondo quanto hanno reso noto i ribelli libici, che hanno preso il controllo della città, un elicottero militare sarebbe stato abbattuto e sarebbero stati catturati cinque soldati fedeli a Gheddafi che erano a bordo del velivolo.
Mentre le truppe fedeli a Gheddafi hanno circondato la sede dell'accademia dell'esercito di Misurata ed hanno sequestrato gli allievi presenti all'interno. Secondo quanto riferisce la tv Al Arabiya, gli allievi fatti prigionieri dai miliziani fedeli a Gheddafi si erano rifiutati di combattere per il regime.
Altro fronte caldo a Bengasi, dove è caduto nelle mani dei rivoltosi il secondo aeroporto più importante del Paese, quello di al-Banin, ha riferito il sito web di Al Jazeera.
Si combatte anche ad al-Zawiyah, dove le truppe fedeli a Gheddafi hanno lanciato un'offensiva per riprendere il controllo della città. Scontri si registrano anche ad al-Marj, città della Cirenaica. Secondo la tv di stato 12 persone sono state "aggregite da bande armate" e poi portate negli ospedali della città.
Nelle mani dell'esercito fedele a Gheddafi c'è la città di Sabrata ad ovest di Tripoli. Secondo quanto ha riportato la tv satellitare Al Arabiya, "nella città la vita è tranquilla e la gente sostiene il regime".

La preoccupazione per i rifugiati che tentano la fuga dalla Libia - L'Alto Commissario per i Rifugiati, António Guterres, esprime preoccupazione per le decine di migliaia di rifugiati ed altri cittadini stranieri che potrebbero essere intrappolati in Libia. "Non ci sono gli aerei e le navi necessarie per evacuare le persone provenienti da paesi poveri o devastati dai conflitti", ha dichiarato Guterres, chiedendo ai governi di prendere in considerazione le necessità di tutte le persone vulnerabili e non soltanto quelle dei propri cittadini. "Molte di queste persone si sentono prese di mira, sono spaventate e non hanno risorse".
Da anni la Libia è un paese di transito e di destinazione per i rifugiati. L'Unhcr ha riconosciuto come rifugiati 8mila palestinesi, iracheni, sudanesi, etiopi, somali ed eritrei. Oltre 3mila hanno presentato domanda d’asilo e molte altre migliaia che non hanno avuto la possibilità di contattare l’ufficio Unhcr si trovano verosimilmente nel Paese. "Gli africani sembrano essere particolarmente a rischio perché sospettati di essere mercenari stranieri", ha riferito l’Alto Commissario. "La nostra preoccupazione è che non riescano a mettersi al sicuro".
L’Unhcr sta lavorando ai confini con Egitto e Tunisia per aiutare i governi a gestire il flusso di migliaia di persone che stanno fuggendo dalla Libia. Fino ad ora oltre 110,000 persone hanno attraversato la frontiera ed altre migliaia continuano ad arrivare. La maggior parte sono Tunisini ed Egiziani, ma stanno riuscendo a fuggire anche alcuni Libici e persone di altre nazionalità. L'Alto Commissariato Onu teme che solo un numero ridotto di rifugiati sia riuscito ad abbandonare la Libia. "L’Unhcr chiede a tutti i governi dei paesi confinanti, in Nord Africa così come in Europa, di lasciare aperte le frontiere marine, terrestri ed aeree per le persone costrette a fuggire dalla Libia", ha detto Guterres. "Deve essere garantito accesso al territorio a tutte le persone che lasciano la Libia, indiscriminatamente e senza distinzioni di origine". L’Alto Commissario ha espresso gratitudine ai governi di Tunisia ed Egitto per aver scelto una politica di frontiere aperte ed ha di nuovo fatto appello all’aiuto della comunità internazionale.

Rientrati in Italia altri 303 civili - Trecentotre italiani si sono imbarcati ieri sul cacciatorpediniere della marina militare Mimbelli dopo essere stati prelevati dal porto di Al Byraukah, in Libia, ormai in mano agli oppositori del regime. Sono diretti a Catania. "Con loro non c'è stato alcun problema, al contrario si sono dimostrati efficienti e cordiali", dice il capitano di vascello Alberto Rutteri, 44 anni, triestino, dall'8 settembre scorso comandante di nave Mimbelli. "Gridavano 'Italia e Libia nazioni amiche', oppure 'Morte a Gheddafi', ma poi hanno organizzato tutto - continua Rutteri - nel migliore dei modi. Ieri non siamo potuti entrare in porto per le condizioni proibitive del mare. C'era burrasca e siamo rimasti a pendolare in vicinanza. Li hanno fatti così dormire in una loro caserma ed oggi li hanno accompagnati in pullman fino sulla banchina. Nel frattempo ci siamo ormeggiati. I 300 da evacuare, quasi tutti stranieri e solo 4 italiani, sono stati messi ordinatamente in fila pronti per il nostro controllo: abbiamo verificato passaporti, li abbiamo rifocillati e poi siamo partiti. Domani mattina saremo a Catania".
La missione del cacciatorpediniere Mimbelli è cominciata il 22 febbraio pomeriggio da Taranto, dove normalmente è dislocata la nave: "il preavviso è stato minimo e abbiamo preparato tutto in meno di 24 ore. La sera prima ho fatto rientrare tutti a bordo", racconta il comandante. La nave si è diretta nella parte meridionale del bacino del Mediterraneo, in un primo momento con compiti di sorveglianza nell'ambito del dispositivo di difesa aerea, poi a supporto e protezione della nave anfibia San Giorgio, che ha prelevato l'altro giorno a Misurata 258 persone (tra cui 121 italiani) giunte l'altro ieri a Catania. Il 26 è stato ordinato a nave Mimbelli di spostarsi a Bengasi e, da qui, ad Al Byraukah, "il posto più nascosto del golfo della Sirte". Dopo una notte al largo, a causa delle pessime condizioni del mare, la nave militare oggi è entrata in porto e ha imbarcato i 303 civili.
Un'operazione che è stata naturalmente preceduta dai contatti, ai vari livelli, con chi comanda sul posto e forse proprio in questo è consistita la parte più delicata della missione perché "non è stato subito chiaro chi fossero i nostri interlocutori, quali fossero le loro intenzioni". Alla fine, però, "c'è stato il via libera e tutto si è svolto senza problemi", ribadisce il capitano di vascello Rutteri, spiegando che i civili imbarcati sono quasi tutti dipendenti di due ditte, la Bonatti Spa e la Sirte Oil company. A bordo anche quattro italiani del gruppo che era rimasto bloccato ad Amal. Tutti sono stati rifocillati e sistemati a bordo della nave nel migliore dei modi: "Certo, il comfort è quello che è", sottolinea il comandante. "La nostra non è una unità logistica, ma un cacciatorpediniere concepito per altri scopi e per ospitare 330 persone. Adesso siamo 633, quasi il doppio, ma l'equipaggio 'sente' molto questa missione e molti dormiranno di buon grado in luoghi di fortuna per permettere a tutti i civili di avere una branda".

Informazioni tratte da Adnkronos/Aki, Aise, Ansa, Lasiciliaweb.it]

 

 

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01 marzo 2011
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