Giovanni Fiandaca boccia i pm di Palermo
Secondo il cattedratico nel "processo Mori" i pm sono stati troppo approssimativi
«Pm approssimativi: contro il generale hanno fatto solo ipotesi»
di Felice Cavallaro (Corriere.it, 19 luglio 2013)
Il professore che ha allevato i pm di Palermo, il cattedratico che ha lavorato con il pool antimafia dai tempi di Falcone e Borsellino dispensando, anche da componente del Csm, consigli tecnici su associazione mafiosa, pentiti e reati da tipizzare sarebbe pronto a bocciare Ingroia, Di Matteo, Teresi e qualche altro magistrato protagonista di processi eccellenti come quello concluso con l'assoluzione del prefetto Mori (LEGGI). Epilogo vaticinato da Giovanni Fiandaca, un'autorità in Diritto penale, da sempre nel cuore della Sinistra, il suo dipartimento di Palermo considerato un laboratorio scientifico, adesso attaccato duramente dall'ala più vicina a quei pm, compresi i fan di movimenti come le «Agende rosse».
L'ha scritto un mese fa su una rivista accademica, l'ha ripetuto una settimana fa a un convegno che nell'altro elefantiaco processo sulla «trattativa» le imputazioni a ministri e generali sono sbagliate, diventando bersaglio di polemiche furiose. E adesso che Mori esce a testa alta dal primo round per Fiandaca è una triste conferma: «Cade una colonna portante dell'impianto accusatorio. Aspetto di leggere le motivazioni, ma il presunto patto mai provato fra Mori e Provenzano sta alla base di tutto il resto».
Dove avrebbero sbagliato i pm?
«Nel non motivare le accuse. Nella poca chiarezza che contraddistingue perfino il capo di imputazione sulla cosiddetta "trattativa"».
L'hanno accusata di non avere letto tutti gli atti del processo.
«Un pm come Vittorio Teresi che si permette di dire che bisogna leggere tutti gli atti prima di discutere il capo di imputazione non sa niente della giurisprudenza di Strasburgo».
Che dice?
«Che l'imputazione deve essere chiara ed evidente, che deve capirla anche un bambino di dieci anni. La verità è che si sono rivelati tecnicamente approssimativi».
Non condivide la ricostruzione del patto scellerato che avrebbe accelerato la morte di Paolo Borsellino?
«In un tribunale non basta ipotizzare. Ho letto la loro memoria. Venti paginette. Le prime quindici dalla nascita del mondo alla caduta del Muro di Berlino in un affresco sociologico. Le altre cinque tentando di contestare il reato di violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato, reato che però considero sbagliato configurare in questo caso».
Hanno ammesso che forse è stato un errore strategico presentare la memoria.
«Parlano di "strategia" senza che si capisca a che cosa alludono. Mi dispiace per questi magistrati che conosco bene. Ingroia è stato mio allievo, gli voglio bene, però questo non mi impedisce di essere critico. Di Matteo non lo conosco bene, ma a prescindere dai singoli magistrati ho l'impressione che campeggi un orientamento di tipo sostanzialistico, non sufficientemente attento ai principi e alle categorie del diritto penale. Ma bisogna pure che qualcuno lanci l'allarme su questa deriva giuridica. E sono contento che mi arrivino tanti attestati di solidarietà da professori di diritto, da giudici, anche da magistrati dei Verdi e di Magistratura democratica... tutti stanchi di questa "trattativa" pompata dai media».
Ce l'ha con i giornalisti?
«I media sono malati da tempo. Suonano i tamburi estremizzando la notizia in una drammatizzazione spettacolare in cui prevale chi la spara più grossa. Trattativa, tradimento, facilitazione indiretta alla morte di Borsellino diventano così anelli di una catena che prescinde dalla ricerca del reato, dalla configurazione giuridica. Ma c'è pure la "lagnusia", la pigrizia che fa la sua parte. E prevalgono le tifoserie...».
I suoi studenti in facoltà condividono o la contestano?
«Per fortuna riusciamo a ragionare. Ma il rischio è che prevalga un sentire comune per cui i principi fondamentali del diritto diventano un lusso accessorio. Un po' come accade con le "Agende rosse", con tanti ragazzi convinti che comunque gli imputati vadano puniti, a prescindere dalle prove, con un orientamento religioso-moraleggiante che devasta il diritto».